Coronavirus, l’effetto boomerang della chiusura alla Cina
Il coronavirus domina la nostra cronaca, ancor più dello sfumato record di partite consecutive con gol di un calciatore portoghese. Per le priorità del nostro Paese, roba seria, insomma.
Qui in Italia i media sguazzano nel seminare il panico, nel raccontarci di migliaia di morti e di un’epidemia senza precedenti. Nel 2020 riuscire a ottenere qualche migliaio di clic in più può fare la differenza nel bilancio mensile. E allora via libera ai titoli catastrofici e via libera a certi personaggi politici che fanno del razzismo la loro bandiera, personaggi che probabilmente nemmeno saprebbero arrivare in Cina se noi Stato italiano non gli avessimo pagato il volo di Stato.
Coronavirus in cinese si dice 新型冠状病毒, parolona lunga che, letteralmente, significa “nuovo tipo di coronavirus”. Questo per rimarcare il fatto che di virus del tipo ‘coronavirus’ ce ne sono un’infinità e ovviamente noi italiani lo ignoriamo e ci facciamo condizionare dai nostri giornali che vanno alla ricerca di titoli accattivanti. Proprio perché di questi virus ce ne sono tanti, non siamo di fronte a niente di alieno. Insomma, non siamo nel 1500 e questa malattia non appartiene a una famiglia sconosciuta…
La Cina ci considera una nazione di “traditori”
In questa confusione, cosa pensano i cinesi dell’Italia? Meno di un anno fa abbiamo accolto il Primo Ministro cinese, abbiamo stipulato accordi con Pechino e abbiamo persino concesso l’implementazione del 5G per primi. Noi italiani abbiamo la memoria cortissima e già ci siamo dimenticati il polverone politico che ne è scaturito. Evidentemente allearsi con la più grande potenza economica mondiale a qualcuno deve essere sembrata un’idea poco lungimirante.
I cinesi, tuttavia, non hanno confusione in testa e ci vedono sempre peggio. Quando i cinesi adottano una visione, non c’è un modo semplice di fargliela cambiare. Avevano stima di una nazione che li ospitava, che offriva loro i prodotti di cui vanno pazzi – dal vino agli abiti di lusso alle supercar – ma ora siamo quelli che hanno adulato Pechino e poi gli si sono messi contro da traditori.
Infatti dopo pochi giorni dall’annuncio dei primi contagi, il Governo italiano ha deciso di bloccare i voli in ingresso per la Cina strizzando l’occhio a Washington, proprio il Paese che cerca di combattere il suo avversario economico con misure ottocentesche. Ma come, non eravamo amici, alleati, fratelli e tutte quelle belle parole?
Migliaia di cinesi di rientro dalle feste per il loro Capodanno sono rimasti bloccati, alcuni hanno avuto l’intuizione di rientrare prima del previsto sospettando una mossa del genere e altri, invece, hanno eluso le nostre leggi ‘all’italiana’ facendo scalo a Londra (qualcuno si pentirà anche di questa storia della Brexit). I cinesi questo lo vedono come un vero e proprio ‘sequestro di persona’.
“Traditori” è la parola che più compare sui social cinesi. Gli italiani sono traditori e non importa se le decisioni sono state prese da personaggi confusi che devono aggrapparsi alla poltrona, perché gli italiani si sono rivelati anche razzisti. Sono quelli che non vanno più nei ristoranti cinesi, sono quelli dei cartelli “Italianer verboten”, ah no, quelli erano altri… Gli italiani sono quelli del “vietato l’ingresso a chi viene dalla Cina”.
Le città vuote per evitare un contagio di massa
Semplificando, il coronavirus è una polmonite virale. Pericolosa, ma non è la peste bubbonica, non è l’ebola e per ora non è nemmeno vicina a uccidere quanto la nostra influenza stagionale. Sono necessarie delle precauzioni igieniche che in un Paese in cui una piccola città (per esempio Xiamen) si ritrova con 3,5 milioni di abitanti a noi appaiono provenire da uno scenario apocalittico. Perché i cinesi sono davvero tanti.
Il Governo cinese non può permettersi di avere tutta la sua forza lavoro a letto con l’influenza, meglio avere qualche giorno di vacanza in più e bloccare la diffusione di un virus. Il sistema sanitario cinese non è come quello italiano: noi andiamo al pronto soccorso anche per un’unghia incarnita, in Cina ci sono anziani che il medico non l’hanno mai visto in vita loro. Queste persone sono a rischio e infatti sono le principali vittime dell’epidemia. Ci sono pochi posti in ospedale e questa gente muore in casa, magari dopo aver contagiato tutta la famiglia.
I primi video che circolavano su Dou Yin, il Tik Tok cinese – a differenza del nostro non è usato solo da ragazzini – comparavano la gravità del coronavirus con la normale influenza stagionale negli Usa: solo due anni fa negli States sono morte 61mila persone per la banale influenza.
Lo sciacallaggio mediatico che i nostri mezzi di informazione stanno perpetrando ha indispettito i cinesi, sia quelli ancora in Cina sia quelli in Italia. Ma ai loro occhi ancora più grave è la decisione di escluderli bloccando tutti i voli in ingresso dalla Cina.
A questa mossa aggiungiamo che il razzismo ormai è stato nuovamente sdoganato dalla nostra classe politica e può liberamente essere espresso nelle nostre strade o, semplicemente, nei confronti di qualche incolpevole ristorante etnico.
I miei contatti in Cina stanno tutti bene: clienti, fornitori, amici. Tutti mi confermano che sono necessarie delle precauzioni e che sono rivolte a proteggere anziani e bambini. Non c’è nessuno sterminio di cinesi in corso, non ci sono uomini che muoiono come mosche. Al momento è più pericoloso stare vicino a un ippopotamo che a un asiatico. Chissà che a leggere queste frasi in qualche ristorante italiano qualcuno non scriva: “Vietato l’ingresso agli ippopotami”.
L’Italia pagherà la memoria lunghissima dei cinesi
Come andrà a finire? Noi italiani abbiamo la memoria corta. Per esempio la generazione che ha negli occhi i crimini della Seconda Guerra mondiale ormai è passata e così i rapporti con gli ex nemici sono ora saldi. Ma provate a chiedere a un bambino cinese che cosa pensa dei giapponesi: i cinesi ricordano tutto.
Abbiamo trattato i cinesi come appestati: abbiamo bloccato i loro connazionali che volevano rientrare in Italia e abbiamo insultato quelli che sono rimasti. Abbiamo tradito delle promesse. Pensate che in questi mesi ci sia stato un calo nella nostra economia per la minor presenza di cinesi in Italia? Pensate che nei prossimi mesi il calo diventerà ancor più sensibile? Questo è solo l’inizio.
I cinesi sono un popolo rancoroso e con la memoria lunghissima. Gente che parla poco, lavora tanto e che è sempre molto unita. Chiedete a Dolce e Gabbana se adesso riescono a vendere anche solo uno spillo da quelle parti…
Questo voltafaccia e questi comportamenti isterici li pagheremo e a caro prezzo. Preparatevi a trovare altri sbocchi per il vostro vino, abiti di lusso e su tutti i prodotti del Made in Italy, venduti a 10 volte il costo di produzione solo per il fatto di essere stati realizzati in Italia.
L’Italia è il bambino gracilino che è andato a fare il bullo con quelli più grossi di lui perché tanto “lo dico a mio cugino Usa”. Ma Washington è grande e non ha tempo da perdere con i bambini. Ce ne accorgeremo troppo tardi.
L’Italia è il bambino che dice: “Il pallone è mio e si gioca come dico io”. Ma il mondo è una sfera e quando la Cina la prenderà a calci, il piede colpirà proprio l’Italia.
* Luca Frediani lavora nellexport con la Cina da oltre 10 anni. Si è innamorato di questo Paese, ne ha imparato la lingua e la cultura e nel suo ultimo libro Bianco fuori giallo dentro descrive tutte le sue peripezie affrontate in Cina.
Dopo la laurea in Informatica e un titolo di Campione d’Italia di korfball, Luca Frediani è entrato nel settore lapideo in un’azienda della sua città. Ha imparato il cinese da autodidatta e ha iniziato a occuparsi dei rapporti con i clienti di tutto il mondo –in particolare nel mercato cinese– oltre a coordinare le attività all’interno dell’azienda. Nel tempo che resta scrive romanzi, tra cui un libro che racconta dei suoi viaggi in Oriente.
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