Dalla sostenibilità finanziaria passa la salute delle PMI
Cash is king, dicono gli americani. Ovvero: la cassa vince sempre sul profitto. La capacità di fare previsioni, pianificare spese e investimenti e tenere sotto controllo i conti può determinare la vita o la morte di un’azienda. Eppure, in Italia una cultura seriamente improntata alla finanza d’impresa stenta ancora oggi a diffondersi.
Le Piccole e medie imprese italiane (PMI) non hanno grande dimestichezza con l’analisi del rischio, complice anche un sistema di accesso al credito che negli anni passati si è sempre fondato sulle garanzie piuttosto che sull’equilibrio finanziario. Fino a una decina di anni fa, le aziende che avevano bisogno di liquidità bussavano alla porta della banca di fiducia, la quale aveva il potere di decidere se concedere o meno un prestito sulla base delle garanzie offerte: titoli, risparmi, capannoni. Bastava questo a determinare se l’azienda fosse o meno in salute.
La scarsa cultura finanziaria delle PMI
Il sistema descritto è stato valido fino al 2009, quando il sistema bancario italiano si è adeguato ai nuovi modelli di rating. Non è più l’impiegato della filiale a valutare se l’impresa meriti o meno il finanziamento, ma un calcolo preciso basato su un algoritmo che ‘pesa’ i numeri dell’azienda e ne valuta la finanziabilità. La procedura è vincolata: se il rating è negativo, la banca non può concedere neppure un euro.
“Gli imprenditori italiani sanno molto poco di finanza, perché in passato non ne hanno mai avuto bisogno. Il sistema banco-centrico ha drogato la cultura e la conoscenza di economia aziendale e finanza della nostra imprenditoria e oggi il credito facile – perché garantito dallo Stato nel momento dell’emergenza – sta creando una bolla destinata a scoppiare”, avverte Claudio Grossi, Professore di Business Finance e Programmazione e Controllo all’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Con un passato da dirigente di società di intermediazione finanziaria e 45 anni di esperienza nel settore, Grossi ha fondato Mark-Up, società di consulenza specializzata in servizi per banche e imprese, nei settori della finanza, del marketing e dell’organizzazione. Ha ideato e brevettato un modello di rating efficace al 91% e insiste sulla pianificazione come unica leva strategica per un sistema di governance dell’impresa in grado di garantirne la salute e l’equilibrio finanziario.
L’impatto del Covid sui bilanci delle imprese
Nel 2020, dopo i primi mesi di lockdown, le imprese italiane hanno fatto i conti con una liquidità ridotta, con difficoltà nel reperimento delle risorse e con l’incognita sui futuri guadagni. Da lì gli strumenti messi in campo dal Governo, con i decreti Cura Italia, Liquidità e Rilancio: misure urgenti in materia di accesso al credito, sostegno alla liquidità e agli investimenti. Le misure anti-crisi sono servite per far fronte all’emergenza, ma hanno aumentato il grado di indebitamento delle imprese.
“L’80% delle imprese ha bilanci devastati dal Covid in termini di rating”, spiega Grossi. “Sono tutte sovra-indebitate, in media il fatturato è crollato del 20%, il flussi di cassa del 40% e i debiti con lo Stato si sono raddoppiati. Tutti i parametri di bilancio sono saltati e anche le aziende che avevano bilanci previsionali ottimi o quanto meno accettabili si ritroveranno con un rating disastroso”. Le banche che hanno prestato denaro alle imprese, forti della garanzia dello Stato, si ritroveranno in pancia crediti difficili da riscuotere e agiranno alzando a dismisura i tassi di interesse o chiudendo i rapporti con le aziende trattenendo solo i mutui residui.
“Il rating non è solo una lettera: doppia A o doppia B, come siamo ormai diventati abituati a sentire. È una percentuale di rischio di fallimento”, puntualizza Grossi. “Se i criteri di rating non cambiano a livello europeo, ci troveremo di fronte un piccolo tsunami: le banche per non fallire dovranno scegliere quali aziende tenere e quali abbandonare. E non si tratterà solo di chiudere i conti, ma di vendere i loro crediti”.
A quel punto, però, i Npl (Non performing loans), ovvero i crediti deteriorati in possesso delle banche, saranno la maggioranza. E la garanzia prestata dallo Stato non metterà al sicuro le imprese, perché, in base alla normativa fallimentare, soltanto una volta esperite tutte le azioni possibili nei confronti del debitore è possibile rivolgersi al garante.
Per rimettersi sul cammino della sostenibilità finanziaria, occorre innanzitutto agire sulla cultura aziendale. E riprogrammare il modo di far impresa tenendo conto, al di là di perdite e utili, delle dinamiche finanziarie che contano davvero nel rating. “La maggior parte degli imprenditori oggi non conosce i modelli di valutazione della salute di un’azienda”, ammonisce Grossi. “Occorre che comprendano come funziona il mondo del credito, ma anche che imparino a progettare una strategia rating driven, attraverso una programmazione economico-finanziaria con una previsionalità almeno semestrale. Parlare di pianificazione è la modalità strategica per garantire equilibrio e salute finanziaria dell’impresa”.
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Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom – Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE.
Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.
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