Fare impresa al Sud, luoghi comuni da smentire
La recente indagine svolta anche nel 2019 dalla Fondazione La Malfa sui bilanci del 2017 delle medie imprese – ovvero di quelle da 50 a 500 dipendenti, con un fatturato da 16 a 335 milioni localizzate in tutta Italia – ha evidenziato come la redditività di quelle insediate nel Sud sia in linea con quella delle aziende di eguali dimensioni del Centro Nord.
Una conferma, sottolineata giustamente dagli autori dello studio, che oggi è possibile fare buona impresa nell’Italia meridionale, ove ormai in almeno tre regioni – scrivono ancora i ricercatori della Fondazione – come Abruzzo, Campania e Puglia si è consolidato nel corso degli anni un nucleo di società in grado di competere anche sui mercati internazionali.
Tuttavia, aggiungono sempre gli estensori del rapporto, questo gruppo di aziende è ancora limitato come numero, pari a circa 300 unità, e soprattutto concentrato nelle sole tre regioni appena citate, mentre le altre cinque – ovvero Molise, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna – costituirebbero solo “un deserto industriale”, perché in esse “sarebbe irreversibile” il processo di declino delle grandi industrie che erano state insediate dalle partecipazioni statali e da grandi gruppi privati dall’inizio degli Anni 60 alla metà del decennio successivo.
Affermazioni, queste, del tutto destituite di fondamento e duole rilevare che un’autorevole fondazione come quella dedicata alla memoria di una grande statista italiano come Ugo La Malfa continui a indulgere a luoghi comuni che, peraltro, sarebbe facile superare non solo visitando ‘fisicamente’ le regioni ritenute desertiche sotto il profilo industriale, ma anche leggendo le ricerche che da anni vengono svolte da prestigiosi centri di ricerca, come, per esempio, la SRM del Gruppo Intesa San Paolo che ha già operato sistematiche ricognizioni di alcuni dei maggiori settori industriali – Automotive, Aerospazio, Agroalimentare, Tac, Farmaceutico – localizzati in tutte le regioni meridionali, studi che sono confluiti in ricchi volumi editi nella collana Il Sud che innova e produce.
Lo scrivente, che è stato chiamato a partecipare ad alcune di quelle ricerche, ne tenta un’estrema sintesi nelle note che seguono, da cui si evince che molti grandi impianti di aziende pubbliche e private sono insediati in tutte le regioni e anche in quelle che, invece, la Fondazione La Malfa ritiene essere solo un deserto industriale; regioni nelle quali – come anche in Abruzzo, Campania e Puglia – esistono poi reti diffuse di PMI che irrobustiscono i tessuti produttivi locali e che, sia detto con franchezza, non si comprende perché non debbano costituire anch’esse oggetto di studio.
Due ultime considerazioni prima di passare oltre: la banca dati di Mediobanca – che ogni anno produce il volume Le principali società italiane utilizzata dalla Fondazione per le sue analisi – non raccoglie tutti i bilanci delle società localizzate nel Sud: infatti ve ne sono moltissime che non sono inserite in quella banca, semplicemente perché non hanno inviato i loro documenti contabili.
Inoltre, bisogna considerare che nell’Italia meridionale vi sono molti stabilimenti di imprese che non hanno sede legale nel Sud e il cui fatturato, pertanto, confluisce in quello del gruppo di appartenenza. Ma quegli impianti sono in esercizio nel Mezzogiorno e almeno il valore della loro produzione sarebbe utile conoscerlo per addivenire a una stima meno approssimativa della reale produzione industriale che si realizza nel Meridione.
La sorpresa dell’industria nel Mezzogiorno
Allora cominciamo con il dire che le tre più grandi fabbriche italiane per numero di addetti diretti sono tuttora localizzate in Puglia, Basilicata e Abruzzo: Il Siderurgico di Taranto – oggi gestito da ArcelorMittal Italia – che è il primo plant manifatturiero per numero di occupati diretti (8.277), oltre che il maggior impianto siderurgico a ciclo integrale d’Europa; la fabbrica di auto di FCA a San Nicola di Melfi (Potenza) è la seconda con i suoi 7.256 occupati; mentre Sevel – joint venture fra Fiat e Peugeot ad Atessa in Val di Sangro (Chieti) per la costruzione di veicoli commerciali leggeri (brand Ducato) – è la terza con 6.100 persone impiegate.
Ognuno di questi tre stabilimenti, a sua volta, alimenta attività indotte di rilevanti dimensioni, pari a circa 7mila unità nel Tarantino, a 4.100 nell’indotto di primo livello nell’area melfitana, mentre l’intero settore dell’Automotive in Abruzzo – ove è in produzione anche un grande sito di Honda per motocicli – fra occupati diretti e nelle attività di subfornitura ammonta a circa 30mila unità.
In Italia dunque la maggiore quantità di autoveicoli – fra automobili e veicoli commerciali leggeri – si produce nel Meridione fra i tre siti di Melfi, Pomigliano d’Arco e Atessa, mentre i grandi stabilimenti di FPT a Foggia e di TD-Bosch, della canadese Magna e di Bridgestone, Magneti Marelli, Skf, Graziano, che esportano in tutto il mondo, e il loro indotto nell’area industriale di Bari, costituiscono uno dei distretti della componentistica automotive più dinamici del Paese.
A Lecce un sito di eccellenza di CNH costruisce macchine movimento terra vendute su vari mercati esteri che alimenta una Supply chain di apprezzabili dimensioni. In Campania emerge fra le aziende dell’indotto dell’Automotive il Gruppo Adler, divenuto ormai da anni una multinazionale con 80 siti all’estero e oltre 1,5 miliardi di fatturato nel 2018.
Raffinerie e giacimenti nel Meridione
Le maggiori raffinerie italiane per capacità di lavorazione sono insediate nell’Italia del Sud, distribuite fra Sarroch (Cagliari) in Sardegna – ove è in esercizio quella ‘supersite’ di Saras, fra le più grandi in Europa, controllata dalla famiglia Moratti – quella altrettanto imponente a Priolo (Siracusa) in Sicilia, ove è in produzione la russa Lukoil, l’altra ad Augusta sempre nel Siracusano, dove raffina l’impianto ceduto dalla Exxon agli algerini della Sonatrach, e infine Ram a Milazzo nel Messinese, joint- venture fra Eni e Kuwait Petroleum, cui si affianca a Taranto quella di Eni che tratta, oltre a quello di importazione, il greggio della Val d’Agri ed è l’unica insediata nell’Italia meridionale peninsulare.
I maggiori giacimenti petroliferi europei onshore sinora scoperti sono localizzati in Basilicata, ove si estrae nell’area di Viggiano (Potenza) in Val d’Agri a opera di Eni e Shell – che gestiscono anche il locale Centro Oli per un primo trattamento di quanto viene estratto – e nella vicina Corleto Perticara dove fra breve inizierà a produrre il raggruppamento Total-Shell e Mitsui che ha costruito un altro Centro Oli, investendo in tale struttura e nel suo raccordo con i pozzi circa 2,5 miliardi di euro.
Lo sviluppo delle aziende aeronautiche
Due dei cinque distretti aeronautici italiani sono localizzati in Campania – con i grandi siti della Leonardo di Pomigliano d’Arco e Nola con le relative filiere di subforniture – e in Puglia con i due imponenti stabilimenti della stessa società a controllo pubblico di Grottaglie nel Tarantino e di Foggia. Nella fabbrica di Grottaglie (1.300 addetti) si costruiscono due sezioni della carlinga in fibra di carbonio dell’aereo passeggeri 787 Dreamliner di Boeing, imbarcate poi su giganteschi velivoli cargo che decollano dal grande aeroporto della stessa cittadina dirigendosi negli Stati Uniti.
Gli altri distretti aeronautici italiani sono nel Lazio, in Piemonte e in Lombardia. Ma anche a Brindisi esiste un nucleo di fabbriche dello stesso settore facenti capo alla statunitense Avio-Aero (770 occupati), Leonardo Divisione Elicotteri (420 addetti), e a Salver (300) per le quali lavorano altre PMI locali nelle subforniture.
Nell’industria meccanica pesante spiccano le fabbriche di BH Nuovo Pignone di Bari e Vibo Valentia, Walter Tosto in Abruzzo, mentre nell’Elettromeccanica Getra di Caserta costruisce trasformatori venduti anche su diversi mercati esteri.
Il maggior arsenale della Marina Militare è quello di Taranto ove lavorano 1.500 addetti fra 1.350 civili e 150 militari: un cantiere navale ora in piena attività – che ha appena terminato la manutenzione dell’ammiraglia della flotta italiana, la Cavour – e per gli interventi anche su navi civili. E i due grandi cantieri della Finmeccanica di Castellammare di Stabia – ove a maggio 2019 è stata varata la Trieste, nuova nave ammiraglia della nostra flotta che sostituirà la Cavour – e di Palermo sono punti di forza della grande holding pubblica, così come i Cantieri del Mediterraneo e i Cantieri Palumbo di Napoli, e quello del gruppo Immsi a Messina.
Dal Chimico all’energia rinnovabile
Le moderne fabbriche chimiche di Versalis a Brindisi e Priolo, della statunitense LyondellBasell a Brindisi e di Sasol in Sicilia sono cardini del settore a livello nazionale. Anche l’industria farmaceutica è massicciamente presente nel Sud con gli stabilimenti della francese Sanofi nell’Aquilano e a Brindisi, della tedesca Merck a Bari, delle statunitensi Novartis a Torre Annunziata e Pfizer a Catania, e con gli impianti delle italiane Dompé, Menarini, Altergon, Sifi, Kedrion, Gnosis Bioresearch, Lachifarma.
Anche la costruzione e manutenzione di treni e di loro componenti è ben presente nel Sud nei grandi stabilimenti di Hitachi Rail Italy di Napoli e Reggio Calabria, di Titagarh Firema nell’area di Caserta e delle Officine delle FS a Foggia.
Anche il settore minerometallurgico vede in esercizio Portovesme a Portoscuso in Sardegna, che è la più grande fabbrica italiana di piombo e zinco, mentre Eurallumina e la ex Alcoa, ora dell’elvetica Sider Alloys, nella stessa zona stanno per ripartire e costituiscono l’unica filiera dell’alluminio primario in Italia.
Nella produzione di energia da fonte eolica la Puglia con le sue wind farm è la prima regione in assoluto in Italia, così come per la generazione di energia da fonte fotovoltaica, e la seconda regione del Paese per energia generata da qualunque fonte (fossile e rinnovabile) alle spalle della Lombardia, grazie anche alle grandi centrali di Enel a Brindisi – in via di riconversione a gas – e di Enipower, Sorgenia, Edison, En.Plus, tutte a metano. E non si dimentichi che la maggiore centrale idroelettrica del Paese per capacità (1.000 MW) non è sulle Alpi, bensì a Presenzano in Campania.
A Taranto invece la multinazionale danese Vestas, unica in Italia, costruisce grandi pale per macchine eoliche di elevata potenza che esporta ormai da anni. Grandi centrali elettriche a metano sono in esercizio in Calabria, ove da anni si genera energia anche da fonti rinnovabili – idroelettrico, eolico, fotovoltaico e da biomasse – in quantità notevoli.
A Monopoli, nel Sud Est barese, opera l’azienda leader nel mondo nella progettazione e costruzione di treni ‘diagnostici’, utili per verificare con i loro apparati informatici il perfetto allineamento dei binari, facente capo al gruppo Angel di Vito Pertosa che controlla nella stessa zona anche una fabbrica di minisatelliti (Sitael) e una di aerei leggeri (Blackshape).
Dall’Agroalimentare all’ICT pugliese
Nell’industria agroalimentare, big player nazionali ed esteri sono distribuiti in tutte le regioni del Sud, affiancando cluster diffusi di aziende locali: da Barilla a Ferrero, da Coca Cola a Birra Peroni-Asahi, da Heineken a Perfetti Van Melle, da Unilever a Nestlé, da Granarolo a Parmalat, da Princes-Mitsubishi a Casillo Partecipazioni, i loro stabilimenti (pastifici, birrifici, caseifici, conservifici, molini, etc.) si affiancano a quelli di La Doria, De Cecco, Divella, Siciliani, La Molisana, Gruppo Mataluni-Olio Dante, Olearia Desantis, Pantaleo, Lucio Garofalo, Lepore mare, Rummo, Granoro, Ferrarelle, Lete, Iposea, Callipo, Nino Castiglione, Cooperativa Allevatori di Arborea, e alle decine di grandi cantine, da Leone De Castris a Mastroberardino, da Conti Zecca a Duca di Salaparuta, da Spagnoletti Zeuli d Tormaresca-Gruppo Antinori, da Rivera alla holding emiliana Giv.
I grandi stabilimenti cartotecnici del gruppo multinazionale Seda in Campania, dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato a Foggia, della Cartonpack a Rutigliano (Bari) e della Ondapack ad Acquaviva delle Fonti (Bari), della International Paper Italia a Catania e della Fater di Pescara sono punti di forza del settore in Italia. E non si dimentichino le grandi vetrerie di Pilkington in Abruzzo, di O-I Owens Illinois in Puglia, Campania e Sicilia, di Veme e di Vebad nel Barese, di Sangalli a Manfredonia, rilanciata dai turchi della Sisecam.
Le società nell’ICT come Exprivia-Italtell di Molfetta (Bari), quotata in Borsa a Milano, e Tiscali in Sardegna, anch’essa quotata, competono ormai da anni a livello internazionale. E l’Etna Valley, dominata a Catania dalla presenza della multinazionale STMicroelectronics con i suoi 4.116 addetti, ha visto quest’ultima lanciare la produzione di dispositivi in carburo di silicio.
Le cementerie dei gruppi Italcementi, Buzzi Unicem, Colacem e Calme sono note agli addetti ai lavori, mentre Natuzzi, leader mondiale nei divani in pelle, ha il suo quartier generale a Santeramo nel Barese, affiancata nel settore del mobilio dal Gruppo Turi di Bari, produttore di cucine come Inden a Monteroni nel Leccese.
Il settore del tessile abbigliamento calzaturiero – insieme con noti brand della Campania – vede ormai affermarsi anche all’estero quelli della Puglia, in particolare nel settore dei capispalla di Martina Franca con i marchi Lerario (Tagliatore), Nardelli, Tagliente, mentre nel calzaturiero spiccano Cofra di Barletta, leader in Italia nelle safety shoes, e Leo Shoes di Casarano affermata nel ‘contoterzismo di altissima qualità’ per i grandi marchi fra cui Gucci e Ferragamo.
Gran parte di questi stabilimenti in ogni regione – e questo è un aspetto che è emerso con grande evidenza nelle ricerche prima richiamate – negli ultimi anni è stata interessata o si accinge a esserlo da innovazioni di processo, di prodotti e di organizzazione che rendono evidente la capacità competitiva di questo apparato industriale localizzato nell’Italia meridionale, trainato dalle grandi imprese.
Tutto Il Mezzogiorno, dunque – sia pure in dimensioni inferiori rispetto all’Italia del Nord e sia pure in misura diseguale nelle varie regioni – è dotato di un apparato di produzione manifatturiera di rilevanti dimensioni (nel quale sono presenti anche moltissimi cluster, localizzati nelle varie regioni, di PMI in diversi comparti) che costituisce una sezione integrante di quello nazionale, e che a esso offre anche semilavorati, beni finiti e servizi. Difendere e valorizzare in logiche di mercato tale apparato significa pertanto concorrere alla difesa di un segmento portante dell’industria nazionale.
* Federico Pirro è Docente di Storia dell’Industria presso l’Università di Bari
Articolo a cura di
Federico Pirro
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