Donne manager, gli ostacoli per fare carriera in Italia

Negli Anni 70 si parlava di donne dirigenti. Oggi si usa l’espressione “donne manager”. Che per fortuna sono in aumento nelle aziende. Secondo l’ultimo report Women in Business 2020 di Grant Thornton International, in Italia le donne CEO sono il 20% (+5% rispetto al 2019). Un dato che, sebbene ancora basso, ci fa sperare che la corsa verso la vera parità è ormai lanciata. Riproponiamo un estratto dall’articolo di Sergio Ferrari nel 1976 scriveva su Sviluppo&Organizzazione riguardante presenza femminile nei ruoli dirigenziali e che per vari tratti sembra descrivere una situazione all’ordine del giorno.

Negli Anni 70 la presenza di donne dirigenti era minima

Il basso tasso di donne dirigenti in Italia non è certo un tema nuovo. Nel 1976 sui 1.800 dirigenti dell’allora Fiat soltanto 18 sono donne. Se si fosse estesa la stessa percentuale dell’1% all’intero Paese, non si supererebbe in tutto le 450 unità sul totale di 45mila dirigenti. Questa percentuale del resto non si discostava di molto da quella degli altri Paesi europei, era simile a quella degli Usa (2%) ed era notevolmente più bassa di quella dell’Unione sovietica (12%). Le donne dirigenti erano – e restano tuttora –  dunque una piccola minoranza in Italia. Negli Anni 70 venne inviato un questionario a 260 donne dirigenti e le 98 risposte ricevute furono statisticamente elaborate dal computer e i risultati finali discussi con un gruppo di dirigenti.

Le risposte ricevute nell’inchiesta provenivano: 52% da piccole aziende, con meno di 50 dipendenti; il 35% da aziende con meno di 300 dipendenti e infine il 10% da grandi aziende. L’età delle dirigenti che risposero si poneva per la maggioranza tra i 46 e i 55 anni con una media generale di 50 anni, leggermente più alta di quella dei dirigenti italiani in generale, che secondo recenti ricerche era di 48 anni.

Le dirigenti che risposero erano sposate (81%), senza bambini (32%), uno (25 %) o più di uno le altre. La loro posizione era quella di Amministratrici Delegate (40%), Direttore (38%) o Capo Servizio (22%). Nel Marketing o Commerciale (35%), Amministrazione (35%), Personale (7%), Finanza (7%), Produzione (9%) o altri (10%).

L’alta percentuale di donne nel settore amministrativo si giustificava dal fatto che il 60% di chi ci aveva risposto faceva parte dei proprietari dell’azienda in cui lavora. L’altro campo di attività riservato alle donne era quello Commerciale o di Marketing. La tendenza era presente anche negli Usa dove, per esempio, il 50% dei dirigenti dei grandi magazzini erano donne e lo stesso nei reparti commerciali di aziende che producevano, vendevano o pubblicizzavano articoli femminili. D’altra parte, invece, in tutti gli altri settori dell’attività aziendale, la presenza di donne dirigenti era ancora minima.

Il gruppo chiuso della borghesia e la limitata scala mobile sociale

Il campione rifletteva dunque abbastanza bene la situazione generale italiana nel 1976 ancora dominata nel settore privato dalla piccola o media azienda commerciale o industriale, i cui dirigenti facevano parte direttamente o indirettamente della famiglia a cui appartiene l’azienda. In questo caso la donna dirigente veniva a trovarsi in una situazione tutta particolare in quanto il suo ruolo di manager non era che un’estensione del suo ruolo nel gruppo familiare e la sua decisione di essere dirigente derivava più dai suoi doveri o diritti di proprietaria che da una spontanea scelta individuale.

D’altra parte, comunque, se a essa non fossero state riconosciute doti manageriali e se essa stessa non avesse accettato il nuovo ruolo assegnatole, altri membri della famiglia o un dirigente professionale da fuori avrebbe certamente preso il suo posto. La sua conferma a dirigente da parte del gruppo familiare, come conseguenza del suo processo, corrispondeva perciò sostanzialmente a una ‘promozione’ nel senso professionale della parola.

Un interessante elemento che risultava evidente dall’inchiesta era l’origine sociale delle donne dirigenti italiane. Il 65% proveniva dall’alta borghesia (figlie di imprenditori, dirigenti o professionisti), il 27% proveniva dalla media borghesia (figlie di impiegati, insegnanti o negozianti), il rimanente 8% proveniva dalla classe operaia (figlie di operai, artigiani o contadini).

Questa distribuzione sociale, secondo le più recenti ricerche sull’argomento, era tipica per tutti i dirigenti italiani, ma per quanto riguarda le donne essa risultava notevolmente accentuata. Ciò derivava dal fatto che se per un uomo che non faceva parte della borghesia, media o alta, era difficile entrare nel gruppo dei dirigenti per diverse ragioni, sia sociali sia economiche, per una donna ciò risultava ancora più difficile dato il numero di pregiudizi esistenti sul suo ruolo nella società.

Le stesse idee preconcette influenzavano le scelte, il più delle volte fatte dalla famiglia, degli studi da essa compiuti. Fra tutte coloro che risposero solo il 35% aveva una laurea mentre per gli uomini ciò si riscontrava nell’81% dei casi. Questa laurea era nel campo umanistico per il 30% delle donne e per il 12% degli uomini, in Economia e Commercio per il 17% degli uomini e il 4% delle donne, nel campo scientifico-tecnico il 52% degli uomini e l’1% delle donne. Se consideriamo che gli ultimi due tipi di lauree sono quelli che generalmente meglio preparano i dirigenti d’azienda, si può trovare qui un’altra ragione per il limitato numero di donne dirigenti in Italia. L’assenza del titolo di studio, probabilmente, limitava anche la mobilità della donna dirigente. Il 53% non aveva mai cambiato d’azienda, il 25% una volta e il 22 % più di una volta.

Educare gli uomini a lasciare spazio alle donne

Nella seconda parte del questionario venne inclusa una lista di noti pregiudizi o luoghi comuni sulle donne dirigenti che potevano aver ostacolato o impedito la loro carriera e venne chiesto di dire con quale frequenza, se solo raramente, spesso, o molto spesso, li avessero incontrati nel loro ambiente di lavoro.

Questi luoghi comuni vennero classificati secondo il loro livello di frequenza paragonando i risultati con una inchiesta del tutto simile effettuata negli Usa qualche anno prima. Le differenze rilevate tra l’Italia e gli Stati Uniti offrivano, già allora, qualche interessante spunto d’interpretazione.

“Agli uomini non piace ricevere ordini da una donna” era al primo posto nella classifica italiana mentre solo al sesto nella classifica americana. Ciò era probabilmente dovuto al fatto che l’influenza della famiglia patriarcale tradizionale, tipica di una società agricola – dove la posizione delle donne è generalmente inferiore a quella degli uomini – era ancora presente nella mentalità dell’uomo italiano in situazioni di lavoro. Per ragioni in parte inconsce, l’orgoglio maschile entra in conflitto quando gli ordini provengono da una donna. D’altra parte sia in Italia sia negli Stati Uniti l’opinione che “l’età influisca sul lavoro della donna” era posta tra quelle meno frequenti, indicando un’accettazione ormai generale dell’idea che la resistenza fisica della donna allo stress del lavoro sia simile a quella dell’uomo.

Il gruppo di difficoltà che sono poste come le più frequenti nei due Paesi si riferiva al conflitto tra il ruolo di dirigente e quello di moglie e madre di famiglia. Certamente in ambedue i Paesi i maggiori preconcetti derivavano dall’immagine del ruolo sociale che la donna deteneva e dalle possibili conseguenze che si pensano potessero derivare dall’influenza degli obblighi familiari sul lavoro della donna. Queste difficoltà sembrava essere maggiori nella piccola azienda (55%) che non nella media-grande (44%) e più spesso incontrate dalle non proprietarie che dalle proprietarie. Età, livello d’istruzione e stato civile non sembravano influenzare la loro frequenza.

Quando fu richiesto quali azioni esse raccomandassero per risolvere i loro problemi, le risposte tra Italia e Stati Uniti mostrava qualche interessante differenza. In tutti e due i Paesi si ritrovava una scarsa fiducia che le riforme legislative possano costituire un mezzo adeguato e sufficiente. Ma mentre la grande maggioranza delle italiane facevano presente che sta alle donne stesse dimostrare che esse sono all’altezza degli uomini, negli Stati Uniti la maggior responsabilità era fatta ricadere sulla società che doveva offrire uguali opportunità di istruzione e carriera ad ambedue i sessi.

Le dirigenti italiane consigliavano anche di educare e convincere gli uomini che erano visti come il principale ostacolo alla loro carriera mentre questa raccomandazione era quasi assente dalle risposte americane. Altre risposte nei due Paesi vedevano nelle formazioni e nell’addestramento specializzato una delle migliori forme per aiutare le donne nella loro carriera. Infine una necessità che era particolarmente sentita dalle dirigenti italiane era il miglioramento dei servizi sociali della comunità.

Alloggi inadeguati, mancanza di aiuto domestico, scarsi mezzi di trasporto, scarsi mezzi per l’assistenza dei bambini erano per le dirigenti italiane le cause dei maggiori ostacoli alla loro carriera nel management. E a distanza di tanti anni sembra che le cose non siano cambiate.

 

Articolo liberamente tratto dal paper di Sergio Ferrari dal titolo La donna dirigente in Italia. Una ricerca sulle condizioni e le difficoltà di un ruolo che certo è in via di mutamento, pubblicato sul numero 36 in Sviluppo&Organizzazione, 1976. Per informazioni sull’acquisto di copie e abbonamenti scrivi a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434400)

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