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Empowerment organizzativo e competenze trasversali tra retorica e virtù

La rivoluzione tecnologica cui abbiamo assistito nell’arco degli ultimi decenni sta trasformando radicalmente i modelli socio-organizzativi ed economici in cui viviamo, portando alla luce un certo mismatch di competenze tra domanda e offerta di lavoro e un’attenzione crescente a quelle che vengono comunemente definite soft skill, con cui ci si riferisce all’insieme di abilità sociali e relazionali agite dal soggetto.

Il precipitato di tali questioni trova riscontro nell’elevata quota di Neet (giovani che non studiano, non lavorano, né sono impegnati in percorsi di studio o di auto collocazione); in una Net generation che si confronta con un sistema del lavoro spesso impenetrabile e respingente, nonostante una certa ‘bulimia di certificazioni’; ma anche nell’insieme di generazioni precedenti che si confrontano con una rapida obsolescenza del sapere, determinando il rischio di espulsione da un mondo del lavoro sempre più competitivo.

Di fronte alla fragilità espressa e inespressa dei lavoratori, si diffonde una certa idea di empowerment come strumento utile a promuovere nelle persone soft skill e competenze trasversali, ritenute centrali per muoversi agevolmente nelle organizzazioni dematerializzate e ipertecnologiche dei nostri tempi.

L’incipit della riflessione parte dall’osservazione di un certo uso semplificato e abusato del termine empowerment, come strumento per rafforzare il potenziale di competenze di sottoposti e collaboratori.

L’obiettivo del saggio è quello di evidenziare il fil rouge che unisce i concetti di life skill, soft skill e quegli approcci alla direzione del personale che puntano l’attenzione sulle risorse e le emozioni, con l’intento di promuovere strategie di empowerment per il cambiamento, il miglioramento delle performance e il benessere organizzativo.

Sulla scorta di questo ragionamento le domande che guidano il lavoro sono così sintetizzabili:

– In che modo l’evoluzione tecnologica modifica la richiesta delle competenze utili e necessarie a rispondere a un sistema in continua trasformazione?

– In che modo l’empowerment può agire come strumento di miglioramento delle competenze per i collaboratori?

L’ipotesi che fa da sfondo al ragionamento è che qualsiasi azione di empowerment debba confrontarsi, prima di tutto, con la matrice etica che orienta l’agire organizzativo, pena il fallimento stesso di ogni intervento.

Per svolgere questo ragionamento, il saggio ricostruisce brevemente le trasformazioni organizzative alla luce della rivoluzione tecnologica, anche in relazione al modificarsi delle competenze agite dal soggetto nel corso di questa evoluzione.

Si prosegue poi attraverso una riflessione sul concetto di empowerment e le sue implicazioni come strumento di sviluppo organizzativo e su quello di competenza, sempre più attento alle dimensioni sociali dell’agire umano.

Una crescente complessità organizzativa

Il concetto di organizzazione, come la conosciamo attualmente, è frutto di una storia recente. Nella contemporaneità tutta la nostra vita è plasmata e si muove all’interno di organizzazioni più o meno complesse; ma fino alla fine degli Anni 50, gran parte delle attività che oggi vengono svolte da organizzazioni specializzate (educazione, assistenza, cura, nutrizione, ecc.) venivano svolte in casa, all’interno di una cultura e di un assetto familiare allargato, che garantiva l’assolvimento di gran parte delle funzioni.

Assetti sociali questi, ancor oggi largamente diffusi in gran parte del mondo conosciuto e impropriamente definito sottosviluppato.

Per comprendere la rapida evoluzione delle organizzazioni nel ‘secolo breve’ e il loro impatto trasformativo sull’assetto sociale, bisogna volgere lo sguardo alle principali teorie organizzative che, nell’arco di un secolo, si sono evolute, portando all’attenzione, via via, elementi di maggiore complessità.

Le teorie classiche si affacciano all’orizzonte sul finire del XIX secolo e si concentrano su due principali approcci teorici: lo Scientific management (Taylor, 1911) e la Teoria di Fayol (1916). Seppure con lo sguardo rivolto a dimensioni diverse dell’organizzazione, in entrambe le prospettive l’attenzione è focalizzata sull’organizzare.

Ciò è comprensibile alla luce del quadro storico-culturale dell’epoca, attraversato da una transizione radicale dalla Prima alla Seconda rivoluzione industriale, che ha portato al superamento del modello socio-economico agricolo, fondato sulla comunità.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di settembre-ottobre 2019 di Sviluppo&Organizzazione.
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trasformazione digitale, competenze trasversali, empowerment organizzativo, soft skill, storia delle teorie organizzative

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