Donne al lavoro, ora tocca al Governo

A pochi giorni dalle elezioni del 25 settembre 2022, l’Italia attende il primo Governo presieduto da una donna. Al di là dell’ideologia politica, se Giorgia Meloni finisse a Palazzo Chigi sarebbe una svolta epocale per una società che, secondo i dati Eurostat, vede ancora le donne al penultimo posto in Europa nella classifica del tasso di occupazione femminile (solo il 53% ha un impiego). Inoltre le lavoratrici guadagnano, in media, il 4,2% in meno rispetto agli uomini.

Secondo uno studio condotto da Reverse, azienda di headhunting e consulenza per le Risorse Umane, che ha esplorato come sono percepite le donne all’interno del mercato del lavoro, cosa vogliono le aziende e come avvicinare gli interessi di queste due categorie, il principale ostacolo per le lavoratrici è la percezione – spesso fondata – che siano loro a doversi fare maggiore carico della cura dei figli: questo dato è confermato dall’Ispettorato nazionale del lavoro che riporta che il 77% delle donne ha questo ruolo all’interno del nucleo familiare e tre su quattro lasciano l’impiego proprio per questo motivo. Soluzioni che alleviano gli oneri genitoriali, dunque, sono un primo passo per favorire le pari opportunità sul posto di lavoro.

La questione è quindi soprattutto culturale. Secondo la ricerca – che ha coinvolto 50 head hunter attivi tra Germania e Italia e 10 HR manager italiani – nel processo di selezione c’è, infatti, ancora una netta preferenza per le candidature maschili. Il 75% degli head hunter intervistati ha riportato di aver percepito questa tendenza almeno una volta, sebbene non fosse apertamente dichiarata, mentre il 40% ha ricevuto la richiesta esplicita di escludere le donne dal processo di selezione. Anche dopo l’assunzione, poi, la situazione non migliora: non solo il 50% degli HR manager intervistati ha confermato l’esistenza di pregiudizi di genere in azienda, ma l’80% ha dichiarato che c’è una differenza tra i salari di uomini e donne, anche perché le organizzazioni prediligono figure maschili in posizioni apicali.

Sostegno alla genitorialità (non solo per le donne)

Le motivazioni dei dati della ricerca sono molteplici e tra tutte emerge, come sempre, la maternità: le aziende non possono permettersi di ‘perdere’ la risorsa per il tempo dedicato alla cura della famiglia (non è una questione economica, bensì di organizzazione perché vuol dire formare un’altra persona per ricoprire uno specifico ruolo). Inoltre, i datori di lavoro non sono esclusivamente preoccupati dal periodo della gravidanza e da quello immediatamente successivo: c’è la consapevolezza che la cura dei figli è un impegno a lungo termine che si estende per anni, interferendo con la performance lavorativa. E che, come anticipato, ricade quasi esclusivamente sulle donne.

“Il business, oggi più che mai, ha bisogno di utilizzare tutte le risorse disponibili: escludere un’ampia fascia di donne dal proprio assetto aziendale significa privarsi di un’estesa fonte di ricchezza. Il tema è ampio e le sfaccettature molteplici, ma un focus sulle agevolazioni messe a disposizione dei genitori (entrambi) per tutte le necessità dei figli potrebbe essere un aiuto all’impresa più cospicuo rispetto a sgravi fiscali o molte altre iniziative”, sostiene Alessandro Raguseo, Founder & CEO di Reverse.

Le aziende si sono rese conto da tempo che è necessario gestire questa situazione. Ciò che manca, in particolare, è un’azione chiara e decisa da parte dello Stato. Gli asili nido, per esempio, sono una misura necessaria, ma non sono abbastanza. È essenziale implementare soluzioni di sostegno alla genitorialità che vadano oltre la fascia 0-3 anni e che garantiscano la possibilità di conciliare il ruolo di genitore e lavoratore a lungo termine. Azioni in questa direzione avrebbero innumerevoli vantaggi, tra cui colmare il divario tra uomini e donne al lavoro e affrontare il problema del calo del tasso di natalità, che secondo i dati Istat continuerà a scendere con una riduzione della popolazione di 5 milioni nei prossimi 30 anni e una caduta del Prodotto interno lordo pari a 560 milioni.

La battaglia per i diritti delle donne sul posto di lavoro, quindi, riguarda gli interessi di tutti: dallo Stato, alle famiglie, alle aziende. Ed è proprio alle imprese che guarda Raguseo: “In un mondo sempre più attento a diversità e inclusione, come imprenditori dobbiamo essere consapevoli dell’arricchimento che una maggiore diversificazione delle risorse può portare in termini di produttività e raggiungimento degli obiettivi”.

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