Che fatica il digitale (ma solo sul lavoro)

Resistenza a utilizzare nuove tecnologie e timore di ‘essere controllati’: quante volte abbiamo sentito queste espressioni? A quanto pare anche in azienda sono sempre più diffuse, soprattutto ora che le imprese devono digitalizzarsi per restare competitive. Ne sanno qualcosa le aziende del Manifatturiero: tra quelle che hanno partecipato agli Stati generali della Meccatronica in Confindustria Bergamo, la questione è emersa in particolare durante la tavola rotonda dal titolo Digitalizzare e interconnettere.

Al giorno d’oggi la digitalizzazione non è più un tema da poter valutare di prendere in considerazione: è una rivoluzione globale che, semplicemente, sta avvenendo e che interessa non solo le organizzazioni, i mercati e l’economia in generale, ma anche la vita privata delle persone. Social network, geolocalizzazione e App dalle più svariate funzionalità sono strumenti diventati ormai parte del quotidiano. Eppure è solo pensando al lavoro che le nuove tecnologie suscitano perplessità e sconforto. Sono soprattutto le generazioni più adulte a opporre resistenza, scoraggiate dalla fatica di apprendere nuovi strumenti e nuove modalità.

Una ricerca del Centro studi ImpresaLavoro realizzata sull’elaborazione di dati Istat, Eurostat e Unioncamere evidenzia che i 41,5% dei giovani tra i 20-24 anni possiede un livello di competenze digitali avanzate, insieme con i ragazzi tra i 16-19 anni (36,2%), mentre il livello scende per la fascia 45-54 anni (20,3%) e 65-74 anni (4,4%). A ricoprire un ruolo chiave nella transizione digitale in azienda, allora, potrebbero essere proprio i più giovani (i cosiddetti ‘nativi digitali’), gli stessi che, però, le organizzazioni faticano ad assumere. Una problematicità che, secondo il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, si protrarrà anche nel 2023: sono infatti 153mila le assunzioni programmate rivolte preferenzialmente ai giovani sotto i 30 anni e per le quali si registra una difficoltà media di reperimento al 48%.

Accompagnare il cambiamento con la formazione

La digitalizzazione pare spaventare i lavoratori perché li mette di fronte a diverse sfide: non solo da un punto di vista operativo, ma anche dei supporti da utilizzare e riguardo la mentalità di approccio al lavoro. Per indagare la questione si può partire dal livello di educazione digitale: secondo l’Indice annuale di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) 2022, tra i 27 Paesi dell’Unione europea (Ue), l’Italia è terzultima per popolazione con competenze digitali di base (42%, contro una media Ue del 56%) e quartultima per competenze digitali avanzate (22%, contro il 31% della media europea).

La formazione si dimostrerebbe la soluzione più efficace per rendere ‘confortevoli’ le nuove tecnologie; eppure, sempre secondo l’indice Desi, solo il 16% delle imprese italiane ha istruito i propri collaboratori in ambito ICT. Inoltre le organizzazioni dovrebbero promuovere una cultura più innovativa e incline alle sperimentazioni: per esempio, se gli errori fossero meno ‘condannati’, i lavoratori sarebbero più motivati a prendere parte ai cambiamenti, senza opporre resistenze.

Nuove tecnologie, nuova leadership

Introdurre nell’organizzazione nuove tecnologie, senza però valutare di costruire ad hoc nuovi modelli di lavoro, potrebbe rappresentare la perdita di una grande possibilità. Tra le preoccupazioni principali delle persone rispetto all’introduzione di nuove tecnologie c’è anche l’aumento del ‘controllo’ da parte dei propri superiori: non è facile guardare con leggerezza a software che tracciano l’attività. D’altra parte, è anche vero che la digitalizzazione offre strumenti più accurati per monitorare la produzione e i risultati (e non le persone).

La transizione digitale non può gravare solo sulle spalle dei collaboratori, ma deve coinvolgere l’organizzazione intera. Come detto, le Risorse Umane devono saper offrire una formazione adeguata, ‘a 360 gradi’, e rendere partecipe la popolazione aziendale dei nuovi obiettivi e dei nuovi modelli di lavoro con una comunicazione chiara ed efficace; allo stesso modo anche la leadership deve seguire il cambiamento, superando il paradigma ‘vecchio stampo’ basato sul controllo e accogliendo maggiore flessibilità, prestando attenzione anche al benessere dell’ambiente di lavoro e alla crescita delle persone.

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Martina Midolo

Martina Midolo

Classe 1996, Martina Midolo è giornalista pubblicista e si occupa di social media. Scrive di cronaca locale e, con ESTE, ha potuto approfondire il mondo della cultura d’impresa: nel raccontare di business, welfare e tecnologie punta a far emergere l’aspetto umano e culturale del lavoro.

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