Diritto del lavoro

Diritti e doveri del lavoro digitale

Schopenhauer e Dostoevskij ci richiamano, seppur in modi decisamente differenti, a prestare molta attenzione al problema dell’interrelazione, all’apparenza non così evidente, tra l’intelligenza organizzativa, le competenze necessarie per sostenerla e la funzione che in questa partita può giocare il diritto del lavoro (in pratica, si tratta di evitare un domani di trovarci nella situazione descritta da una famosa canzone di Renato Zero, secondo la quale, per errore, “Il triangolo no, non l’avevo considerato…”). Si tratta infatti di un tema così complesso e articolato da consentire indubitabilmente, in uno schema per l’appunto ‘triangolare’, anche al diritto del lavoro di ritagliarsi un ruolo di primo piano, purché se ne comprenda bene la natura estremamente composita.

Se partissimo solo dall’assunto secondo cui il diritto del lavoro è una mera disciplina giuridica che regola il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, ci rinchiuderemmo in una visione troppo limitata della sua funzione. Essa può invece essere tranquillamente estesa anche alla persistente idoneità a rappresentare un potente fattore di accompagnamento dell’evoluzione storica della vita dell’impresa, in virtù dell’intrinseca possibilità di modellare i propri istituti tecnici anche sulle differenti esigenze politico-sociali che, man mano, si presentano nella società e, in parallelo, sulla stessa evoluzione tecnologica e organizzativa della struttura delle imprese. D’altro canto, negli ultimi anni, l’evoluzione tecnologica e l’integrazione dell’Intelligenza Artificiale (AI) nelle organizzazioni, per converso, hanno trasformato profondamente il panorama lavorativo. In questo scenario sempre più fluttuante tra necessità di conservazione di alcuni indefettibili princìpi base e incrementata aspirazione costante verso il nuovo (come tale a volte addirittura inesplorato), il diritto del lavoro ha di fatto assunto (e assumerà sempre di più) un ruolo cruciale non solo nella protezione dei diritti dei lavoratori, ma anche nella promozione delle competenze necessarie per sostenere l’intelligenza organizzativa.

In quest’ottica, va intesa la capacità di un’organizzazione di utilizzare le informazioni in modo efficace per prendere decisioni strategiche e operare in modo efficiente, cosa che, ovviamente, richiede un insieme di abilità e conoscenze che vanno ben oltre le mere competenze tecniche: servono competenze trasversali come la comunicazione, la collaborazione e la capacità di adattamento. Pertanto, se ben adattato agli scenari che mutano e impostato in modo sufficientemente flessibile, il diritto del lavoro può contribuire efficacemente all’evoluzione positiva di tali abilità e competenze sotto il profilo della miglior disciplina possibile dei vari aspetti normativi e regolatori che in qualche modo possano incidere sulla loro gestione.

Incentivare la formazione continua

Il diritto del lavoro può creare e riadattare regole per incentivare una seria formazione continua – attraverso politiche che promuovano l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita – che è essenziale per sviluppare le competenze necessarie per sostenere l’intelligenza organizzativa, in quanto permette ai lavoratori di affinare con continuità le proprie conoscenze e adattarsi di volta in volta alle nuove tecnologie e metodologie emergenti.

Ciò può avvenire sia tramite la previsione di appositi incentivi fiscali e/o contributivi per le imprese che investono in formazione sia tramite la creazione e implementazione di fondi settoriali o multisettoriali in materia (come, per esempio, Fondimpresa e Fondirigenti per il mondo industriale). Ma anche mediante l’introduzione o ampliamento di veri e propri obblighi formativi specifici (quali, per esempio, quelli relativi al contratto di apprendistato) o addirittura confezionare istituti giuridici del tutto nuovi (quale fu il contratto di formazione e lavoro nella seconda metà degli Anni 80, esperienza dall’impatto molto positivo anche sul tasso di occupazione dei giovani, che probabilmente varrebbe la pena di recuperare, in qualche modo, anche nel nostro attuale ordinamento giuslavoristico).

Lo stesso stage – che pure formalmente non è e non può essere, in termini prettamente tecnici, un contratto di lavoro – meriterebbe forse una rivisitazione in melius a questi fini. Sono tutti strumenti giuridici che permettono ai lavoratori (o a coloro che a breve lo potrebbero diventare a tutti gli effetti) di acquisire competenze pratiche direttamente sul campo, fermo restando il logico presupposto secondo il quale essi debbano essere regolamentati in modo da garantire che l’esperienza lavorativa (o comunque prodromica al lavoro) sia effettivamente formativa e non semplicemente un modo per ottenere manodopera a basso costo.

Per esempio, le normative possono circoscrivere l’ambito applicativo dello stage e prevedere il diritto del tirocinante a forme di rimborso spese o di altro sostegno economico indiretto, prescrivere stringenti requisiti per il tutoraggio aziendale, calibrare la durata minima e massima dei periodi di apprendistato in stretta relazione con le esigenze specifiche di una certa tipologia di imprese, ma snellendo il più possibile le formalità burocratiche collegate allo svolgimento e all’attestazione finale dell’iter formativo, assicurando in ogni caso una corretta certificazione delle competenze acquisite durante il percorso. Nulla osta, in proposito, al fatto che il diritto del lavoro possa prevedere sistemi di certificazione riconosciuti a livello nazionale o internazionale, che attestino con precisione le competenze acquisite dai lavoratori, fatto che nella più ristretta ottica della singola impresa le consentirebbe di avere una visione più netta delle capacità dei propri dipendenti e, nell’ottica più ampia dell’intero mercato del lavoro, rappresenterebbe di per sé un forte stimolo pure alla mobilità professionale.

Appare molto importante, in quest’ambito, il coinvolgimento in primis dei fondi interprofessionali quali strumenti creati per sostenere la formazione continua dei lavoratori: proprio perché essi raccolgono risorse economiche dalle imprese e le utilizzano per finanziare progetti formativi, è evidente come un’accurata, ma lineare, regolazione dei medesimi da parte del diritto del lavoro, specialmente nella loro fase costitutiva e funzionale, garantirebbe ancor di più che le risorse loro destinate possano essere impiegate al massimo grado e con la necessaria autonomia gestionale, per accompagnare al meglio ogni processo di reale innovazione organizzativa negli aspetti più connessi all’implemento della formazione.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di ottobre-novembre-dicembre 2024 di Sviluppo&Organizzazione.
Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

organizzazione, diritto del lavoro, formazione


Avatar

Ernesto Di Seri

Docente a contratto di Diritto per l'Ingegneria all'Università Luic Carlo Cattaneo di Castellenza. Sulla rivista ESTE Sviluppo&Organizzazione cura la rubrica 'Gli scenari del lavoro' in cui analizza le dinamiche complesse del lavoro, innescate da fattori sociali, tecnologici, giuridici e contrattuali.

Robot

Il paradosso (umano) dell’AI

/
Risale a fine novembre una notizia inquietante. Una chatbot, durante ...
Italia_economia_crisi

L’ottimismo del Made in Italy per affrontare l’incertezza

/
È il momento giusto per cambiare la macchina? La maggior ...
AI_alleata_nemica_lavoro

AI, nemica o alleata del lavoro?

/
L’Intelligenza Artificiale (AI) potrà distruggere o potenziare il lavoro. Ciò ...

Via Cagliero, 23 - 20125 Milano
TEL: 02 91 43 44 00 - FAX: 02 91 43 44 24
EMAIL: redazione.pdm@este.it - P.I. 00729910158

© ESTE Srl - Via Cagliero, 23 - 20125 Milano