Dal lavoro per sempre al grande flirt: perché si cercano nuove occasioni?
Davanti alla crescita di molte economie globali le aziende stanno lottando per tenere il passo e la domanda di talenti in forte crescita, mentre una grave crisi di assunzioni attraversa tutti i settori. Uno degli effetti di questo scenario è che pochi possono permettersi di scegliere un ruolo che si allinea maggiormente ai loro valori e desideri. Piuttosto che iniziare a cercare una nuova posizione quando sono ormai infelici del loro ruolo molti scelgono di cercare un’opportunità migliore fin dal primo giorno di lavoro in una nuova realtà. Il fenomeno è stato battezzato dal giornalismo anglosassone “Grande flirt”: un occhio è costantemente vigile su nuove offerte, indipendentemente da quanto tempo una persona abbia occupato in un ruolo o da quanto sia contenta del suo attuale lavoro.
Per decenni, la consuetudine prevedeva di rimanere in un ruolo il più a lungo possibile, costruire un curriculum basato sull’affidabilità anche da questo punto di vista e dare un contributo duraturo all’organizzazione. Negli Anni 70, l’atteggiamento di cambiare spesso lavoro, battezzato “job hopping”, è stato paragonato dallo psicologo industriale americano Edwin Ghiselli a un vagabondaggio irrazionale e senza scopo. “L’idea era che se il datore di lavoro si prende cura di te, tu fai lo stesso e rimani con loro”, ha spiegato Mark Bolino, Direttore del Management e degli Affari Internazionali presso l’Università dell’Oklahoma, negli Stati Uniti.
La recessione globale degli Anni 80 ha in parte rivoluzionato questo pensiero. Dal punto di vista di Bolino, le aziende si sono trovate a dover tagliare i costi e a ridurre quindi il personale e davanti alla grande mole di licenziamenti i datori di lavoro hanno cambiato prospettiva entrando nell’ottica che una migliore opportunità meriti di essere colta. Eppure, all’epoca mantenere un lavoro a lungo termine era una prassi radicata: secondo i dati del Bureau of labor statistics degli Stati Uniti, la durata media del lavoro in una stessa azienda in Usa è cresciuta da 3,5 anni negli Anni 80 a 4,4 anni negli Anni 2000, per poi iniziare a diminuire alla fine dello scorso decennio.
(Re)imparare spesso la cultura del lavoro
Cercare la prossima opportunità di lavoro è stato, in genere, un processo reattivo di fronte all’insoddisfazione, ma la pandemia sembra aver cambiato questo modo di pensare: le persone hanno iniziato a cercare lavori che si adattino meglio ai loro desideri, in particolare per quanto riguarda lavoro a distanza e flessibilità. Intanto gli annunci di lavoro si sono moltiplicati: per esempio, solo nei primi 10 giorni di novembre 2021 sono stati aggiunti sui canali dell’agenzia per il lavoro britannica Reed 120mila posti vacanti. C’è anche da aggiungere che il diffondersi dello Smart working ha aperto l’accesso a migliaia di nuovi ruoli per milioni di lavoratori una volta esclusi, per ragioni geografiche, da determinate posizioni.
Mentre cambiare lavoro è più facile che mai, lo stigma sulla scelta di passare da un’azienda all’altra però in qualche modo rimane. Secondo Bolino, i datori di lavoro rimangono preoccupati per il job hopping: “Il pregiudizio c’è ancora perché il comportamento passato è un buon anticipatore di un comportamento futuro”. Inoltre, lo ‘svolazzare’ senza fine può anche deformare il rapporto dei dipendenti con il lavoro stesso. Come ha fatto notare l’esperto, concentrarsi sulla busta paga o sui benefit porta in secondo piano la passione nello svolgere il proprio lavoro e comporta la rinuncia al capitale sociale di un’organizzazione: “Cambiare lavoro significa ricominciare tutto da capo e imparare da zero una nuova cultura del posto di lavoro”. La pandemia ha insegnato che il fatto di avere alternative migliori – e di poterle cogliere – pesa di più.
Fonte: BBC
Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.
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