Riunione

E venne il giorno senza riunioni

Da quando, complice la pandemia, la tecnologia si è insinuata ancora di più, anche dal punto di vista lavorativo, nella vita delle persone, aziende come Shopify e Facebook hanno abbracciato il “No meeting day”: un giorno alla settimana privo di riunioni inteso a favorire la produttività, senza interruzioni, e a ridurre lo stress. Queste, almeno, sono le intenzioni.

Svolgere meno riunioni favorisce fortemente la concentrazione. “Una giornata senza meeting permette di evitare di trascorre i 10 minuti prima della riunione a risolvere in fretta un compito o a prepararsi per il meeting e consente di risparmiare anche i 15-30 minuti che possono servire dopo l’incontro per chiudere le questioni in sospeso emerse”, spiega Elizabeth Grace Saunders, di professione Time Management Coach.

Secondo la ricercatrice Sophie Leroy, quando cambiamo attività una parte del nostro cervello sta ancora pensando al compito precedente; serve dunque un po’ di tempo perché quei pensieri si acquietino in modo da potersi concentrare completamente sull’attività successiva. I ricercatori chiamano questo fenomeno “residuo di attenzione”: secondo gli studi citati dal blog Clockwise, specializzato proprio nella gestione del tempo, occorrono in media 25 minuti e 26 secondi per tornare al livello di efficienza che precedeva l’interruzione.

Per i sostenitori del giorno senza riunioni, un altro vantaggio è la riduzione del numero di incontri. Sempre stando ai dati riportati da Clockwise una persona che lavora in un’azienda medio-grande partecipa in media a 62 riunioni al mese e considera la metà di esse una perdita di tempo; anche alla luce di queste informazioni, una buona modalità per introdurre il No meeting day potrebbe passare attraverso un confronto con le esigenze delle diverse figure presenti nell’organizzazione, evitando che sia semplicemente calato dall’alto da parte della dirigenza.

Vietato nascondersi dietro al giorno senza riunioni

Qualcosa di simile a questo concetto è stato sperimentato da R Street Institute, think tank con sede a Washington D.C., con i cosiddetti ‘periodi di blackout’, introdotti con l’inizio della pandemia, che prevedono che ogni team scelga mezza giornata alla settimana in cui le persone che ne fanno parte sono esentate dalle riunioni e dal rispondere alle comunicazioni intere. “In quella mezza giornata si può lavorare e le riunioni esterne sono consentite, ma le persone sono incoraggiate a utilizzare quel tempo per la famiglia e gli affari personali”, spiega Eli Lehrer, a capo di R Street Institute.

È banale dire che pratiche di questo tipo non risolvono certo i problemi strutturali del mondo del lavoro o della singola azienda. Anzi, a volte possono anche diventare uno strumento dietro cui nascondere ciò che non funziona. Quando un’impresa ha introdotto la regola del venerdì libero, per esempio, un lavoratore ha fatto notare che le ferie erano state ridotte per tutti e che quella era, dal suo punto di vista, un modo per compensare la diminuzione dei giorni di vacanza. Ci sono però anche casi in cui meccanismi di questo tipo sono messi in atto dai lavoratori stessi. Ha raccontato ancora Lehrer: “Quando abbiamo deciso di chiudere l’ufficio ogni due venerdì del mese fino alla fine di agosto quasi tutti hanno annullato le ferie estive che avevano già prenotato”.

Fonte: Clockwise

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Erica Manniello

Laureata in Filosofia, Erica Manniello è giornalista professionista dal 2016, dopo aver svolto il praticantato giornalistico presso la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli. Ha lavorato come Responsabile Comunicazione e come giornalista freelance collaborando con testate come Internazionale, Redattore Sociale, Rockol, Grazia e Rolling Stone Italia, alternando l’interesse per la musica a quello per il sociale. Le fanno battere il cuore i lunghi viaggi in macchina, i concerti sotto palco, i quartieri dimenticati e la pizza con il gorgonzola.

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