Dai prodotti ai servizi: come la servitizzazione cambia le regole del mercato
Succede, a volte, che da eventi negativi possa trarsi del buono. Lo diceva Winston Churchill a proposito delle crisi, che lo statista britannico considerava come occasioni di rinascita. Oggi siamo certamente più abituati alle crisi del mercato e dunque trarre insegnamenti positivi dalle cose negative che accadono sembra essere un esercizio più complesso. La servitizzazione, di per sé, è un fenomeno che nasce proprio da un evento negativo.
La parola deriva dal termine inglese “servitization” e indica quel processo in base al quale le aziende cessano di vendere esclusivamente un prodotto, per commercializzare, invece, un servizio. L’evento negativo da cui ha avuto origine è stata la crisi del mercato internazionale, che ha costretto le aziende a cercare nuove soluzioni di vendita.A dare man forte alle imprese, c’è stato di certo lo sviluppo delle tecnologie, ma anche i nuovi canali di acquisto.
Niente di nuovo, si dirà: eppure, la vendita online, se ci pensiamo, non è una mera transazione di prodotti. Come spiega Paolo Grotto, CEO di Arket, società di consulenza e software house specializzata nella digitalizzazione dei processi aziendali, è sufficiente pensare agli acquisti sulle piattaforme online: il valore aggiunto non è dato dai prodotti in sé, ma dalla rapidità e comodità di acquisto, dalla velocità con cui il prodotto è consegnato, dalla semplicità del reso e dal fatto che ormai le piattaforme propongono anche servizi (per esempio con un abbonamento si accede a una selezione di film e serie tivù, si ottiene il recapito periodico dei prodotti e ancora si possono ottenere le consegne gratuite…)
Come sottolinea Grotto, in termini generali si può dire che il mercato va sempre di più verso il ‘noleggio’ di beni e la fornitura di servizi accessori. L’esempio più evidente è, forse, quello delle automobili: l’acquisto è sempre più spesso sostituito dalle formule di leasing o dai contratti che prevedono il riscatto a medio e lungo termine del mezzo. Lo stesso vale anche per gli spazi digitali per l’archiviazione di file oppure per i software: le licenze sono affiancate da vari servizi abbinati.
La servitizzazione nel mondo del digitale
La servitizzazione è anche la soluzione rispetto all’appiattimento dei prezzi dei prodotti: chi li vende senza che ne sia riconosciuto il valore aggiunto, non può far altro che far leva su questo aspetto, ben sapendo, tuttavia, che è impossibile scendere oltre un certo limite. Vendere un servizio, insieme con il prodotto, è ciò che consente di differenziarsi. In questo modo, infatti, si possono mettere a disposizione dei clienti varie facilitazioni che permettono di fruire al meglio del prodotto e di ottimizzare l’esperienza di acquisto o post-vendita, aumentando quindi il valore stesso del bene.
Per comprendere meglio la questione, Grotto fa l’esempio di oggetti immateriali, come l’assicurazione per l’auto: tra due contratti che coprono gli stessi danni, con le stesse garanzie e massimali, il cliente sceglierà la compagnia che ha facilità di contatto, che è in grado di sospendere o riattivare il servizio con una chiamata (meglio ancora con un clic), salvaguardando il suo tempo. Si capisce poi che la possibilità di usufruire di un software per la firma digitale diventa un criterio di scelta determinante perché oltre a evitare sprechi di tempo e spostamenti per evadere la pratica in presenza, consente una semplice archiviazione della documentazione.
Arket si occupa proprio di questi aspetti, cioè di ‘facilitare la facilitazione’: i servizi digitali, infatti, sono fondamentali nella servitizzazione. Le tecnologie consentono di rendere più efficienti tutti quegli elementi del processo di vendita che richiedono di interagire con il cliente: dalla trattativa, alla consegna, alla risoluzione dei problemi post-vendita.
La semplificazione come valore
In realtà, come ricorda Grotto, il processo di vendita non si è semplificato; ciò che è successo è che è stata nascosta al cliente la complessità (ormai questo aspetto è considerato un disvalore, al contrario della sempre più apprezzata semplicità). Proprio per questo motivo, Arket si è posta l’obiettivo di eliminare tutta la complessità dai processi, anche per chi deve gestirla. “Perché si dovrebbe perdere tempo con mansioni manuali, ripetitive, noiose, quando si potrebbe, invece, dedicarlo alla cura del cliente e a trovarne di nuovi?”, è il parere Grotto.
Una domanda, quella del manager, che ha forti implicazioni anche sul valore del lavoro, sull’attraction e sull’engagement del personale. Se le macchine, i software, la tecnologia possono sostituire l’essere umano nei compiti più gravosi o in quelli a più alto rischio di errore, è bene incentivare questo processo; anche perché, allo stesso tempo, l’azienda può offrire un servizio migliore, rendendo più felice cliente e collaboratore, con quest’ultimo che può dedicarsi a mansioni più gratificanti. In sintesi: le automazioni non tolgono valore, ma lo aggiungono.
La servitizzazione si applica a tutta la Supply chain e ne include tutti gli attori che possono dedicarsi a quegli aspetti che nessuna tecnologia può sostituire, come la relazione con il cliente. È da qui che si genera il valore aggiunto nel servizio correlato al prodotto. Grotto si dice convinto che il futuro della produzione e del commercio va irrevocabilmente in questa direzione: “Oggi le aziende rischiano di perdere tempo in attività che non portano valore aggiunto, che potrebbero invece essere automatizzare, senza dispersione di risorse. Riqualificare il valore del lavoro e la relazione con il cliente hanno un effetto traino anche per il prodotto”.
Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.
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