Cara energia
Mentre le imprese francesi si stanno preparando alla ‘sobrietà energetica’, cioè a tagliare del 10% i consumi di energia elettrica in autunno a causa dei rincari, in Italia, da mesi, si rincorrono gli appelli alle istituzioni delle associazioni industriali per cercare di risolvere il problema dei rincari energetici. Secondo Confesercenti – giusto per citare chi, tra i tanti, ha lanciato l’allarme – a causa dei prezzi delle bollette di gas e luce in aumento, nel 2023 potrebbero fallire 90mila imprese del comparto turistico.
Il prezzo unico nazionale (chiamato anche Pun) dell’energia elettrica, infatti, a gennaio 2021 era pari a circa 60 euro megawatt/ora, mentre a gennaio 2022 è salito a 224 euro, arrivando poi 637 euro (agosto 2022). Lo rivela la recente analisi di EnergRed.com, società impegnata nel sostenere la transizione energetica delle Piccole e medie imprese italiane. E la carenza di materie prime, un problema che la guerra in Ucraina ha reso ormai cronico dopo l’inizio della pandemia nel 2020, contribuisce all’aumento dei costi. La spesa dei trasporti fa il resto. Quando, come in questa fase, ci sono fattori esterni che prevalgono sui prezzi decisi dal mercato, allora si rendono necessari interventi di correzione, come quelli predisposti dal Governo con i sostegni a imprese e famiglie del Decreto legge 115 del 2022, (il cosiddetto Decreto Aiuti-bis) che prevede agevolazioni e proroghe dei crediti di imposta alle imprese per l’acquisto di gas ed energia.
Secondo gli imprenditori e manager coinvolti da Parole di Management in un sondaggio sul tema dei rincari energetici, servono, però, interventi più tempestivi e corposi perché tariffe così alte non possono sostenere l’economia attuale. All’iniziativa del nostro quotidiano – titolo del sondaggio era Quanto costa il caro energia alle aziende? – hanno risposto soprattutto le aziende manifatturiere (il 42%) e sono stati interpellate persone con ruoli molto eterogenei: imprenditori (19%), manager delle Operations (23%), Amministratori Delegati o Direttori Generali (15%).
Le imprese vogliono maggiori aiuti dalle istituzioni, subito
Qual è la situazione evidenziata da imprenditori e manager coinvolti nel sondaggio? Circa quattro aziende intervistate su 10 affermano che il costo dell’energia (elettrica e gas) è aumentato oltre il 40%. Un dato confermato recentemente anche dagli industriali del settore tessile, che hanno dichiarato, tramite l’associazione Sistema Moda Italia (Smi), di aver ricevuto bollette otto volte più care rispetto al 2021.
Ma come stanno affrontando questa sfida le aziende? Secondo il sondaggio, sono stati attuati comportamenti virtuosi per ridurre i consumi nel 69% dei casi. Tra le iniziative ci sono: investimenti nell’autonomia energetica delle sedi, come il sistema fotovoltaico (38,5%); uso della luce elettrica e dei dispositivi elettronici solamente alla bisogna (35%); investimenti in dispositivi con classe energetica più performante (27%). Solamente il 4% lamenta un rallentamento della produzione, in contro-tendenza con alcuni settori italiani: il distretto del vetro e delle piastrelle, per esempio, ha raccontato, in una nota stampa di Confindustria Ceramica, che molte imprese hanno dovuto spegnere i forni e programmare la cassa integrazione per i dipendenti da settembre 2022.
Tra le soluzioni più ricercate a lungo termine per fronteggiare la situazione, c’è sicuramente il maggior intervento delle istituzioni (il 75% degli intervistati è d’accordo) e la cooperazione con altre aziende del territorio (il 25% delle imprese lo vorrebbe). Un’altra soluzione cui sta lavorando invece la Commissione europea, è ‘sganciare’ il prezzo dell’elettricità da quello del gas. L’energia elettrica può essere prodotta, infatti, da fonti rinnovabili (acqua, sole, vento) o fossili (gas, carbone e olio combustibile) che hanno costi di produzione differenti. Il meccanismo utilizzato nelle Borse europee per arrivare ogni giorno al costo a cui è venduta l’elettricità, come è stato recentemente spiegato in un approfondimento de Il Corriere della Sera, è quello cosiddetto del ‘prezzo marginale’, fissato sul livello più alto a prescindere dalla fonte utilizzata. Adesso che il gas si è impennato, anche le altre fonti meno care sono remunerate con lo stesso prezzo e hanno margini di guadagno più elevati. La Ue sta cercando di separare i prezzi dell’elettricità, quindi, per far pagare meno quella prodotta con le rinnovabili.
“Il tema energia elettrica purtroppo impatta a 360 gradi sul business: dai costi delle materie prime ai nostri costi di trasformazione, questo impatto ha dimensioni importanti. Probabilmente non avremo più i costi energetici ante conflitto russo-ucraino, ma altresì saranno da riscrivere le regole del business e di mercato”, ha detto un manager coinvolto nel questionario, che ha scelto di restare anonimo.
Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino.
Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica.
Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.
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