Da remoto o in presenza? Il lavoro è sempre più ibrido

Con l’incremento della digitalizzazione, la rilevanza assunta dai parametri ESG e le nuove esigenze dei lavoratori, il triennio 2020-22 ha rappresentato uno spartiacque da molti punti di vista, non da ultimo quello dei processi aziendali e della gestione HR. La fase di incertezza, legata alla pandemia di Covid-19 e, successivamente, alla guerra russo-ucraina e alla crescita dell’inflazione, ha accelerato un cambio di mappa valoriale, generalizzato verso una centralità più marcata del benessere e della realizzazione personale.

Come evidenzia l’Osservatorio Zucchetti HR 2023 – report annuale la cui finalità è delineare gli attuali trend HR – nel rapporto con le aziende questo si traduce in una maggiore richiesta di riconoscimento del proprio valore e di giusto equilibrio vita-lavoro: criteri che diventano aspettative attese in fase di selezione (in particolare per i giovani) o, se disattesi, fonte di frustrazione e infedeltà del lavoratore. Fenomeni come le Grandi dimissioni (in Italia quasi sempre transizioni job-to-job, come aveva evidenziato tempo fa la ricerca di Adapt) o il Quit quitting possono quindi avere una radice comune, che le aziende devono saper gestire, sia per attirare candidati di qualità (che oggi hanno maggiore potere decisionale) sia per trattenere le persone.

Offrire un’esperienza di qualità

Da tempo le imprese hanno avviato iniziative per favorire il benessere dei propri lavoratori, come già registrato nel 2022: un dato che l’Osservatorio Zucchetti HR 2023 conferma e, anzi, evidenzia come sia in crescita se si guarda alle azioni di welfare, fringe benefit e di integrazione del reddito, già intraprese o in definizione nel 73% delle aziende (con punte dell’82% tra le grandi organizzazioni). A queste si aggiungono attività legate più specificatamente all’equilibrio vita-lavoro e al benessere (come lo sportello psicologico), emerse nel 46% delle grandi aziende. Un benessere sempre più inteso con un approccio olistico, che coinvolge anche la qualità dell’esperienza del lavoratore fuori dalla sede di lavoro: per esempio, il 42% delle aziende ha introdotto (o sta per farlo) iniziative per facilitare gli spostamenti casa-lavoro in ottica sostenibile o ha favorito il lavoro da remoto.

C’è poi l’esigenza di monitorare i livelli di benessere in azienda, anche come ‘cartina di tornasole’ delle iniziative sopra citate: è così che l’analisi di clima diventa strumento utilizzato in molte aziende delle oltre 1.000 del campione (58% del totale, con una crescita del 13% rispetto al 2022).

Il nuovo modello del lavoro ‘flessibile’

La fine del ‘braccio di ferro’ tra Smart working e modello di lavoro tradizionale è sempre più vicina. I dati 2022 dell’Osservatorio Zucchetti HR dimostravano una persistenza ancora forte del tradizionale modello ‘in presenza’ in tante aziende, soprattutto in quelle piccole e medie, alle prese con una difficile ricerca di equilibrio tra presenza fisica e processi agili, tra cultura del risultato e necessità di controllo.

Il contesto del 2023 registra segnali di contrazione del ‘modello smart’, come confermato dal percepito di molti manager aziendali (anche nelle grandi aziende) o, per esempio, dalle ultime disposizioni applicate al mondo della Pubblica amministrazione. Al contempo, la crisi energetica e gli squilibri del modello da remoto imposto da fattori esterni (come la mancanza di disconnessione e l’overworking) hanno spinto anche una certa quota di lavoratori a rivalutarne i benefici.

In molte organizzazioni si sta attestando il cosiddetto lavoro ‘ibrido’, con il favore di larga parte dei lavoratori, che possono così cogliere i benefici di entrambi i modelli. Per esempio, il 49% delle aziende con più di 20 dipendenti dichiara di avere ripensato gli spazi aziendali (o ha intenzione di farlo) per favorire nuove forme di lavoro e collaborazione: un dato emblematico di come le aziende stiano cercando di trovare modi convincenti e innovativi per far convivere le due logiche. L’aspetto più rilevante di questa tendenza non è quindi quale dei due modelli sia meglio, ma piuttosto il fatto stesso che il modello sia modificabile e contrattabile, cosa che prima dell’emergenza sanitaria non era neanche presa in considerazione. Ancora più interessante sottolineare che il trend coinvolge quasi tutte le dimensioni aziendali e non solo le grandi imprese.

Un ruolo sempre più strategico, anche grazie al digitale

Negli ultimi anni la tecnologia ha potenziato (e sta tuttora potenziando) il ruolo dell’HR in un’ottica sempre più attiva sui risultati di business, grazie alla possibilità di fornire dati utili alle decisioni del management. I dati di Zucchetti confermano questa visione, rilevando una crescita dei livelli di digitalizzazione nei processi di onboarding e inserimento dei neoassunti, nella dematerializzazione dei documenti del personale, nell’attivazione di sportelli virtuali, ma anche nell’introduzione di software di budget del personale e monitoraggio dei costi, nell’impiego di elearning e pillole formative su app e, infine, per gestire i processi che riguardano la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Inoltre, incrociando i dati sullo stato di digitalizzazione e le priorità dichiarate, emerge che le aziende che hanno indicato come obiettivo principale l’aumento della produttività hanno minori livelli di integrazione tecnologica. Si evince quindi una possibile correlazione tra introduzione di strumenti digitali e aumento della produttività, che portano gli HR a concentrarsi su altre priorità (la ricerca indicava, come altre opzioni: selezione di nuovo personale; coinvolgimento, soddisfazione e riduzione del turnover; inclusione della diversità); al contrario, la maggiore digitalizzazione si accompagna a priorità quali il coinvolgimento e la riduzione del turnover e la Diversity & Inclusion.

Per gli HR Leader il digitale rappresenta un’occasione per valorizzare il proprio ruolo di innovatori e garanti dell’equilibrio organizzativo, collaborando con altre funzioni e diventando interlocutori autorevoli per la leadership aziendale.

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Martina Midolo

Martina Midolo

Classe 1996, Martina Midolo è giornalista pubblicista e si occupa di social media. Scrive di cronaca locale e, con ESTE, ha potuto approfondire il mondo della cultura d’impresa: nel raccontare di business, welfare e tecnologie punta a far emergere l’aspetto umano e culturale del lavoro.

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