C’è un Sud che innova e produce
Il Mezzogiorno è anche eccellenze e poli industriali.
Proprio nel momento in cui, ancora una volta, le anticipazioni del Rapporto Svimez sull’andamento del Prodotto interno lordo nel Mezzogiorno per il 2020 e il 2021 indurrebbero al pessimismo – sottovalutando le diffuse capacità imprenditoriali presenti nell’Italia meridionale e la loro reattività alla crisi – giunge notizia di un nuovo investimento nel comparto dell’Automotive nel polo industriale di Nusco in Irpinia.
Quest’ultimo, già segnato dalla presenza di alcune imprese molto dinamiche, è sede dello stabilimento di S.A.I-Schlote Automotive Italia, una newco promossa da tre gruppi industriali ovvero Schlote, leader europeo nelle lavorazioni meccaniche di grandi serie per l’Automotive, Bohai Trimet, operante nella fornitura di componentistica per l’industria automobilistica e nella produzione di alluminio, e Sira industrie che con la controllata Sirpress costituisce un significativo riferimento nel settore delle fonderie di alluminio.
Dal 1 ottobre 2020 è previsto che la fabbrica assuma 150 addetti, realizzi investimenti per 52 milioni e a regime si prevede che fatturi circa 70 milioni di euro. Questo progetto ha come obiettivo quello di raggiungere un ulteriore step tecnologico per fronteggiare il maggior fabbisogno dei principali produttori automobilistici impegnati nella progressiva riconversione delle motorizzazioni verso il diesel free, ibride e/o elettriche.
Il nuovo investimento nel Sud dimostra – qualora pure ve ne fosse bisogno – la capacità attrattiva del Mezzogiorno, non solo grazie agli incentivi esistenti per favorirvi l’industrializzazione, ma anche per la presenza di grandi industrie capaci di costituire Supply chain e di assorbire, come in questo caso, la produzione del nuovo insediamento. A Bari, infatti, è in esercizio l’imponente stabilimento della canadese Magna (ex Getrag) che acquisterà dalla nuova fabbrica di Nusco componenti di alta qualità per lavorare pezzi destinati poi a gruppi come Daimler, Renault, Bmw e FCA.
Rivedere i parametri di valutazione sul Mezzogiorno
Il Meridione dunque continua ad attrarre investimenti, eppure la Svimez prevede per l’Italia, a fine 2020, una flessione del Pil del 9,3%, mentre per le regioni meridionali la contrazione dovrebbe essere di poco inferiore, attestandosi all’8,2%. Per il 2021, invece, si prevede una crescita del 4,6%, doppia di quella meridionale che si attesterebbe solo al 2,3%.
La stampa ha riportato e recepito tali anticipazioni sostanzialmente condividendole, ma nessuno – almeno per quanto ne sappiamo – si è posto la domanda su quali siano i parametri considerati dalla Svimez per formulare le previsioni, costruite con un modello econometrico di cui sarebbe interessante conoscere le variabili inserite che prendono in esame quattro grandi aggregati ovvero spesa delle famiglie, reddito delle stesse, investimenti ed esportazioni. Con ciò non vogliamo affermare che la flessione del Pil non vi sarà, ma solo comprendere meglio come vengano stimate alcune grandezze.
Per esempio, ci si interroga sulla valutazione della spesa delle famiglie: è calcolata sulla base del loro potere d’acquisto ritenuto probabile, di cui peraltro bisognerebbe considerare la quota che si destinerebbe al risparmio? E gli acquisti online, inoltre, sono considerati? Immaginiamo di sì, ma come ne vengono definite le grandezze effettive? E lo stesso dicasi per gli investimenti: sono considerati quelli cofinanziati dalla Regione Puglia con le sue ricche misure di incentivazione? Gli oltre 50 contratti di programma per grandi imprese – che dal 2014 a oggi hanno prodotto investimenti che si sono dispiegati nel tempo a partire dall’ammissione all’agevolazione – per quale quota sono stati valutati per il 2020 e così per il 2021, quando naturalmente non si siano già conclusi?
Ci si sofferma forse solo sugli investimenti di alcuni gruppi pubblici (Enel, Eni, FS, Terna) riportati nei quadri di contabilità nazionale? E, inoltre, i contratti di sviluppo gestiti da Invitalia che in diverse regioni del Sud sono stati numericamente molto elevati – per esempio in Campania la cui Regione li ha cofinanziati – sono stati valutati per il 2020 e per le quote residue per il 2021? E la spesa dei fondi comunitari del ciclo 2014-2020, che alla fine dell’anno solitamente registra una forte accelerazione perché le Regioni (e i Ministeri interessati) devono raggiungere un determinato target da documentarsi alla Commissione europea, come è stata stimata per i prossimi 24 mesi?
E che dire delle esportazioni? Come sono state previste per l’ultimo quadrimestre del 2020 e che attendibilità hanno le ipotesi quantitative formulate dalla Svimez che le considerano per il 2021 comunque in crescita del 9,7%, superiore all’8,5% dell’Italia?
Una ricognizione analitica delle realtà produttive meridionali
Ci poniamo queste domande perché ci pare che le previsioni della Svimez sull’andamento dell’economia meridionale siano dettate (sempre e soltanto) da un irriducibile pessimismo circa la capacità del sistema economico del Sud di crescere a ritmi sostenuti, o almeno più sostenuti di quelli stimati dall’associazione. Al sollecito dei fondi in favore delle regioni meridionali da parte della Svimez dovrebbe fare da contraltare, da parte dell’associazione stessa, la promozione di studi per valutarne la qualità della spesa, il suo effettivo impatto sulle aree e i soggetti che ne beneficiano.
Oltretutto, se si continua a presentare il Mezzogiorno sempre arretrato e incapace di tenere il passo con il Nord, ma perché l’Unione europea e il Governo dovrebbero continuare a stanziare risorse per un’economia che resterebbe – almeno nelle analisi della Svimez – sempre sottosviluppata? Il nuovo investimento nel polo industriale di Nusco non dimostra l’ormai consolidata capacità del Sud di attrarre imprese italiane ed estere offrendo incentivi, aree attrezzate, manodopera qualificata, centri di ricerca e possibilità di relazioni intersettoriali?
Servirebbe allora da parte della Svimez un’effettiva, rigorosa, analitica ricognizione ‘granulare’ – ci si passi un’espressione oggi ricorrente – dell’economia dei singoli territori meridionali, andando al di là delle stesse ripartizioni regionali e provinciali, puntando alla scoperta di un’Italia del Sud profonda che rivelerebbe dinamiche realtà sinora inesplorate. Quella dell’Alta Irpinia, per esempio, ove si è localizzata l’azienda italotedesca di cui si è parlato, sembra non essere nota ai ricercatori per la consistenza delle sue aziende.
Questa ricognizione, in verità, da anni la sta conducendo con sistematicità sui settori trainanti dell’economia meridionale la SRM-società di ricerca del Gruppo Intesa San Paolo, presieduta da Paolo Scudieri e diretta da Massimo De Andreis che, pur non sottacendo i divari tuttora esistenti con le regioni del Nord, censisce con puntualità analitica tutte le realtà produttive e infrastrutturali del Meridione e il loro posizionamento competitivo nello scenario italiano e internazionale.
Sono già molto numerose le pubblicazioni della SRM che danno piena evidenza al “Sud che innova e produce” – è il titolo della collana che le raccoglie – che ormai con tante aziende e con alcuni buoni sistemi infrastrutturali esistenti in tutte le regioni è in grado di competere con successo nel nostro Paese e nel mondo. E chi scrive, componente da anni del Comitato scientifico della società, ha partecipato alla redazione di alcuni di quegli studi che hanno incontrato l’attenzione di studiosi italiani e della stampa specializzata.
Articolo a cura di
Federico Pirro
Automotive, Sud Italia, Svimez, polo industriale Nusco, Irpinia