Distanziamento sociale e Smart working: come cambia l’organizzazione aziendale

Il lockdown ha modificato profondamente la nostra esistenza, ma l’era Covid-19 offre anche inaspettati esempi di resilienza.

La diffusione del contagio dovuto al nuovo Coronavirus ha proiettato l’Italia e il nostro intero Pianeta in una situazione a cui nessuno era preparato, poiché ci si dovrebbe spingere fino all’influenza spagnola, un’altra pandemia che tra il 1918 e il 1920 ha portato alla morte decine di milioni di persone nel mondo, per trovare una situazione simile. È trascorso precisamente un secolo da allora e l’umanità è tornata a lottare contro una nuova malattia.

Il periodo di quarantena imposto dalle autorità per far fronte all’emergenza sanitaria ha impattato su numerosi aspetti della nostra vita quotidiana in un periodo in cui ci si inoltrava, più o meno diffusamente, verso la Quarta rivoluzione industriale, un momento storico caratterizzato dall’interconnessione tra macchine, zone del mondo geograficamente anche molto lontane, attività e, dulcis in fundo, persone. Cosa ci è stato chiesto, invece? Di prendere le distanze dai nostri simili.

Non c’è stato, quindi, ambito della nostra vita che non sia risultato interessato in qualche misura dall’emergenza. Un vero terremoto nel mondo delle organizzazioni aziendali, da quelle più piccole a quelle più grandi e strutturate, al quale esse non erano adeguatamente preparate. Uno stress test, un business continuity and recovery plan mai conosciuto e affrontato prima.

Una situazione che ha imposto a me, e immagino a ognuno di noi, una riflessione a tutto campo, partendo da quanto abbiamo letto e ascoltato, sul Coronavirus e sul dopo: superata questa esperienza, cambierà definitivamente il mondo, cambieranno gli uomini, cambierà il nostro rapporto con il lavoro, con l’ambiente che ci circonda e in cui abbiamo finora vissuto, cambierà il nostro rapporto con la natura in senso lato.

Grandi proclami dettati dalla violenta alterazione dei nostri già precari equilibri più che da una vera e propria espressione di maturità, ma in grado di portarci alla rappresentazione di un futuro possibile, che aiuti a ragionare, a porci per tempo i problemi, a immaginare. Anche perché quello che succederà domani o dopodomani non può non dipendere in buona parte da noi.

Le skill del futuro

Io, più semplicemente, credo che, per restare impiegabili in un mondo del lavoro sempre più avaro di opportunità e sempre più spinto sul digitale, occorra mettere in pratica, nella vita quotidiana, abilità concrete e capacità di agire che possano dare, a tutti i livelli, i loro i frutti.

Per chi è un lavoratore dipendente questo significa diventare ‘imprenditivi’ o ‘intraprenditoriali’. In buona sostanza è finito il tempo in cui si andava al lavoro e si veniva pagati, molto spesso, solo per scaldare una sedia.

Potremmo racchiudere tutto il senso di questa mia convinzione nello slogan “Vivi l’azienda come se fosse di tua proprietà, anche se non ne sei il titolare!”. Perché la nostra tranquillità lavorativa dipende dal nostro comportamento dentro l’impresa e dalla salute e solidità dell’azienda stessa, a prescindere dal ruolo ricoperto.

E la chiave per un corretto ed equilibrato rapporto con il mondo del lavoro è accedere alla formazione, affinché si disponga delle competenze tecniche e professionali necessarie per lavorare con i nuovi strumenti.

Questo vale per chi già lavora (magari riqualificandosi), ma anche per coloro che si apprestano a farlo. Congiuntamente alle competenze tecniche e professionali è necessario che si sviluppino anche quelle cognitive e socio-emozionali (pensiero critico, capacità di risolvere problemi complessi, creatività, abilità nel comunicare in modo empatico, capacità decisionali). Tutte soft skill o competenze trasversali che ci rendono difficilmente sostituibili.

Dall’altro lato, per chi è proprietario di un’impresa più o meno grande o la guida, lo sforzo sarà quello di sviluppare, anche con la formazione se occorre, una leadership ispiratrice, inclusiva, innovativa, collaborativa, in grado di trasmettere una vision e di generare engagement. Oltre a maturare, ovviamente, più spiccate capacità di pianificazione e gestione in situazioni sempre più complesse e critiche.

Ma non voglio parlarvi di questo, lo hanno già fatto in tanti e meglio di me, bensì del cosiddetto ‘distanziamento sociale’ e dei suoi effetti, così com’è stato vissuto nella società e, in modo particolare, nel mondo delle organizzazioni aziendali. Una misura vissuta in modo diverso al Sud rispetto al Nord Italia.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Ottobre-Novembre di Persone&Conoscenze.
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Smart working, distanziamento sociale, Covid


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Luigi Adamuccio

Dopo una lunga esperienza in Banca Popolare Pugliese come analista professional di organizzazione aziendale, Luigi Adamuccio ricopre attualmente il ruolo di Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione delle due società facenti parte del Gruppo aziendale. È autore di libri e numerosi articoli per riviste specialistiche. All’attività in azienda associa la docenza di organizzazione aziendale presso Aforisma, scuola di formazione manageriale specializzata in master post laurea. Di questa business school è anche componente del Comitato tecnico scientifico. È socio dell’Associazione italiana formatori e nel 2017 ha ricevuto da Apaform l’Associazione professionale Asfor dei formatori di management – l’attestazione di qualificazione nella categoria “Formatore Manageriale Specialista qualificato Apaform – livello EQF 6”.

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