Cartificare il digitale
Ormai molti progetti di finanziamento sono presentati attraverso piattaforme online. Il progettista compila i campi del formulario, l’output è firmato digitalmente, basta un clic e via: il progetto è presentato. Miracoli della digitalizzazione. Non si stampa più nulla, chili di carta risparmiati – urge trovare altri metodi per disboscare la Terra – tempi di presentazione ridotti, valutazioni più rapide ed erogazioni più vicine all’espressione del fabbisogno manifestato. Con la digitalizzazione è tutto più snello, più efficiente, più rintracciabile, più spedito. È finita l’epoca in cui impazzivamo con le mille versioni dei formulari.
Nel 2021, un canale storico ha annunciato, in tono trionfale, che la presentazione delle nuove risposte ai bandi sarebbe avvenuta solo tramite web. Con ingenua fiducia mi appresto a presentare. Si apre una pallida schermata in cui bisogna caricare le anagrafiche dell’ente, dei soci, delle aziende coinvolte e delle persone che a vario titolo contribuiranno alla realizzazione del progetto. Mi sento come quello a cui è stato chiesto il numero dei cinesi… e poi è stato aggiunto: “Non è finita qui; ora vogliamo sapere anche nome, cognome e indirizzo di tutti!”.
Si apre un’altra finestra in cui devono essere compilati i campi docente con cv in formato europeo, aggiornato, firmato, con dichiarazione di veridicità di quanto scritto, con autorizzazione al trattamento dei dati, codice fiscale e sintesi del curriculum. Piccolo particolare, di trascurabile importanza: il progetto prevede quasi 300 formatori. Pensare alla mole di lavoro che comporta il solo caricamento dei dati relativi a tutte queste persone mi fa sudare freddo. Un compito che prima si poteva svolgere tramite accodamento dei Pdf, mentre ora obbliga a un’attività incredibilmente gravosa e imprevista.
Una volta caricata tutta questa massa di dati si può procedere a popolare la piattaforma con i contenuti dei corsi. Lavoro una giornata intera e, alla fine, quasi per magia, si sono perse molte informazioni. Preoccupato, immaginando di aver dimenticato di compilare, ripeto l’intero processo. Questa volta la piattaforma riesce a perdere altri dati. Scrivo all’assistenza – perché all’assistenza tecnica non si può telefonare, si può solo scrivere! – e rispondono dopo un giorno.
Garbatamente mi trattano come uno scemo. Allegano alla risposta il manuale d’uso della piattaforma. Mi sento trattato come la vecchietta che ha messo il gatto nel microonde per farlo asciugare. Rispondo: “So di essere ignorante in informatica, ma ditemi qualcosa che non so. Come si risolve il problema?”. Rispondono laconicamente che è colpa mia. Inizio a chiamare colleghi di altri enti. Tutti hanno la mia stessa difficoltà. L’assistenza continua a rimbalzare la palla.
Poi, una bella mattina, dopo una settimana di segnalazioni, lamentazioni, rosari di Preci, più o meno ‘laici’, si ammette ufficialmente che la piattaforma potrebbe avere qualche problema. Ma guarda! Il dubbio ci aveva sfiorato. Passano alcuni giorni e viene risolto.
E ora? Dolcetto o scherzetto? Scherzetto, chiaramente. Bisogna ricaricare una marea di dati! Altri giorni di lavoro a nutrire il mostro. Risultato? Il sistema genera un Pdf che deve essere scaricato, firmato digitalmente e caricato in un’altra piattaforma, che non parla con la prima e non riesce a leggerlo.
A mente fredda ripenso a quanto è successo e mi chiedo: come mai non ha funzionato? Perché un processo digitalizzato è stato più oneroso di un flusso in modalità tradizionale? Arduo rispondere, soprattutto per chi vede solo una delle facce della medaglia. Un’ipotesi vorrei farla, però.
Mi pare che i problemi potrebbero non risiedere solo nella mancanza di competenze sull’uso delle nuove tecnologie, ma nel pensare in modo vecchio, nel mettere in atto comportamenti completamente superati –con mentalità burocraticamente antica– nell’adattare il digitale a processi vetusti, nel cercare di ricondurre il digitale alla carta e non viceversa, nell’intraprendere un cambiamento senza una governance strategica e consapevole del processo di trasformazione in atto, nella mancanza di attenzione agli standard, nell’essere centrati sul controllo, sulle esigenze dei processi interni, senza tener conto dell’utente finale, senza ascoltarlo e senza domandarsi cosa comporterà, per lui, una determinata richiesta. A questo punto mi domando, ancora: il nostro ritardo digitale non deriverà, per caso, da un nostro limite culturale?
Per informazioni sull’acquisto scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)
digitalizzazione, processi organizzativi, burocrazia