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Diversity management, le norme a tutela delle differenze di genere

La normativa italiana, che nel campo che andiamo a esaminare è principalmente di derivazione comunitaria, dedica un’attenzione particolare a determinati gruppi di lavoratori, considerati più vulnerabili. Parliamo sia della normativa in tema di salute sia della normativa in materia di discriminazioni.

In particolare l’articolo 28 del D.lgs 81/2008 stabilisce che il datore di lavoro ha il dovere di valutare “tutti i rischi per la sicurezza, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione”.

La legislazione impone quindi di orientare la prevenzione, tenendo conto delle peculiarità dei lavoratori, e non destinarla a un lavoratore-tipo, astratto e neutro, che tende a coincidere con il “maschio quarantenne in salute di nazionalità italiana”.

I gruppi considerati meritevoli di peculiari azioni di prevenzione sono molto simili a quelli elencati nella normativa antidiscriminatoria, dalla quale si ricavano i seguenti gruppi o fattori di rischio: sesso, razza, origine etnica, nazionalità, religione, disabilità, età, orientamento sessuale (e inoltre: convinzioni personali, orientamento o attività sindacale, orientamento politico).

Questi gruppi sono oggetto di attenzione da parte del Diversity Manager, che – assieme alle altre figure aziendali – ricerca, in base alla concreta realtà da gestire, le migliori soluzioni che possano contemporaneamente tutelare la salute e favorire l’inclusione, il rispetto della dignità di ciascuno e la piena realizzazione personale e professionale tenuto conto delle (ma andando oltre le) differenze.

Va detto al contrario che la mancata adozione di misure differenziate e di specifiche strategie di Diversity management laddove necessarie, può esporre l’azienda non solo a violazioni della normativa sopra richiamata, bensì anche a discriminazioni di tipo diretto, indiretto e persino a condotte moleste, come ora diremo brevemente.

Attenzione particolare alle differenze di genere

I rischi specifici legati alle differenze di genere possono riguardare la gravidanza e il puerperio e la sfera fisica (per esempio maggiore esposizione delle donne, più soggette a osteoporosi, a conseguente rischio da scivolamento); riguardano molto spesso la sfera socio-economica e in particolare con riguardo a questi aspetti le donne sono esposte a più elevato rischio stress lavoro-correlato rispetto all’uomo, per le difficoltà alla conciliazione vita-lavoro e per la frustrazione legata a minori guadagni.

Infine va considerata la maggiore esposizione delle donne al rischio di molestie sessuali, tanto che il Legislatore ha specificato l’obbligo di protezione di cui all’articolo 2087 del Codice Civile, estendendolo alle molestie morali e sessuali, e prevedendo adeguate e specifiche azioni, anche di tipo formativo e informativo, per prevenire questo fenomeno. I doveri posti in capo al datore di lavoro sono stati potenziati dalla Legge 205/2017 (legge di Bilancio 2018), che ha anche rimarcato il ruolo delle organizzazioni sindacali in questo ambito.

Con riguardo alle misure specifiche e diversificate da adottare relativamente alle differenze di genere esse possono consistere nella promozione dello Smart working, su cui le lavoratrici madri hanno un diritto di precedenza (articolo 18, Legge 81/2017, comma terzo bis e nell’impiego pubblico), alla concessione del part time o di turni agevolati o di permessi anche oltre le previsioni legislative e contrattuali, all’introduzione di codici di condotta contro le discriminazioni, le molestie e le molestie sessuali o alla stipula di accordi che prevedano tolleranza zero contro le molestie e altre misure adeguate alle concrete e specifiche realtà aziendali.

L’adozione di tali misure e azioni, peraltro, non deve essere appannaggio delle sole aziende virtuose o con politiche gestionali evolute: infatti, se il rischio legato alle differenze di genere è concreto, presente e rilevato, implica un vero e proprio obbligo ai sensi dell’articolo 2087 del Codice Civile e della normativa in tema di salute e sicurezza sopra brevemente richiamata.

Questo potrebbe comportare conseguenze risarcitorie (per esempio azioni di danni per stress lavoro-correlato) associate anche ad azioni di contrasto a discriminazioni di tipo diretto o indiretto. Si pensi per esempio a una disposizione di servizio che imponga indistintamente a tutti i lavoratori dei turni anche tardo-serali o notturni, a rotazione.

Questa disposizione, apparentemente neutra, rischia di penalizzare maggiormente gruppi di lavoratori quali donne con figli piccoli e indurle a scegliere tra prosecuzione del lavoro e vita familiare. Potrebbe dunque, a seconda dei casi, rappresentare una discriminazione di tipo indiretto per omessa o insufficiente considerazione di situazioni sensibilmente dissimili che investono anche la salute delle persone.

La non adozione di queste misure, inoltre, potrebbe addirittura sfociare in molestia. Si pensi, per esempio, al caso della lavoratrice che al rientro dalla maternità, anziché essere supportata nelle proprie esigenze di conciliazione venga marginalizzata e dequalificata.

I casi di questo tipo sono ancora molto numerosi e marcano la presenza ancora diffusa di uno scarso rispetto e considerazione delle differenze di genere secondo quanto stabilito dalla normativa in tema di sicurezza (oltreché, naturalmente, da quella antidiscriminatoria).

In conclusione, mettere in campo misure specifiche e proteggere in maniera adeguata e peculiare la salute in particolare delle donne significa innescare un circolo virtuoso a beneficio di tutti: delle dirette interessate, che si sentono rispettate nella loro dignità e salute nonché comprese nelle loro esigenze; dell’organizzazione, in termini di clima interno, di rispetto dei principi etici, di immagine esterna (utile anche ad attrarre talenti) e anche in termini di minori costi organizzativi ed economici; della collettività, in termini di minori costi sociali (malattie, spese mediche, indennità di disoccupazione, ecc.).

 

* Annalisa Rosiello è avvocata giuslavorista in Milano presso lo Studio legale Rosiello

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