Dal lavoro ibrido non si torna indietro
Dal lavoro ibrido non si torna indietro: il ‘lavoro da ogni dove’ è destinato a restare. Lo conferma un’indagine svolta da Ivanti, multinazionale presente anche in Italia e specializzata nello sviluppo di tecnologie per la governance e la protezione delle risorse IT. Il sondaggio, dal titolo Everywhere workplace, riporta i risultati delle interviste a oltre 6.100 impiegati e professionisti IT, da cui è emerso che il 71% dei lavoratori preferirebbe lavorare da qualsiasi luogo piuttosto che ricevere una promozione; e il 64% dei sarebbe persino disposto a vedersi decurtato lo stipendio pur di poter lavorare da qualsiasi luogo (che non sia per forza l’ufficio).
Guardando ai potenziali modelli di lavoro futuri, non c’è dubbio sul fatto che la modalità ibrida sia la strada da percorrere, a testimonianza che si vuole lavorare ovunque, ma ogni tanto tornare nell’ambiente di lavoro condiviso è auspicabile. La ricerca ha, infatti, evidenziato che il 42% delle persone preferisce modalità di lavoro ibride (+5% dall’ultimo studio pubblicato nel 2021), in particolare perché è forte la voglia di interagire nuovamente con i propri colleghi. Eppure c’è ancora un 30% dei rispondenti che opta, invece, per lavorare da casa in modo permanente (il dato è però calato del 20% in un anno).
Ma non per tutti l’esperienza del lavoro da remoto è totalmente positiva e le donne sembrano essere state le più penalizzate: il 70% delle intervistate ha affermato di aver subito effetti negativi causati dal lavoro a distanza, contro il 30% degli uomini appartenenti allo stesso settore. Il report ha anche mostrato un ulteriore divario di genere: il 56% delle donne ha affermato che il lavoro da remoto ha influenzato negativamente la salute mentale (44% degli uomini); il 52% ha riferito inoltre di aver perso il contatto interpersonale con i colleghi (47% dell’altro genere).
In generale, nonostante i diversi benefici legati al lavoro da remoto, tra i quali il risparmio di tempo negli spostamenti (48%), un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (43%) e un orario di lavoro più flessibile (43%), lo studio ha evidenziato anche i punti a sfavore della modalità di lavoro a distanza. Tra le note dolenti: la scarsa interazione con i colleghi (51%), la mancanza di collaborazione e comunicazione (28%) e il rischio di rumore di fondo e distrazioni (27%).
Senza lavoro ibrido c’è il rischio delle dimissioni
È poi emerso che poco meno di un quarto (24%) degli intervistati ha lasciato il proprio lavoro nell’ultimo anno, mentre il 28% sta pensando di cambiarlo nei prossimi sei mesi. Analizzando le risposte degli intervistati tra i 25 e i 34 anni, la percentuale di persone che intendono dimettersi nel breve termine aumenta al 36%. Le policy di ritorno in ufficio sono determinanti nella scelta di rassegnare le dimissioni: quasi un quarto degli intervistati ha dichiarato che lascerebbe l’azienda se il datore di lavoro richiedesse di tornare a lavorare a tempo pieno in ufficio.
Per riuscire a trattenere i talenti è quindi indispensabile sviluppare una cultura vincente, diversa e inclusiva. Oggi le persone desiderano lavorare per organizzazioni che fanno la differenza; le aziende devono quindi dimostrare di essere in grado di produrre valore globale e non solo profitti, garantendo il giusto equilibrio tra vita privata e lavoro. L’adozione dello Smart working e di altre formule di flessibilità vanno proprio in questa direzione, anche se c’è ancora molto lavoro da fare, in particolare nelle Piccole e medie imprese.
Inoltre, i nuovi modelli di lavoro hanno generato un profondo cambiamento anche in ambito IT e in particolare nella user experience: il 26% delle persone si augura che l’IT fornisca nel 2022 nuovi hardware (Pc portatili, desktop e dispositivi mobili); il 26% richiede una modernizzazione del service desk (tra i team IT, quest’ultimo aspetto raggiunge il 32%). Se aumentano i device, le aziende si trovano però ad affrontare anche nuove sfide legate alla sicurezza. Con l’everywhere workplace i sistemi sono maggiormente esposti a minacce esterne e interne a causa di dispositivi e applicazioni che non sono controllati adeguatamente per l’uso in una rete aziendale.
“Nel nuovo contesto, caratterizzato da infrastrutture distribuite è necessario implementare un nuovo modello di sicurezza che tenga conto di tutte le esigenze dei dipendenti e delle aziende”, è il commento di Marco Cellamare, Regional Sales Director dell’area Mediterranea di Ivanti. Nel caso della multinazionale specializzata proprio nella sicurezza IT, la chiave per interpretare al meglio l’everywhere workplace è l’automazione e gli strumenti che consentono di ridurre il carico di lavoro dell’help desk: “Il passaggio da attività manuali a processi completamente automatizzati potrà liberare il personale IT da attività ripetitive, per valorizzare al meglio il capitale umano già a disposizione e velocizzare la risoluzione dei problemi”. In questo modo le aziende possono ottimizzare l’equilibrio tra vita-lavoro delle loro persone, senza però tralasciare l’attenzione ai dati e migliorando nel contempo le esperienze dei lavoratori, potenziando la collaborazione e riducendo le difficoltà di accesso alle tecnologie.
Giornalista professionista, Cecilia Cantadore ama raccontare storie di persone e imprese. Dopo la laurea magistrale in Culture e Linguaggi per la Comunicazione all’Università degli Studi di Milano è entrata nel mondo dell’editoria B2B e della stampa tecnica e professionale lavorando per riviste specializzate. Scrive di cultura aziendale, tecnologia, business e innovazione, declinando questi macro temi per le diverse testate cartacee e online con cui collabora come freelance. Dedica il suo tempo libero alla musica, ai viaggi e alle camminate in montagna.
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