Chi lavora da remoto non fa carriera

Se fino a pochi anni fa in Italia il lavoro a distanza era un modello organizzativo applicato solo in poche aziende innovative, in seguito alla pandemia è stato implementato in tantissimi settori (sia pubblici sia privati). Nonostante il lungo dibattito in corso sul futuro di questa tipologia di lavoro – nella Pubblica amministrazione il Ministro della Pa, Renato Brunetta, ha già imposto il rientro di tutti i lavoratori – è ormai chiaro che si possa lavorare a distanza. Tanto che è lecito addirittura immaginarsi di poter sviluppare una carriera anche se si vive lontani dalla sede principale dell’azienda per cui si lavora. Ma è davvero così? Non proprio, almeno secondo i lettori di Parole di Management. Il nostro quotidiano ha lanciato un’inchiesta proprio su questo tema – Lavorare da remoto: vantaggio o danno per l’evoluzione di carriera? – coinvolgendo i lettori attraverso la compilazione di un questionario.

All’iniziativa hanno risposto in pochi giorni più di 100 persone, che si occupano principalmente di Risorse Umane: sette rispondenti su 10 sono infatti manager della funzione HR. Questo dimostra che il tema del lavoro a distanza e delle implicazioni sulla carriera sta diventando un fattore di cui tenere conto nelle strategie HR e di business di ogni organizzazione. I risultati del sondaggio sembrano però contrastare tra loro: il 59% pensa che lavorare da remoto non sia un ostacolo all’avanzamento di carriera, ma poi il 37% crede che sia mediamente importante la presenza fisica in sede per valutare il passaggio di carriera di una persona.

Il 31,5% degli intervistati, inoltre, lo ritiene molto importante, avendo scelto “4” come valore in una scala da 1 a 5 in cui al valore 1 corrisponde la risposta “per nulla importante e al valore 5 la risposta “molto importante”. Insomma, la distanza non sembra essere l’unica motivazione di un rallentamento o di un blocco di carriera, ma in parte contribuisce a ostacolare l’avanzamento nella ‘gerarchia’ dell’organizzazione.

Formazione e feedback periodici mantengono alto l’engagement

Per ovviare a questa difficoltà, però, ci sono delle attività che chi lavora a distanza può mettere in pratica nella vita di tutti i giorni per scardinare l’idea che la presenza in ufficio influenzi sull’evoluzione della carriera. Per il 57% degli interpellati, infatti, non è vero che da remoto i lavoratori hanno meno possibilità di emergere: quasi la metà delle persone, per esempio, concorda totalmente sul fatto che la videocamera accesa durante le riunioni online aiuti a farsi percepire ingaggiati. Inoltre, chi lavora da remoto e cerca di mantenere i rapporti personali con i colleghi – magari attraverso chat e telefonate informali – è giudicato positivamente (40%). Questo atteggiamento è premiato perché a distanza è più difficile costruire e mantenere rapporti lavorativi, come ha ammesso il 36% degli intervistati.

Un altro comportamento valutato positivamente da quasi tutti (83%) è la richiesta di feedback periodici da parte di chi lavora in Remote working, perché è considerato un sintomo di interesse verso il proprio lavoro e la propria azienda. Solamente il 12% delle persone intervistate pensa invece che chiedere (e ottenere) un feedback nasconda in realtà una mancanza di autonomia e sia esclusivamente una strategia di controllo dei manager.

Se quindi la presenza fisica in sede per valutare il passaggio di carriera rimane abbastanza importante, su quali aspetti ci si basa per analizzare chi lavora da remoto? Abbiamo chiesto, per esempio, quanto conti la disponibilità a formarsi in orario extra lavorativo. Il 37% ritiene che sia “mediamente importante”, il 22,5% che sia “molto rilevante”, mentre per una persona su quattro non lo è per nulla. Rispetto alla formazione, comunque, c’è una sostanziale parità tra chi crede che siano più utili i corsi formativi proposti dalla propria azienda e chi crede che siano più vantaggiosi i percorsi scelti in autonomia. La formazione, qualunque essa sia, rimane quindi fondamentale per l’avanzamento di carriera, anche da remoto.

Nota metodologica: L’inchiesta ha coinvolto 111 aziende, attive principalmente nel Manufacturing (21%), Servizi (19%), Finance (11%) e Pubblica amministrazione (8%). La loro sede principale si trova soprattutto nelle zone del Nord Ovest (41%) e del Centro (27%). Quasi un terzo delle imprese ha oltre 1.000 dipendenti, mentre il 24% ne ha tra i 200 e i 500.

 

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Elisa Marasca

Elisa Marasca

Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino. Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica. Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.

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