Cacciatori di Teste nell’era digitale, storia di un mestiere in evoluzione

Chi di voi conosce le seguenti persone: Gianfranco Sanguinetti, Diego Davila e Gokmen Akdogan? Vi tolgo subito dall’imbarazzo: sono i tre sosia riconosciuti di Cristiano Ronaldo. Il secondo è, addirittura, la sua controfigura negli spot pubblicitari. La loro caratteristica più curiosa è che non sanno giocare a calcio. A questo vorrei aggiungere che, dal momento dell’acquisto di Ronaldo da parte della Juventus, sono state vendute oltre 650mila magliette con stampato il suo nome.

In poche parole, se guardiamo solo la schiena potremo scegliere tra più di 650mila Cristiano Ronaldo. Nell’era digitale il problema delle aziende e, soprattutto dei Cacciatori di Teste, è proprio questo: la sovrabbondanza di informazioni rende lungo, difficile e complesso il processo per identificare la persona giusta tra le migliaia di ‘cloni’. Se non puoi fare un provino in campo –e con un manager è impossibile– il rischio di pagare una cifra esorbitante per un ‘brocco’ è sempre dietro l’angolo.

LinkedIn è riconosciuto come il database universale. Contiene oltre 600 milioni di profili, si iscrivono due nuove persone al secondo, numero che cresce da anni in maniera tumultuosa. Se all’inizio le aziende guardavano con sospetto i dipendenti che inserivano il loro profilo sul sito, ormai la diga ha ceduto e solo in Italia gli iscritti sono oltre 10 milioni.

Accanto alla crescita dei numeri si è manifestato un altro aspetto decisamente rilevante identificato come “The LinkedIn Effect”: in poche parole è la tendenza –naturale– delle persone a presentarsi con titoli, ruoli, contenuti e immagini nettamente superiori alla realtà. Troviamo un numero esorbitante di CEO (ricordo che un tempo questo titolo era riservato ai capi di importanti multinazionali) e il termine “manager” viene impiegato per qualunque ruolo e così via.

Se non mi credete, vi invito a fare una prova facile facile. Digitate nome e cognome di una persona della quale conoscete bene impiego e storia professionale. Scommetto che scoprirete che riveste ruoli a voi ignoti, che ha un titolo che in azienda non esiste o che è di almeno due livelli superiore a quello effettivo. Dalla foto, poi, potreste anche scoprire che è un provetto alpinista compagno di scalate di Reinhold Messner o un velista di chiara fama che ha accompagnato Giovanni Soldini in qualche avventura in solitaria…

Qual è, dunque, la differenza di attendibilità tra LinkedIn e siti quali Booking o Expedia? I dati in questi ultimi due sono oggettivi: numero del volo, aeroporto di partenza e arrivo, orario del viaggio. Su LinkedIn, invece, ognuno può raccontare la sua storia come meglio gli aggrada e come vorrebbe essere identificato dal mercato. Ricordo che un giorno licenziai un collaboratore per scarsissimo rendimento e completa estraneità al contesto-cultura aziendale.

Dopo qualche mese casualmente mi comparve il suo profilo, in cui risultava ancora attivo presso la mia azienda. Iniziai un fitto scambio di email e telefonate con LinkedIn per scoprire che né io né loro potevamo intervenire per correggere la situazione. Ci imbattiamo però anche in situazioni opposte. Quelle di persone valide e qualificate che non ritengono opportuno curare adeguatamente la loro immagine social e che non compaiono nei radar delle indagini su Internet rischiando di venire escluse da ricerche che le vedrebbero protagoniste assolute.

Ormai tutte le richieste che riceviamo hanno la stessa premessa: “Sono mesi che cerchiamo questa posizione e non riusciamo a trovare la persona giusta. Siete in grado di aiutarci?”. Bisogna tenere presente che, in teoria, partiamo tutti dallo stesso database globale: Google e LinkedIn. Quando ho cominciato, ormai 30 anni fa, a lavorare come Head Hunter, noi eravamo gli unici a conoscere organigrammi aziendali, nomi e recapiti dei manager e, dunque, eravamo gli unici a sapere come contattarli.

Oggi tutto ciò è apparentemente trasparente. Quindi cosa rende ancora attuale il mio mestiere? Questa lunga introduzione mi serve per mettere a fuoco le nuove difficoltà che, in qualità di Cacciatori di Teste, dobbiamo affrontare nell’era dei social e del ‘tutto digitale’. E la transizione da Cacciatore di Teste a Cacciatore di Storie mi sembra esprima in maniera chiara l’evoluzione del mio mestiere.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di maggio 2019 di Persone&Conoscenze.
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