Emoticon al posto dei voti, l’anti-cultura del feedback
C’era una volta la pagella con i voti fino al 10, o i giudizi dall’insufficiente all’ottimo. LʼIstituto comprensivo Rodari di Modena, però, sta attualmente sperimentando un nuovo sistema di valutazione dei bambini basato sulle emoticon, cioè le faccine che si usano nelle chat di alcuni social media o nei programmi come WhatsApp.
La sperimentazione della scuola elementare è partita da due classi prime, dove i bambini dovrebbero autovalutarsi rispondendo ad alcune domande scritte su una scheda, come: “So scrivere le lettere?”; “So scrivere le parole?”; “So scrivere i numeri da uno a 10?”; “Mi piace leggere?”. Accanto a ogni quiz compaiono tre emoticon che corrispondono ai gradi di valutazione, che l’alunno sceglie guidato dai genitori.
Come ha spiegato il dirigente della scuola, questo progetto utilizza il linguaggio dei social con l’obiettivo di coinvolgere le nuove generazioni, abituate a utilizzare quotidianamente le emoticon per comunicare ed esprimere le proprie emozioni. Non deve allora sorprendere quel gruppo di ricercatori che ha ‘tradotto’ L’Infinito di Giacomo Leopardi con le emoticon.
Le classiche pagelle dell’istituto modenese, però, non scompaiono: vengono consegnate regolarmente alla fine dell’anno come previsto dalla legge. La sperimentazione viene vista solamente come un’opportunità in più di mettersi in gioco. Il momento della valutazione, infatti, è molto delicato e lo sarà sempre di più quando gli studenti si affacceranno al mondo del lavoro. Sia dal lato dell’emittente sia da quello del ricevente, le modalità con cui si affronta questa situazione possono portare a risultati opposti.
Sviluppare la capacità di valutare e autovalutarsi
Il rapporto capo-collaboratore, come ogni rapporto umano, è basato sulla comunicazione e lo strumento fondamentale di questa particolare relazione è il feedback. Senza voler necessariamente tradurre nella nostra lingua una parola per cui in italiano non abbiamo un corrispondente specifico, il feedback, in termini più semplici possibile, consiste nel parere espresso dal manager sull’operato del proprio collaboratore.
Esso si fonda sull’individuazione di un comportamento oggettivo, messo in atto dal collaboratore per raggiungere un determinato risultato. L’intento è quello di valorizzare quel comportamento, inibirlo o modificarlo, a seconda che nell’opinione del manager esso contribuisca al raggiungimento del suddetto obiettivo, lo ostacoli, oppure possa essere rivisto così da divenire più efficace allo scopo.
Dunque, il feedback permette ai manager di gestire i propri collaboratori al fine di migliorarne la performance, così che in ultimo l’azienda nel suo complesso possa trarne beneficio.
Questo quadro apparentemente lineare, all’atto pratico si trova a fare i conti con una serie di criticità. Se l’utilità e l’importanza del feedback sono da tempo universalmente riconosciute a livello di manualistica e di formazione manageriale, è altrettanto certo che un riscontro dato in maniera sbagliata sia del tutto controproducente.
I motivi per cui questo accade sono molti: resistenze culturali, problemi di incomprensione, difficoltà di natura relazionale, crisi del classico modello di leadership a cui siamo stati abituati negli scorsi decenni. In un mercato del lavoro che si trasforma in continuazione, a ritmi sempre più veloci, anche il feedback, nella sua natura di strumento comunicativo gestionale e manageriale, non è immune dal cambiamento. Usare le faccine come metro di valutazione è sicuramente uno di questi, ma pensando al mondo del lavoro ci si chiede quanto sia veramente utile ai bambini che dovranno affrontare un vero feedback.
Il tema del feedback è affrontato sul numero di aprile 2020 di Persone&Conoscenze.
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