Con il nuovo Ccnl metalmeccanico la classe operaia diventa di ruolo
Dopo 48 anni, è stato riformato l’inquadramento professionale del Contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici. Questa piccola rivoluzione, avvenuta dopo mezzo secolo di tempo, è già di per sé una notizia. Ma non è l’unico aspetto interessante di questo rinnovo, che giunge proprio nel pieno della pandemia.
Il nuovo contratto – definitivamente approvato in questi giorni – prevede aumenti di salario, riconoscimento delle competenze (anche trasversali) di lavoratrici e lavoratori, rafforzamento del diritto alla formazione, nuove norme sul lavoro agile (con diritto alla disconnessione), tutela delle donne contro le molestie sul luogo di lavoro, tutela della salute e dell’ambiente, potenziamento dei diritti d’informazione e partecipazione dei lavoratori nelle strategie di impresa e nell’organizzazione del lavoro.
Sono ben 1,5 milioni i lavoratori interessati e il fulcro del cambiamento è proprio la riforma dei nuovi livelli e criteri di inquadramento professionale. Sono previsti nove livelli, ognuno con una diversa declaratoria (descrizione delle competenze) formulata in base a sei nuovi criteri di professionalità. Il nuovo inquadramento entra in vigore dal 1 giugno 2021: da questa data è eliminata la prima categoria; i lavoratori già in forza al 31 maggio 2021 e inquadrati nell’ex primo livello sono riclassificati nel D1 (ex secondo livello). I nove livelli di inquadramento sono compresi in quattro campi di responsabilità di ruolo, da D ad A.
Superati i riferimenti a professioni desuete
Per fare chiarezza sulla ‘rivoluzione’ promossa dal Ccnl Metalmeccanici, abbiamo chiesto un commento a Giuseppe Cucurachi e Alessia Consiglio, Avvocati Giuslavoristi dello Studio Nunziante Magrone, che hanno subito posto l’attenzione sul fatto che, a differenza di quanto saremmo portati a pensare, ormai il contratto dei metalmeccanici non è destinato solo alla cosiddetta ‘industria pesante’, ma ricomprende tante nuove professioni del digitale – mansioni estremamente raffinate e delicate – che hanno portato aziende e parti sociali a ridefinirle nella più ampia accezione dei ‘ruoli’.
Questo permette, innanzitutto, di valorizzare una serie di competenze trasversali che si fanno via via più rilevanti, man mano che si prosegue tra i campi professionali e tra i livelli in essi compresi. La prima categoria è stata del tutto eliminata, perché si rivolgeva a professioni oggi desuete. Per quanto riguarda la formazione continua, poi, nel contratto è elencata una vasta scelta di competenze trasversali da valorizzare e, in generale, si cerca di suggerire una sempre più spiccata adesione alla formazione erogata di quelle che sono le reali e concrete esigenze delle aziende moderne.
Secondo i giuslavoristi ripensare al ruolo dei dipendenti, oggi, è comunque positivo. I nuovi livelli sono per lo più migliorativi. Fino a qualche anno fa, gli addetti ai lavori ripetevano provocatoriamente che fosse più facile licenziare un dipendente, piuttosto che modificarne le mansioni. In effetti, molti sono i contenziosi che si sono aperti nelle aziende su questo aspetto. La prima grande svolta in tal senso è stata nel 2015, quando uno dei decreti attuativi del Jobs act ha stabilito che, all’interno del livello di inquadramento e della categoria, il lavoratore possa subire uno spostamento, anche perdendo una parte del ‘pregio’ delle proprie mansioni e del proprio bagaglio di conoscenze, senza poter sollevare contestazioni a riguardo.
Aumentano la flessibilità e l’adattamento al contesto
Il mercato del lavoro richiede sempre più una flessibilità che, laddove limitata e fisiologica, fa parte del normale adattamento alla vita di un team o di un lavoratore. Il contratto del settore metalmeccanico, tradizionalmente abbastanza rigido, va oltre: supera il concetto di livello per passare a quello di ruolo. Secondo Cucurachi, si denota un perimetro molto più ampio su cui spaziare e una flessibilità maggiore, sempre nel rispetto della legge e presupponendo la buona fede dell’azienda.
Adibire un lavoratore a mansioni leggermente inferiori o superiori, più o meno creative o ripetitive, è finalmente riconosciuto come fisiologico nell’organismo-impresa. La contropartita, che va tutta a vantaggio del dipendente, è che, come anticipato, la formazione continua erogata deve tenere conto di questa flessibilità, fornendo ai lavoratori adeguati strumenti per tenere il passo con i progressi tecnici e tecnologici.
Quando una mansione è soppressa, questo non comporta più analogo destino per il lavoratore, che può essere più facilmente ‘riconvertito’, tenendo conto anche delle soft skill, creando così meno esuberi nel tempo. Bisogna infatti considerare che, ormai, la metalmeccanica comprende aziende informatiche, consulenza alle imprese, realtà molto avanzate nel nostro panorama industriale, che faticavano a riconoscersi in un contratto così datato e a compartimenti stagni.
Siamo giunti, dunque, a una maggiore omogeneità tra le figure realmente presenti in azienda e quelle descritte dal mansionario. Il cambiamento interpella per primi gli HR manager che hanno, ora, il compito, insieme con i giuslavoristi, di traghettare le aziende in questa nuova fase, avendo a disposizione maggiore flessibilità nello spostare le risorse e nell’assegnare nuovi compiti, garantendo un percorso professionale molto più vario e, dunque, soddisfacente.
Il fatto che innovazioni così rilevanti arrivino proprio dalla metalmeccanica non stupisce Consiglio: “In questa contrattazione si confrontano tra loro due poli storicamente forti nel tessuto delle relazioni industriali italiane: da entrambe le parti c’è, da tempo, grandissima attenzione all’innovazione industriale, alla digitalizzazione dei processi e anche alle competenze trasversali, che nel contratto sono opportunamente calibrate sulla base delle mansioni”. E per il legale, è probabile che questo Ccnl farà da apripista e da esempio per le future contrattazioni e relazioni industriali di altri settori. Anche per le PMI questo può essere un vantaggio e uno stimolo a valorizzare alcune competenze dei propri dipendenti, per condurre ad una maggiore innovazione.
Dovendo individuare i possibili rischi per il futuro, si evidenzia che come la flessibilità piena è un’opportunità, può diventare un costo, in senso ampio: impone, infatti, una vera sfida culturale a chi gestisce le risorse umane. Anche a questa figura è richiesto di trasformarsi in un vero e proprio HR manager, valorizzando alcune doti relazionali, empatiche, di gestione del team, di valutazione della performance e della aderenza delle persone col ruolo ricoperto.
Ampliare la platea dei lavoratori dell’industria digitale
La stessa sfida si applica al lavoro agile, che entra a pieno titolo nel contratto. Esso è citato in un paragrafo che nomina e tiene conto delle conseguenze della pandemia da Covid-19 e garantisce, a chi lavora da remoto, pari diritto alla disconnessione, oltre che alla privacy e al trattamento in generale. Non è banale pensare, con lo sguardo rivolto a quanto appena vissuto, a quanti cambiamenti siano andate incontro le aziende e, con esse, il mondo del lavoro in generale. Siamo di fronte a una sfida che, secondo i giuslavoristi, si gioca soprattutto nella capacità dei manager di saper leggere il presente e dare giusta applicazione alle norme scritte, ma anche nella capacità di saper cogliere le opportunità future, adeguando per prima cosa la formazione.
Oggi non c’è un Ccnl che possa andare bene per qualsiasi tipo di lavoro: negli Anni 80 del Novecento i pony express erano una sfida all’inquadramento contrattuale, a causa di quelle che il legale chiama le “forche caudine” del costo di alcuni rapporti di lavoro subordinato. Oggi il tema di attualità sono i rider e, con essi, altre forme di lavoro della Gig economy. Ecco, queste sfide di ieri e di oggi sono ciò che rendono più flessibile la rigidità della nostra manifattura: cambiano, anche dal punto di vista culturale, il nostro sguardo sul ‘prestigio’ delle mansioni o, per lo meno, sulla loro rilevanza (si veda, appunto, la funzione dei fattorini degli algoritmi durante la pandemia).
Non possiamo non tenere conto del fatto che, oggi, la nostra metalmeccanica è composta sì dagli operai delle fonderie, ma anche da raffinati programmatori di Intelligenze Artificiali. Ci sono gli (ex) artigiani del Made in Italy che ci hanno resi famosi nel mondo e gli innovatori dell’Industria 4.0. Tutto questo va tenuto insieme, anche dal un punto di vista sociale, non solo legale. Inquadrare questa varietà, questa differenza, che è pura ricchezza, in un livello contrattuale significa fotografare in modo imperfetto una situazione variegata e complessa. La novità dell’introduzione dei ruoli prova a farlo, in modo maggiormente aderente a ciò che, spesso, è già prassi, realtà, terreno comune, dove si giocano le partite più importanti per il futuro delle imprese (e dell’economia) del nostro Paese.
Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.
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