Dobbiamo davvero scegliere tra carriera e famiglia?
Il 12 aprile 2022, Anna Spiegel, Ministra della Famiglia della Germania, ha annunciato le dimissioni, dopo le forti critiche ricevute per essere stata in vacanza con la famiglia a luglio 2021, quando, da titolare dell’Ambiente, affrontava le conseguenze delle catastrofiche inondazioni del fiume Ahr (un affluente del Reno), nell’Est del Paese che causarono morti e feriti tra la popolazione. All’epoca il ruolo di Spiegel avrebbe richiesto la sua totale presenza sul campo: secondo le cronache, la Ministra visitò le zone alluvionate, ma poi gestì la vicenda da remoto. Allo stesso tempo, infatti, la sua ‘responsabilità di madre’, imponeva a Spiegel di prendersi cura della propria famiglia, provata dai problemi di salute del marito.
Senza entrare nel merito della questione, c’è da chiedersi se sia davvero possibile, oggi, conciliare il ruolo di leader a quello di madre o se, alla fine, quello tra carriera e famiglia resta un gioco a esclusione, dove la scelta di un’opzione implica la necessaria rinuncia all’altra. Famiglia o lavoro, è dunque un aut aut? Non più, secondo Cristina Melchiorri, CEO di Advanced Smart Solutions e autrice di Gocce di leadership. Riflessioni ed esperienze per un modello di leadership più sostenibile (ESTE, 2020), anche se ammette: “Questa convinzione spesso non corrisponde ai fatti”.
Per Melchiorri, non è solo una questione organizzativa, non basta cioè avvalersi di babysitter o figure varie di supporto per dedicarsi serenamente al lavoro e neppure è possibile delegare ogni attività di gestione dei figli e della casa al partner, perché, raramente – a suo giudizio – gli uomini sono pronti e devono essere accompagnati a crescere nella consapevolezza e nell’assunzione di pari responsabilità nella famiglia.
La femminilità come ostacolo alla leadership
Queste difficoltà si riscontrano a ogni livello del percorso lavorativo delle donne, ma ancor di più nei ruoli di maggiore responsabilità. Forse c’è anche questo dietro la disparità svelata dal Gender diversity index 2021, lo studio svolto dall’European women on boards su un campione di 668 società quotate di 19 Paesi europei: la percentuale di donne presenti nei Consigli di amministrazione è ferma al 35% e appena il 7% delle imprese è guidato da una CEO. E in Italia la percentuale scende al 3% del 2021, dopo che nel 2020 era al 4%.
“Verso le donne leader c’è una doppia aspettativa”, spiega Melchiorri. “Devono dimostrare qualità maschili, essere ambiziose, assertive, competitive e, al tempo stesso, qualità femminili, empatia, gentilezza, cura del proprio aspetto. È singolare, perché agli uomini è richiesto solamente di mostrarsi forti, ma se lo fanno le donne sono rimproverate di essere troppo dure e aggressive. D’altra parte, se si spinge l’acceleratore sul lato femminile si è tacciate di scarsa autorevolezza”. La femminilità, dunque, in qualsiasi modo la si esprima, stride con la leadership, a partire dal suo livello più superficiale: “Non nascondiamoci che sulle donne c’è un costante giudizio sull’aspetto fisico”.
E se la femminilità rappresenta un ostacolo sulla strada verso la leadership, la situazione si aggrava quando di mezzo c’è la maternità. Uno studio della Cambridge University, condotto dagli economisti Alessandra Casarico e Salvatore Lattanzio nel 2019, ha dimostrato che, in Italia, a 15 anni dalla nascita di un figlio, i salari lordi annuali delle madri, rispetto al periodo antecedente la nascita, sono del 53% inferiori rispetto a quelli delle donne che non hanno figli.
La società continua a pretendere che una donna sia anche madre, ma il mondo del lavoro tiene davvero conto delle esigenze di chi ha figli? “Temo di no e basta un esempio semplice ma diffuso: la pessima abitudine di tirar tardi la sera in ufficio, anche quando non è indispensabile. È una specie di test su quanto ‘tieni’ all’azienda, con conseguente giudizio, anche per far carriera”, afferma la CEO di Advanced Smart Solutions. Con il Covid e la diffusione del lavoro smart è più semplice, le call si possono svolgere dal proprio salotto, con i figli a pochi metri di distanza, ma resta il problema. “Ci sarebbe comunque da chiedersi se le riunioni dopo le 18 sono veramente necessarie, se debbano durare un’ora e mezza o se, organizzandosi meglio, potrebbero non superare i 30 minuti”.
L’attività delle aziende per la parità di genere
Di certo, sono le istituzioni in primis e le aziende stesse, in secondo luogo, a dover farsi carico di ristabilire la parità di genere sul luogo di lavoro. L’uguaglianza, però, è un obiettivo che si può raggiungere solo partendo dal basso: “Ciascuna di noi può modificare, anche a piccoli passi, comportamenti ormai abituali. Bisogna riaffermare la forza delle donne nel lavoro, nella società e nei luoghi di potere e, al tempo stesso, creare solidarietà reciproca fra donne, all’interno delle aziende e fra i diversi luoghi gerarchici”, dice Melchiorri.
La sua proposta è quella di favorire un modello organizzativo che sostituisca il classico ‘comando e controllo’ della piramide gerarchica e promuova modelli organizzativi di delega a piccoli team di lavoro autonomi, guidati da un o una leader, dando così via a una leadership più sostenibile, per le donne, ma anche per gli uomini.
In sintesi, quel che serve per raggiungere un equilibrio tra vita familiare e ambizione professionale, come ha detto Amalia Ercoli Finzi: “Sono tre metalli: una salute di ferro, nervi d’acciaio e un marito d’oro”.
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