Diversità

Chi ha paura delle buone idee?

Ginni Rometty, l’ex CEO di IBM che nel 2020 ha lasciato il posto ad Arvind Krishna, ha condiviso con il Mit management sloan school il suo punto di vista su come nascono e crescono le grandi idee: ha sottolineato quanto un gruppo composto da persone con spiccate differenze tra loro possa contribuire all’innovazione e allo sviluppo di visioni vincenti, proprio grazie al gran numero di angolazioni fornite da un team diversificato. Secondo l’ex manager della multinazionale tecnologica statunitense, inoltre, più ampio è il background di una persona e meglio è: “Credo sinceramente di ottenere idee e risultati migliori da talenti diversi tra loro”.

Per dare seguito alla sua visione anche dopo aver rassegnato le dimissioni a IBM, Rometty è diventata Co-Presidente di OneTen, un’organizzazione statunitense che tra i suoi obiettivi ha quello di assumere, entro il 2030, 1 milione di afroamericani senza laurea per svolgere lavori legati alla sfera del sostegno familiare. Inoltre la manager ha confermato di puntare ad ampliare il più possibile il suo team di talenti.

Crescere ampliando il pool di talenti

Ma per aprire le porte a più professionisti diventa fondamentale smantellare le barriere strutturali che colpiscono in modo sproporzionato alcuni gruppi. Per esempio proprio le persone di colore, come spiegato dalla stessa Rometty: “Mentre molte aziende fanno affidamento su una laurea come ‘autostrada per il successo’ sul posto di lavoro, considerandola un prerequisito per l’assunzione, bisogna considerare che quasi l’80% dei afroamericani non la possiede. Ecco perché abbiamo incoraggiato le imprese verso un approccio basato sulle competenze”. Anche perché secondo la manager, la strada verso l’uguaglianza e la parità passa in primo luogo dalle opportunità economiche, e quindi anche lavorative: “È una verità che ho visto confermata nel corso della mia carriera”.

La sua prospettiva si basa in parte anche sulla sua storia familiare poiché sua madre si è trovata, ancora molto giovane, a dover fronteggiare difficoltà economiche dalle quali ne è poi uscita cogliendo le opportunità che si sono presentate, con impegno e dedizione. “Grazie a lei ho capito che molte di queste persone erano proprio come mia madre. Il successo, una volta che è stata data loro la possibilità di arrivarci, dimostra che non è mai stata una questione di capacità o attitudine, ma di accesso e opportunità”, è la teoria di Rometty.

Dall’ascolto attivo all’importanza di osare

Sulla diversità di background e di approcci – e in generale sul confronto con gli altri – l’ex CEO di IBM ha basato anche la sua idea di come affrontare al meglio i grandi problemi sistemici. “Se vuoi trovare nuove idee, può essere d’aiuto ascoltare voci diverse, persone con esperienze differenti. Ecco perché un autentico impegno per la diversità e l’inclusione è così importante”, ha spiegato, forte della convinzione che dare il massimo in un settore come quello tecnologico equivalga a impegnarsi per un futuro migliore.

In che modo? Per esempio collaborando con gli altri e prestando attenzione alle loro osservazioni, innanzitutto. E cercando di ascoltare più di quanto non si parli. Rometty è una grande sostenitrice dall’ascolto attivo e ha raccontato che in IBM otteneva ottime idee ponendo molte domande e cercando sempre di imparare da chi la circondava: “Mostra all’altra persona che vuoi veramente apprendere e lei stessa sarà più coinvolta quando vede che apprezzi ciò che ha da offrire. Inoltre, se chiedi consigli e sei disposto a prenderli davvero in considerazione tutti sono disponibili a offrire aiuto. Tutti possono essere mentori dai quali si può imparare”.

Ma come riconoscere una buona idea? Per Rometty un indizio è che la proposta possa mettere a disagio le persone, perché – a suo dire – crescita e comfort non possono coesistere e lo sviluppo passa per forza dall’assunzione di rischio. Questo, però, scoraggia molte persone ad adottare nuove (e buone) idee, proprio perché si abbandona la zona in cui si sta meglio. Un atteggiamento, quest’ultimo, che per la manager è tanto controproducente quanto lo sono gli ostacoli autoimposti. “Le idee peggiori che ho avuto durante il mio percorso sono state guidate da barriere che esistevano solo in parte o non esistevano proprio e credo che a prestarvi il fianco siano soprattutto le donne”, ha raccontato Rometty. A volte uscire dalla propria zona di comfort può voler dire anche uscire dagli schemi in cui si è ingabbiati.

risorse umane, HR, diversità, ascolto attivo, comfort zone


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Erica Manniello

Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.

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