Ci vuole una donna, ma senza cognome!

Nei giorni successivi alla settimana politica di passione e vergogna che ha portato Sergio Mattarella a essere eletto per la seconda volta Presidente della Repubblica abbiamo assistito al compendio dell’inadeguatezza di una classe politica acefala e incapace di autoregolarsi, come bambini recalcitranti che ignorano il suono della campanella e proseguono imperterriti nei loro schiamazzi cacofonici. Insieme con la certezza dello scarso spessore civico di questi ‘ominicoli’ che ci governano, le giornate di dibattito ne hanno portata a galla un’altra: la mancanza di un reale intento di cambiamento nelle politiche di genere che governano anche le istituzioni pubbliche, uno degli ambiti forse più duri da scalfire in quanto storicamente dominato da una rappresentanza maschile.

Il problema di fondo non risiede certamente nel non aver ottenuto ‘una donna’ come nuovo Presidente della Repubblica (evento avanguardista che non mi aspetto nemmeno tra sette anni), ma nell’ostinazione con cui l’intento di eleggerla è stato urlato ai quattro venti e strumentalizzato da più esponenti politici, i quali fingevano di non sapere che la vera battaglia avrebbe avuto un obiettivo credibile se si fosse combattuto per portare al Quirinale ‘la signora X’ con un nome e un cognome, indipendentemente dal fatto che si trattasse di una donna. All’intento vuoto e populista di voler eleggere una donna sarebbe stato più sensato affiancare l’elenco delle competenze che renderebbero la persona in questione papabile candidata per un ruolo politico di tale rilievo. Competenze che, come in un’equazione matematica, ne giustificherebbero l’elezione. Esattamente come in teoria dovrebbe avvenire per l’elezione di una qualsiasi persona, indipendentemente dal genere.

Cito alcuni tra i vuoti proclami urlati a più riprese da uno dei nostri politici – Matteo Salvini – su Twitter: “Una donna delle istituzioni al Quirinale. Un onore proporla”. Oppure ancora: “Lavoro per Presidente donna e in gamba”; “Un altro caffè e al lavoro, la prima donna Presidente della Repubblica sarebbe una straordinaria innovazione”. Mai che compaiano un nome e un cognome. Oh, donne che leggete, fermiamoci tutte e inchiniamoci a questo ancello che con somma magnanimità ed estremo paternalismo ci propone come Presidenti della Repubblica e ‘lavora’ (lui!) senza sosta per portarci sul colle della Presidenza. Che senza il suo endorsement non ce la faremmo (e comunque nemmeno ‘con lui’ ce l’abbiamo fatta) e naturalmente il merito sarebbe (anche) suo. Ma soprattutto, ringraziamolo perché ritiene l’intera categoria ‘donna’ degna di ricoprire un tale ruolo.

Io, Matteo, te lo dico: sono onorata, ma non me la sento. Non so come si pongano di fronte a una manifestazione di cotanta fiducia ingiustificata le altre 30,3 milioni di italiane chiamate in causa. La deriva della comunicazione inconcludente, proprio perché fondata su stereotipi e topos ininfluenti ai fini di un’elezione a Presidente della Repubblica, come quello del genere, si incarna nei ritratti misogini che i giornali fanno delle ‘povere disgraziate’ che gli schieramenti politici hanno con magnanimità indicato come possibili candidate.

In un titolo del Corriere della Sera, per ritrarre con qualche pennellata Elisabetta Belloni, si è detto innanzitutto che “ama fare passeggiate all’alba e tirare con l’arco”. Una sorta di romantica amazzone, una “donzelletta che vien dalla campagna” dei nostri tempi. Solo come ultimo punto del ritratto si aggiunge che ha un ruolo – non meglio definito – nei Servizi segreti. Peccato che li diriga. La solfa non cambia per Elisabetta Casellati, che viene addirittura ritratta ‘in funzione’ di vari maschi: “Chi è Casellati: il papà partigiano, il figlio direttore d’orchestra, la sinfonia con Ghedini”. Con un curriculum che può contare su tali influenze ‘testosteroniche’, l’attuale Presidente del Senato non potrà essere così inadatta come candidata.

Sono le parentele e le collaborazioni con i maschi di turno a renderla degna. Impegno e meriti personali non emergono da nessuna parte. Possibilissimo che non ne abbia, ma allora perché proporla? Perché rappresenta una ‘pallottola a salve’ nella strategia di vuoti intenti pseudo-rivoluzionari di cui sopra. Il confronto con un candidato maschio, Sabino Cassese (ex Giudice della Corte Costituzionale), non offre sconti a una comunicazione che è emblema di quella visione patriarcale che non può in alcun modo farci sperare in un’imminente evoluzione culturale. Lo strillo, infatti, annuncia che Cassese ha nove lauree ed è stato Ministro. Gli viene addirittura data voce con un bel virgolettato in cui dichiara: “Lasciatemi fare il professore”. Altro che passeggiate e tiro con l’arco, passatempi da femminucce, lui sì che vuole lavorare! E, pensate, può anche rifiutarsi di fare il Presidente della Repubblica.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Gennaio-Febbraio 2022 della rivista Persone&Conoscenze.
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parità di genere, Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica, Elisabetta Belloni


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Martina Galbiati

Martina Galbiati è Responsabile Marketing della casa editrice ESTE

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