Come le aziende possono affrontare Yolo economy e Great resignation
Nell’articolo dal titolo “Yolo economy e Great resignation: perché le persone cambiano posto di lavoro” si sono analizzati i motivi per i quali, a fronte dei grandi cambiamenti in atto nel lavoro, si assiste al fenomeno delle grandi dimissioni dei lavoratori. In questo articolo si propone una riflessione sulle azioni messe in atto dalle aziende per contrastare il nuovo scenario.
Le imprese, infatti, cercano, con tentativi ed errori, di individuare una strada in grado di trattenere i propri collaboratori e molte hanno già offerto molteplici opzioni permettendo un rientro al lavoro post Covid mantenendo la possibilità del lavoro in remoto per alcuni giorni (in molti casi non è però chiaro se la scelta è temporanea o permanente). Le ipotesi delineate nell’articolo precedente ci invitano a ragionare intorno a un approccio metodologico, piuttosto che individuare delle soluzioni passepartout che in un contesto come quello che stiamo vivendo, sarebbero poco efficaci.
Prendendo spunto dall’esperienza maturata negli Usa, nella consapevolezza che la situazione italiana ha una propria specificità culturale e sociale, oltre che una cultura manageriale radicalmente diversa, si può suggerire alle imprese di operare su quattro fronti.
Decidere attraverso i dati
Serve per prima cosa basare le proprie decisioni su dati certi per capire, circoscrivere e quantificare il fenomeno. Bisogna essere precisi nell’identificare il turnover per classi di età e per ambiti di lavoro, suddividerlo tra dimissioni volontarie o dimissioni e dimissioni concordate con l’azienda; è importante per avere un’idea precisa di quanto sta avvenendo.
Inoltre, l’uso dei dati in modo accorto e intelligente deve anche permettere di comprendere l’impatto del fenomeno sui obiettivi-risultati aziendali non solo quelli di natura meramente economica (produttività, valore prodotto dalle funzioni, ecc.), ma anche quelli più lungimiranti come la perdita delle competenze, il fatto che i dimissionari siano o meno delle risorse chiave.
Identificare la cause vere delle dimissioni
Quando il fenomeno è rilevante per l’azienda bisogna identificare le vere cause delle dimissioni dei collaboratori. È in questa fase che ci si deve interrogare sulla propria organizzazione, sulle aspettative delle persone e sulle modalità che sono utilizzate per premiare e sanzionare i comportamenti, sui sistemi di valutazione e sul modello e stile di leadership. A volte le persone se ne vanno per questioni banalmente legate alla remunerazione, ma sempre più spesso l’uscita è determinata dalla criticità delle relazioni con il proprio superiore o con i propri colleghi.
L’atmosfera, intesa come l’involucro intangibile che circonda i soggetti e gli oggetti trattenuti, in un dato contesto come quello aziendale è fondamentale, e lo è più del clima nella fidelizzazione dei collaboratori. Unire l’analisi quantitativa con questa seconda più qualitativa consente ai gestori delle risorse umane, non solo di capire i soggetti maggiormente a rischio di dimissioni, ma anche individuare delle strategie mirate per trattenerli.
Iniziative per fidelizzare e motivare le persone
Bisogna elaborare un programma di trattenimento-fidelizzazione-motivazione specifico per i target interni a rischio. Le analisi effettuate mettono in evidenza i gap che devono essere sanati per trattenere e fidelizzare le risorse necessarie all’impresa e alla sua catena del valore. Se si è compreso che le persone se ne vanno perché non vedono possibilità di carriera è bene ripensare ai piani di sviluppo e comunicarli adeguatamente ma, al contempo, è utile verificare che il modello di leadership valorizzi adeguatamente la crescita e sia interiorizzato correttamente nello stile di leadership agito dai capi.
Coordinarsi con il ‘mondo esterno’ all’impresa
Nell’analisi costi-benefici del lavoro in ufficio-lavoro in remoto intervengono fattori che spesso non rientrano nel campo decisionale aziendale come per esempio il tragitto casa-lavoro, la tipologia del luogo in cui si eroga la prestazione lavorativa (casa, coworking, ecc.), la necessità di dare sostegno ai propri familiari in assenza o in carenza di servizi adeguati, le aspettative di una maggiore libertà d’azione e di organizzazione dei propri tempi.
Ciò impone alle imprese di riportare nel proprio campo d’azione tutte le relazioni con gli attori territoriali che possono influenzare in modo più o meno diretto le strategie di retention e fidelizzazione dei propri collaboratori. L’impresa non può chiudersi nel proprio guscio, non ha la forza per intervenire con una congrua possibilità di successo, su questioni in cui è la politica a giocare la parte più importante. Questo significa che le imprese, in modo più o meno organizzato collettivamente, dovranno cercare con azioni mirate di influenzare i propri influenzatori dotandosi di pratiche che indirizzino l’azione del management in quella direzione.
Le competenze del management fanno la differenza
La mia esperienza mi induce a ritenere che l’organizzazione del lavoro intesa in senso lato sia il punto cruciale che deve essere affrontato per elaborare programmi di trattenimento e fidelizzazione dei collaboratori. Il periodo emergenziale del Covid ci lascia una sfidante eredità esperienziale – sia per le imprese sia per i collaboratori – che ha modificato il modo di vedere il lavoro e l’organizzazione.
In entrambi i casi, gli attori fondamentali, imprese e collaboratori, hanno subito uno choc. Si è spostato, per molti collaboratori, il luogo dell’erogazione del lavoro che tradizionalmente incluso nella box delineata dai confini materiali dell’organizzazione dell’impresa, modellava la vita extra lavorativa. Non è un caso che spesso di parla di combinare i tempi di vita con quelli lavorativi quasi che il lavoro non fosse e non sia parte essenziale della nostra vita.
Oggi siamo di fronte al capovolgimento di questo approccio: il lavoro è una parte della vita lavorativa e spesso la richiesta che emerge dai collaboratori è che sia la vita, nelle sue molteplici sfaccettature, a modellare le forme del lavoro che si vuole svolgere e a disegnare le aspettative che si ha verso il lavoro. Si vive una volta sola, ci dice la Yolo economy (come spiegato nell’articolo precedente si tratta dell’acronimo dell’espressione You only live once, teorizzata da Kevin Roose sul The New York Times). Ciò induce anche le organizzazioni a interrogarsi sulle modalità di gestione di un ‘modo di lavorare e produrre’ che sia compatibile con il nuovo che avanza e che sia sostenibile economicamente e socialmente.
Il percorso quindi che permette alle imprese di trattenere le persone, in un periodo in cui è emergente – proprio per i target più a rischio – la filosofia della Yolo economy, è un percorso che modifichi i paradigmi tradizionali di gestione delle risorse umane dove la componente relazionale è vista come causa e cura dei fenomeni osservati, per acquisire una modalità di lavoro più ‘scientifica’ quando si tratta di riconoscere le dinamiche che caratterizzano l’internal marketing e decidere, con cognizione di causa, strategie che le possano modificare.
In tutto questo la qualità del management fa la differenza non solo nell’approccio relazionale che caratterizza lo stile di leadership, ma soprattutto attraverso una managerialità matura e competente che sia in grado di leggere il contesto, comprenderne le opportunità e le minacce e di individuare autonomamente strategie ad hoc di gestione dei collaboratori, avendo come faro i mainstream delle politiche aziendali di gestione del personale.
Gli ingredienti, in estrema sintesi, del rethinking organizzativo sono: flessibilità dell’organizzazione del lavoro; valorizzazione dei collaboratori in senso ampio e di coloro che hanno più opportunità di cambiamento in modo specifico; human touch e Human integration management, perché non è da sottovalutare il fatto che il cambiamento dei confini del lavoro impatta spesso sull’identità collettiva e sull’engagement. L’organizzazione del lavoro deve diventare ‘smart’ e non solo per coloro che possono fare Remote working, ma per tutti quelli che vivono l’impresa, attraverso un utilizzo accorto e attento dell’informatica per evitare che il ricorso al digitale si trasformi nella disumanizzazione del lavoro e incida negativamente sulla prestazione.
In tutto questo la preparazione delle persone che ricoprono i ruoli apicali è fondamentale: la managerialità e la leadership deve diventare più diffusa e collettiva perché è solo attraverso il coinvolgimento di molte persone e la dialettica tra pari che si sviluppa l’innovazione sociale di cui l’organizzazione ha bisogno per affrontare le sfide che la Yolo economy lancia alle imprese.
Sociologa delle organizzazioni e del lavoro, Daniela Bandera è co-fondatrice dell’Istituto di Ricerche Sociali e di Marketing Nomesis di cui è attualmente Amministratrice Delegata è autrice del libro L’impresa Coevolutiva. Le quattro sfide del management (2019). È ricercatrice e consulente strategica di imprese e istituzioni; è attiva nel mondo associativo femminile: Past President di Ewmd Italia – European women’s management development international network e Co-Responsabile del Gruppo tecnico Le imprenditrici di Confindustria Brescia, si impegna per la crescita delle donne nei ruoli apicali delle organizzazioni.
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