Chiude la scuola, un fallimento per il Paese
Dal 15 marzo 2021, nove studenti su 10 sono in Didattica a distanza (Dad), che nel frattempo ha cambiato nome e si chiama Didattica integrata digitale (Did). Cambia solo il nome, non la sostanza. È stato accertato che gli effetti sull’apprendimento sono drammatici e si stima oscillino in un divario tra il 35 e il 50% nelle discipline matematiche e linguistiche. Per definire quantitativamente l’entità dei divari è stato confermato lo svolgimento delle prove Invalsi sospese nel 2020. Certificato il danno, educativo e psicologico, cosa si potrà fare? Il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha convocato una commissione di quattro esperti per “elaborare un piano di recupero degli apprendimenti“. Il piano per essere efficace dovrà fare i conti con il Contratto collettivo nazionale dei docenti.
La durata delle ore di insegnamento è disciplinata dall’articolo 28 del Ccnl e l’articolo 29 disciplina le attività funzionali all’insegnamento: programmazione, progettazione, ricerca, relazioni con le famiglie. Finite le lezioni a giugno, il personale docente resta disponibile per attività obbligatorie, come esami o attività programmate, ma i programmi di recupero non rientrano in questa tipologia di attività. E quindi la necessità di colmare un vuoto attraverso attività di recupero si scontra con un contratto di lavoro fuori dal tempo e cieco di fronte alla povertà educativa che sta generando la pandemia.
Una inadeguatezza resa ancora più insostenibile da certe dichiarazioni che vengono accampate come scusa per non prolungare l’anno scolastico, come le elevate temperature: dal Trentino alla Sicilia le aule si trasformano in graticole roventi, uno scenario da Inferno dantesco poco consono allo svolgimento della didattica. Al timore per il collasso da temperature equatoriali si aggiunge la paura dei docenti per il contagio. Ed ecco che in questo mondo al contrario dove le favole si trasformano in tragedie, trova spiegazione il fatto che la campagna vaccinale abbia dato precedenza ai docenti universitari, che magari non vedono un’aula da un anno, piuttosto che agli insegnanti di elementari e scuole dell’infanzia, le cui attività sono proseguite spesso anche in zona rossa.
Tutto questo succede quando con la retorica consueta si celebra la festa della donna. Giusto evidenziare i dati, visto che dei posti di lavoro persi nel 2020 oltre il 55% riguarda le donne. Quindi, cosa vogliamo fare in una situazione così piena di contraddizioni?
I (soliti) problemi che riemergono
Non smettere di puntare il dito sulla questione, indignarsi pare già un atto eroico. Nella puntata del 12 marzo 2021 di PdM Talk, abbiamo rilevato come alle altisonanti dichiarazioni per combattere le disuguaglianze si risponda con la chiusura delle scuole, e la didattica in presenza non venga garantita nemmeno ai figli dei lavoratori che svolgono ruoli indispensabili, partendo dal personale sanitario.
Le donne che hanno perso il lavoro sono in difficoltà, ma anche chi un lavoro ce l’ha è in grave crisi. Come ci ha sottolineato Cristina Zucchetti, Presidente del Gruppo Zucchetti, se anche si ha la possibilità di lavorare da casa, con un figlio che frequenta le elementari la didattica, di fatto, è inconciliabile con il lavoro. Da qui lo sconforto di non sentirsi sostenuti, come cittadini e anche come imprenditori. È stato approvato il decreto Legge Covid e per chi ha figli in quarantena o in Dad fino al 30 giugno 2021, i genitori dipendenti potranno usufruire dei congedi Covid retribuiti al 50%, inoltre gli autonomi, forze dell’ordine e operatori sanitari potranno optare per il bonus baby sitting. Si tratta comunque di palliativi che non incidono in maniera risolutiva e determinante sul problema di fondo: l’organizzazione delle famiglie.
Il momento è delicato, Arianna Visentini, CEO di Varazioni, ha evidenziato come la pandemia abbia enfatizzato problemi già ben presenti nella nostra società e mai affrontati con la determinazione profonda di volerli risolvere. La conciliazione non è un tema solo femminile, come si tende troppo spesso a considerare, ma richiede una diversa prospettiva per generare cambiamenti. Ci ha provato Costanza Musso, Amministratore Delegato del Grupppo Grendi e imprenditrice coraggiosa che ha invitato i dipendenti uomini a usufruire dello Smart working per capire cosa si prova.
Il ruolo degli educatori
E qui si arriva alla vera domanda alla quale non c’è risposta. Gli effetti dell’allontanamento dai luoghi della didattica e i disagi del lavoro da remoto, sono condivisi anche dai sindacalisti, uomini e donne, che si oppongono al prolungamento dell’anno scolastico? I professori che negano la disponibilità a realizzare corsi di recupero sono tutti senza figli, o con prole con un quoziente intellettivo al di sopra della media?
Possibile che non ci sia un sindacalista con un figlio in Dad – Did pardon – che alzi la mano e dica una cosa semplice: le nostre rivendicazioni sono ridicole e offensive. Serve uno scatto d’orgoglio, anche da parte degli educatori a non abdicare al loro ruolo. Tutti sappiamo che il nostro corpo insegnante va pagato di più e di questo si dovrebbe occupare il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).
Ma le risorse serviranno a poco se tutti gli attori coinvolti non saranno animati da un autentico senso di responsabilità. Perché dalla responsabilità individuale dipende la responsabilità collettiva. In azienda facciamo grandi ragionamenti sul purpose, sul senso del lavoro. Lavoriamo per lo stipendio o perché crediamo in quello che facciamo?
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