Costruire il successo vale la fatica
Può sembrare un ossimoro, ma per star bene serve fare fatica. Non per nulla il motto latino “Ad augusta per angusta” ricorda che per raggiungere i risultati più importanti è necessario affrontare sfide e difficoltà. E questo vale tanto nella vita lavorativa quanto in quella privata.
Ma pure nello sport, mai come in questo caso fonte d’ispirazione per chi deve raggiungere obiettivi sfidanti (imprenditori, manager, ma pure normali impiegati). Ne sanno qualcosa i runner, a maggior ragione quelli che corrono la maratona, la regina delle distanze: una prova quasi più ‘mistica’ che sportiva – chi scrive può testimoniarlo – proprio per la dose di fatica da sopportare lungo tutto il percorso, in particolare negli ultimi chilometri.
È proprio quando le forze iniziano a mancare che comincia la gara vera, quella per la quale ci si è allenati a lungo (all’alba, al tramonto, sotto la pioggia, al freddo…), soprattutto per imparare a gestire la fatica della lunga corsa. Ma alla fine c’è sempre il traguardo a certificare che gli sforzi non sono stati vani.
Ed è allora che si dà un senso all’impegno che ha permesso la performance. Chi ha fatto della fatica una compagna di vita (sportiva) è Franca Fiacconi, un monumento dell’atletica italiana, che in carriera ha corso 44 maratone (di cui 25 all’estero), vincendone 16.
Il suo palmares è una sfilza di successi, ma a darle notorietà è stata la vittoria della Maratona di New York del 1998. Un primato che ha arricchito la sua già ampia bacheca dei trofei, nella quale compaiono anche le tre medaglie con la Nazionale: Argento all’Universiade di Buffalo (1993), Argento a squadre all’Europeo di Budapest (1998) e Bronzo a squadre al Mondiale di Atene (1997).
“Dietro a un risultato c’è sempre una piccola o grande storia, e nella storia non c’è solo l’atleta, ma anche un insieme di persone che lo hanno aiutato a diventare un campione”, è solita dire Fiacconi. E nella sua di storia ci sono numerosi ingredienti (e persone) che hanno fatto dell’Airone dell’Alberone – così è soprannominata Fiacconi, dal nome della quercia secolare piantata tra i palazzi del quartiere popolare di Roma dove è nata – un’atleta capace di correre per ben 14 volte la maratona sotto le due ore e mezza.
E che ancora oggi, a distanza di oltre 20 anni, resta l’unica italiana capace di vincere la Maratona di New York.
Iniziamo sfatando il mito, utile anche per imprenditori e manager, che campioni non si nasce, ma si diventa.
Per ottenere i risultati a grandi livelli nell’atletica è necessario tanto lavoro, esattamente come nello studio e nel lavoro. Ammetto però di essere geneticamente portata per correre le lunghe distanze e che nelle ‘gare’ di resistenza ho sempre primeggiato. Ma per esprimere al meglio le proprie caratteristiche serve coltivare il talento di cui si è dotati.
Molti dicono che sia necessaria anche la fortuna: preferisco pensare che serva favorire le situazioni positive, che vuol dire allenarsi al meglio, scegliere le gare giuste, affidarsi agli allenatori migliori… La fortuna, insomma, è il risultato di una progettualità.
Oggi si accusano le nuove generazioni di non voler fare fatica: le famiglie non lo insegnano più?
Io, per esempio, sono cresciuta con l’esempio di mio nonno Assuero, operaio nelle Ferrovie dello Stato e infaticabile lavoratore: finito il suo turno, invece di tornare a casa andava a caricare le caldaie delle locomotive usando una pala che gli permetteva di sollevare fino a 50 chili di carbone in un solo colpo.
Anche mio padre, impiegato nelle Ferrovie dello Stato, mi ha trasmesso il senso di responsabilità e dovere nei confronti del lavoro.
Sport e lavoro hanno molti aspetti in comune, per esempio, proprio la necessità di fare fatica…
In entrambi i casi bisogna possedere le competenze giuste e impegnarsi al massimo per raggiungere la performance desiderata. Nello sport, in particolare, è molto sottovalutata la capacità di sopportare i carichi di lavoro, che è invece alla base dei risultati. Nella maratona bisogna lavorare sulla resistenza e sulla sopportazione del dolore.
Ad alti livelli, infatti, gli atleti devono allenarsi tutti i giorni, facendo grande attenzione non solo alla cura del corpo, ma soprattutto della mente, perché è la testa che consente di resistere alla sofferenza, oltre che in gara pure nella gestione del lavoro quotidiano che permette – nel migliore dei casi – di raggiungere due o tre risultati nel corso dell’anno.
L’articolo integrale è pubblicato sul numero di luglio-agosto 2019 di Sviluppo&Organizzazione.
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