Dagli amici mi guardi Dio, che dai colleghi mi guardo io
Tra persone che lavorano insieme è facile individuare due gruppi di individui: i veri amici, che rendono le giornate lavorative un po’ più luminose e i nemici giurati. Di recente alcuni ricercatori statunitensi si sono invece concentrati sulle sfumature relazionali che si collocano tra questi due estremi, troppo spesso sottovalutate nonostante i loro effetti si facciano sentire sul benessere psicofisico di tutti.
Nell’indagare questa sfera, il team guidato da Julianne Holt-Lunstad, Professoressa di Psicologia e Neuroscienze alla Brigham Young University con sede negli Stati Uniti, ha rivolto i suoi studi a quelli che la docente ha definito ‘frenemies’ e che in italiano tradurremmo con ‘nemici-amici’. Si tratta dei colleghi che possono essere disponibili e comprensivi, ma allo stesso tempo parlar male alle spalle degli altri; oppure possono difendere qualcuno da alcune critiche, ma poco dopo assumersi il merito esclusivo di un progetto congiunto. Aiutano e feriscono in egual misura. Sono, in sostanza, protagonisti di relazioni ambivalenti.
Sebbene in passato gli psicologi del lavoro tendessero ad avere una visione in bianco e nero delle relazioni tra colleghi, la ricerca della Brigham Young University mostra come i cosiddetti ‘nemici-amici’ siano ugualmente significativi, se non di più, rispetto alle tipologie ai due estremi dello spettro.
Gestione lo stress relazionale tra colleghi
Comprendendo le loro complessità, si può prima di tutto imparare a muoverci più saggiamente nelle dinamiche dell’ufficio, ma soprattutto ridurre lo stress che questi rapporti causano. Ciò che è emerso dai questionari che nel corso dell’ultima decina di anni Holt-Lunstad ha sottoposto a una serie di persone in azienda è che le interazioni con i ‘nemici-amici’ aumentano le risposte allo stress in maniera maggiore tanto rispetto ai rapporti più marcatamente positivi quanto a quelli più marcatamente negativi. E a lungo termine ciò sembra provocare un generico peggioramento della salute cardiovascolare.
Il problema sta, dal punto di vista della docente, nell’intrinseca incertezza dei comportamenti di chi rientra nella classificazione di ‘nemico-amico’, che mette nella condizione gli altri di desiderare la sua approvazione o il suo supporto, ma con la consapevolezza che quella persona potrebbe non essere disponibile. I suoi eventuali comportamenti offensivi o disinteressati, inoltre, danneggiano molto di più dell’atteggiamento di qualcuno che semplicemente non piace. “Anche se c’è un maggiore riconoscimento dell’importanza della qualità della relazione c’è ancora la percezione che si tratti solo di negatività contro positività e si sottovaluta ancora quanto le interazioni tra colleghi possano influenzare la salute e il benessere”, ha spiegato Holt-Lunstad.
Un clima competitivo alimenta l’ambivalenza
Un altro aspetto che non va trascurato riguarda le caratteristiche che rendono le aziende particolarmente fertili per l’emergere e il sussistere di relazioni ambivalenti. Della questione si è occupata Shimul Melwani, docente di Comportamento Organizzativo presso l’Università della Carolina del Nord, Chapel Hill, negli Stati Uniti. Dal suo punto di vista ci sono tratti del problema strutturali e tratti sui quali è invece possibile intervenire.
La condizione per l’emergere dell’ambivalenza è data in primo luogo dal fatto che le organizzazioni spesso costringono, indirettamente, a interagire con persone con le quali non si sceglierebbe di entrare in relazione. Ci sono casi, però, in cui è il senso di competizione professionale a imprimere negatività nel rapporto di lavoro. Da questo punto di vista i manager potrebbero cercare misure per ridurre questo sentimento, sradicando così una delle cause dell’ambivalenza e contribuendo alla creazione di un ambiente relazionale positivo.
In generale poi per Melwani una maggiore consapevolezza di questa dinamica può certamente aiutare nel gestire situazioni di questo tipo: riconoscere, per esempio, che l’ambivalenza è la modalità dominante all’interno di un rapporto e non un elemento passeggero è un primo importante passo per affrontare un eventuale malessere a essa legato. Una volta identificato il problema si hanno più strumenti per valutare se i benefici di quel rapporto superano il malessere che ne deriva o se il prezzo da pagare per l’affetto o il rispetto di quella persona è troppo alto. Spesso, al netto di situazioni più serie, si tratta semplicemente, ha sottolineato l’esperta, di essere più realistici per quanto riguarda le proprie aspettative rispetto a qualcuno. La giusta distanza, senza necessariamente sbriciolare un rapporto, potrebbe essere la migliore soluzione.
Fonte: Bbc
Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.
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