Cercasi voglia di lavorare
La Great resignation ha colpito anche il laboratorio di pasticceria di mio papà, mio fratello e mio zio. Aperto dal 1955, la mia famiglia l’ha rilevato nel 1992. I dipendenti sono sei, il turnover rasenta lo zero da anni e anni. Mio zio stesso lavorava come dipendente del precedente proprietario che gli ha ‘insegnato il mestiere’. All’inizio di febbraio una delle dipendenti, addetta alle vendite e aiuto in laboratorio in forze da quasi 30 anni, ha chiesto di poter passare da full time a part time perché aveva necessità di ‘rallentare’ i suoi ritmi lavorativi per stare più vicina ai due figli pre adolescenti. Dopo pochi giorni dal ferale annuncio, la donna ha dichiarato ai tre già disorientati datori di lavoro che il part time non le interessava più e avrebbe preferito lasciare il posto, dando ufficialmente le dimissioni.
Oggi, a due mesi di distanza, non s’è ancora trovato qualcuno che la sostituisca. Quattro persone si sono avvicendate in pasticceria per fare una prova: una portata dall’agenzia interinale e tre scovate grazie al passaparola. La prima si è congedata, dalla mattina alla sera di un sabato di ordinaria follia (leggi ‘ben carico di lavoro’), inviando un Sms in pausa pranzo in cui annunciava: “Mi spiace, ma non ce la faccio”. Mio fratello, osservandola nel via vai brulicante del laboratorio, aveva percepito in lei un mix di stupore e smarrimento tipico di chi non si capacita della mole di cose da fare e dell’operosità delle persone che intorno a lei effettivamente ‘fanno’: una specie di gatto in tangenziale che non sa da che parte allungare la zampa.
Un’altra ragazza durante la decina di giorni di prova ‘ha capito’ che avrebbe preferito riprendere l’università. Se non altro l’esperienza è stata catartica. Un altro candidato non è piaciuto perché troppo lento e con poco ‘piglio’. Per dirla con le parole di papà: “Già alle 9 di mattina con una mano lavorava e con l’altra si appoggiava al tavolo…”. Forse questo candidato si aspettava un contesto più patinato, ispirato ai cooking show che vanno di moda oggi, dove i pasticceri adagiano con estrema meticolosità una fragolina di bosco sulla loro creazione artistica e scrutandola ne modificano di qualche grado l’angolazione in modo che la luce batta perfettamente sull’increspatura di panna montata…
Niente di più lontano dalle reali esigenze della nostra pasticceria che, oltre a dover produrre non una torta al giorno, ma un carrello pieno, ti mette di fronte al fatto che preparare tanti dolci significa anche affettare diversi chili di frutta, rompere decine e decine di uova, lavare e ungere gli stampi in cui i pan di spagna sono cotti e incartare. Mio fratello ha perennemente le mani arrossate perché le ha sempre umide a furia di sbucciar frutta e lavare, tanto per dire. Siamo in attesa di sapere se la persona attualmente in prova sopravvivrà a uno dei periodi più tosti dell’anno perché, col benestare del covid, sono ripresi gli ordini relativi a battesimi, cresime e matrimoni. La voglia e la tempra sembrano esserci, resta da vedere come si integrerà nel gruppo storico.
L’ingresso di un nuovo componente in un team cementato da anni di collaborazione è subito apparso fondamentale per la buona riuscita dell’eventuale inserimento. Nel suo ultimo sfogo mio fratello, che periodicamente mi aggiorna sull’andamento ormai tragicomico della ricerca, diceva che i dipendenti stanno un po’ patendo questo andirivieni di persone che pare non portare a nulla. Le certezze vacillano e il lavoro va comunque smaltito con una risorsa in meno. In questi mesi è stato virtuoso coinvolgere tutti nell’affiancamento, seppur breve, delle persone che si sono succedute in prova, ma certamente l’equilibrio di prima si è perso.
Di recente, dopo aver risposto all’ennesimo messaggio scorato, ho letto su LinkedIn il post di uno ‘Smart working evangelist’, il quale denunciava le difficoltà che nei mesi estivi lo aspettano nella gestione del suo cane: a causa del caldo la povera bestia non potrà essere lasciata nel camper-ufficio e lui dovrà tenerne conto nella pianificazione dei suoi impegni lavorativi. Mica roba da poco. Tra il fastidio e l’incredulità penso che debba esserci qualcosa di sbagliato in un Paese in cui convivono due racconti così distanti: da una parte quello di artigiani e piccoli imprenditori che non trovano la forza lavoro perché pare che nessuno abbia più voglia di fare fatica e di lavorare nel fine settimana (con straordinari rigorosamente pagati!). Dall’altra, qualcuno pontifica che sia possibile operare ed essere produttivi da un camper. O che un’azienda possa garantire il benessere dei suoi collaboratori solo se assume un Chief Happiness Officer…
Una narrazione totalmente disconnessa dalla realtà che ha certamente una buona responsabilità nella creazione di aspettative e scenari irrealistici, in un contesto di Piccole e medie imprese (PMI) che rischia di collassare su se stesso una volta che le generazioni di lavoratori (quelli che meritano realmente questo ‘titolo’) dovranno cedere il passo alle nuove leve che –loro no– non vogliono vivere per lavorare!
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PMI, Great resignation, pasticceria