Cambiare gioco
La prima puntata del nostro nuovo programma PDM Talk è stata l’occasione per parlare di leadership. Il tema è quantomai attuale, in un momento nel quale nelle nostre aziende chi ha la responsabilità di tenere saldo il timone deve governare un equipaggio ‘smart’. Da un lato è faticoso capire qual è la giusta direzione, dall’altro manca il contatto fisico e quotidiano con chi deve aiutare a raggiungere la meta. Non sappiamo come si fa, la cosa certa è che è cambiato il campo di gioco, e devono cambiare le regole. Siamo pronti? Evidentemente no, anche se da anni andiamo dicendo che non possiamo affrontare problemi nuovi proponendo vecchie soluzioni.
È venuto il momento di cambiare. Il campo di gioco per come lo abbiamo conosciuto fino ora – azienda di stampo fordista, modello di leadership improntato sul comando e controllo, lavoro all’interno di un perimetro aziendale – non esiste più. E lo stiamo sperimentando in questi giorni. Quasi tutti siamo costretti a lavorare al di fuori di quel perimetro, a gestire relazioni con i nostri colleghi attraverso una piattaforma, a non distinguere più il confine tra vita personale e vita privata.
Alla sicurezza della scrivania – per chi ne ha ancora una – abbiamo sostituito il tavolo della cucina, o di una scrivania improvvisata in qualche angolo della casa. Non siamo preparati, inutile fare gli spavaldi. Un conto è stare a casa qualche ora alla settimana, un conto è garantire l’operatività mentre i bambini piccoli urlano per casa e, soprattutto, mentre il tuo marito/compagno ha le tue stesse esigenze. Con i nonni che, se ci sono, sono invitati a tenere le distanze.
Come si gioca in questo campo? Servono nuove regole, ma chi le scrive? La necessità del cambiamento è arrivata come uno tsunami e sta spazzando via sistemi di potere che, come ci ha spiegato Riccarda Zezza, sono sempre stati progettati per difendersi dal cambiamento. E ai leader, all’interno di quei sistemi, non era richiesto di essere resilienti. Al contrario il leader, nelle organizzazioni che abbiamo conosciuto sino ad ora, tendeva a definire condizioni in modo da non rendere necessaria la sua resilienza. Non hanno contribuito a migliorare le cose le donne che hanno raggiunto i vertici di molte organizzazioni perché non hanno cercato di cambiarle quelle regole, hanno continuato a giocare con regole scritte da altri senza ascoltare loro stesse e, cosa ancor più grave, diventando avversarie delle altre donne al di sotto della scala gerarchica.
Oggi la capacità di governo non può prescindere dalla resilienza e le donne, e in genere le minoranze, sono più abituate a coltivarla. Oltre ad essere più resilienti le donne sono più empatiche, e l’empatia va considerata un superpotere, secondo Riccarda Zezza. L’empatia ci aiuta a comunicare meglio e a leggere le emozioni degli altri. E che questo serva per guidare le organizzazioni, è una novità. Nell’impresa per come siamo stati abituati a conoscerla, l’anestesia emotiva ha prevalso. Me ora che è cambiato il gioco, questa è una nuova regola che dobbiamo imparare.
L’empatia ci aiuta a entrare in sintonia con l’altro, agevola la creazione di connessioni e ora che il modello del comando e controllo perde di efficacia, funzionano modelli di leadership dove si stabilisce una connessione emotiva. In famiglia questo succede, o dovrebbe succedere, è il momento di imparare da lì. Se vuoi che i tuoi figli agiscano comportamenti in linea con i valori della tua famiglia, devi dar loro motivazioni che li facciano sentire in sintonia con questi valori. Un ordine lanciato dall’alto verrà eseguito, forse e controvoglia, una volta, ma non diventerà mai un comportamento agito naturalmente se manca il senso. Questo concetto sta cambiando radicalmente le caratteristiche richieste a chi detiene il potere ed è per questo che la leadership, per come l’abbiamo conosciuta, deve ripensare se stessa.
Da questa conversazione abbiamo capito che in azienda dovrebbe funzionare come in famiglia: quando nasce un bambino il campo si allarga e si fa spazio al nuovo arrivato. Il concetto è lo stesso: portare un elemento nuovo non significa ridurre lo spazio per chi già c’era ma allargare il perimetro lasciandosi arricchire. Questa la prospettiva di cui abbiamo bisogno se non vogliamo tra qualche anno domandarci ancora come mai uomini incompetenti riescono a far carriera mentre donne di valore no, e come mai ancora oggi esistano organizzazioni incapaci di gestire una maternità. Avremo un futuro se ragioneremo in termini di sostenibilità, e non ci può essere sostenibilità se si continua a pensare che un figlio sia un problema per il mondo del lavoro.
La sostenibilità porta con sé anche un altro valore, la generosità. Un’attitudine che sviluppano coloro che si occupano di qualcun altro e di cui tutti i nuovi leader si dovrebbero alimentare. Probabilmente, tutto quello che serve, è già dentro di noi, dobbiamo solo imparare a tirarlo fuori. Un po’ come ti succede quando diventi madre. Le risorse per curare il tuo bambino sono già tutte dentro di te. Le senti affiorare dal primo momento in cui ti mettono tuo figlio tra le braccia.
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