Covid: cambiano ruoli e responsabilità, ma non per le donne
Stiamo per uscire finalmente – se non in modo totale – da due anni di pandemia che hanno sconvolto il modo di vivere di milioni di persone nel mondo. Si è detto tanto in questo periodo e, tra i molti temi a essere maggiormente discussi, sicuramente in primis troviamo tutto ciò che concerne il mondo del lavoro, uno degli ambiti che più è stato condizionato dalla pandemia di Covid-19.
Oltre a costringere alcuni lavoratori a sostenere un maggiore carico di lavoro, in modo da compensare i licenziamenti, l’effetto a catena prodotto dall’emergenza sanitaria ha comportato implicazioni ancora più ampie. Il 44% dei lavoratori italiani ha subito un cambiamento di ruolo o la modifica delle mansioni ricoperte a causa della necessità, da parte dei datori di lavoro, di adattare nuovi metodi lavorativi, di avere a disposizione nuove competenze e, in alcuni casi, ristrutturare l’organizzazione aziendale. I lavoratori della Generazione Z sono stati costretti ad adottare una maggiore flessibilità: il 62% circa della fascia 18-24 anni ha cambiato ruolo o ha ricevuto maggiori responsabilità; la percentuale scende al 51% tra i 25 34 anni, al 46% tra i 35-44, al 38% tra i 45 e 54, al 25% sopra i 55 anni (dati: ADP Research Institute).
Per alcuni lavoratori ci sono aspetti positivi. Anche se un buon 42% preferiva il ruolo svolto prima della pandemia, il 46% apprezza il nuovo ruolo e le relative responsabilità. Le sfide legate alla pandemia hanno consentito ad alcuni lavoratori di sviluppare competenze nuove o di intraprendere percorsi di carriera che sfruttano il loro potenziale in modi imprevisti e aumentano la soddisfazione personale. Gran parte di essi ha ricevuto una ricompensa per il proprio impegno: il 56% ha avuto un aumento di stipendio o un bonus, anche se restano preoccupanti le disparità di genere.
La pandemia ha acuito la disparità di genere
Dall’analisi dei dati, è emerso come siano ancora una volta le donne a essere lasciate indietro nel riconoscimento di un compenso economico a seguito dell’assunzione di una nuova carica o dell’aumento delle responsabilità affidate loro per colmare i vuoti aziendali causati dal Covid-19. In generale, il sondaggio di ADP ha rilevato che su 32mila lavoratori intervistati in 17 Paesi, il 68% di essi dice di aver ricevuto un aumento di stipendio o un bonus per essersi assunto responsabilità aggiuntive. Tuttavia, in tutte le aree geografiche, le donne risultano avere meno probabilità degli uomini di ricevere tale compenso, con il maggiore divario riscontrabile in Nord America.
Ai lavoratori italiani è stato chiesto esplicitamente: “Che cosa ti ha offerto il datore di lavoro nel momento in cui hai assunto queste responsabilità aggiuntive e/o un nuovo ruolo?”. Il risultato? Il 29% degli uomini ha ricevuto un aumento di stipendio contro il 24% delle donne; mentre sale al 32% la quota di lavoratori che hanno ottenuto un bonus economico contro il 26% delle lavoratrici. Un dato che non sorprende: il rapporto 2021 sul divario di genere del World economic forum ha evidenziato come il Covid abbia ulteriormente peggiorato una situazione già precaria, spiegando che ci vorranno 135 anni per raggiungere l’uguaglianza a livello mondiale (36 anni in più rispetto alla stima precedente).
È comprensibile che – nonostante l’impegno di tutti (uomini e donne) nel supportare le aziende a volte anche oltre il dovuto – alcuni datori di lavoro non possano permettersi di offrire aumenti di stipendio o bonus in questi tempi difficili. Ma la triste realtà vede le donne risentirne sproporzionatamente. Ciò ci fa capire quanta strada c’è ancora da fare per sradicare questa disuguaglianza sistematica e colmare il divario retributivo di genere. La percezione di equità dei dipendenti costituisce un elemento critico della loro fedeltà e dedizione, elementi che a loro volta influiscono sulla produttività e sulla conservazione del talento, e più in generale, sulla reputazione del brand aziendale. Quando le donne inizieranno a percepire i propri sforzi come non presi in considerazione e sottovalutati – specialmente in relazione ai colleghi uomini – si creerà una situazione che i datori di lavori vorranno evitare a tutti i costi.
Marisa Campagnoli è in ADP Italia da sei anni e dal 2019 ricopre il ruolo di HR Director. Vanta un’esperienza ultraventennale in aziende informatiche multinazionali di varie dimensioni e con responsabilità sempre crescenti in ruoli dirigenziali. La sua carriera professionale è iniziata a livello aziendale all’interno del dipartimento IT, dove ha sviluppato forti capacità di Project management e gestione delle persone. Ha gestito a livello nazionale la fusione tra HP e Compaq.
World Economic Forum, Gender pay gap, ADP, disparità di genere