Ferrania, la storia (dimenticata) di un modello diverso di fare impresa

La ciociara, Mamma Roma, Roma città aperta non hanno in comune solo l’ambientazione laziale e il fatto di essere considerati tra i capolavori del cinema italiano. La loro storia non interseca esclusivamente le vicende della Città Eterna, ma anche quelle di una località ben più piccola e nascosta del nostro Paese: Ferrania, in provincia di Savona. Una frazione che dà il nome a una delle fabbriche più longeve e caratteristiche d’Italia, ma sconosciuta ai più. Sulle pellicole Ferrania è impressa indelebilmente la nostra storia. Non solo: ciò che oggi è archeologia industriale, nasconde un’eccellenza italiana, un modello aziendale, in termini di organizzazione e di welfare, che la pandemia ci chiede di rivalutare, adattandola ai tempi.

A raccontare la storia di Ferrania è Gabriele Mina attraverso alcune schede, presentate da Anna Verrini. L’azienda nasce dalle ceneri della milanese Società italiana di prodotti esplodenti (Sipe), fornitrice dell’Esercito e della Marina, che nel 1906 acquisì un dinamitificio francese di Cengio, ponendo le basi perché la Val Bormida diventasse un importante polo dell’industria chimica nazionale. Con il primo conflitto mondiale, Sipe arrivò a produrre fino a 100 tonnellate di esplosivo al giorno e fu così che si espanse aprendo, nel 1915, lo stabilimento di Ferrania.

Qui veniva prodotta una miscela esplosiva molto richiesta dall’esercito russo. Ma la guerra, fortunatamente, finì e la produzione venne riconvertita: la nitrocellulosa, a un grado minore di nitrazione, unita alla canfora come plastificante, da esplosivo diviene pellicola. Così nacque la Fabbrica italiana lamine Milano (Film), che di guerra si occupava solo in versione cinematografica. La Film era controllata per il 75% da Sipe e per il 25% dalla francese Pathé Frères: Ferrania si confermò così al centro di scenari e di affari internazionali.

La società, però, non decollava: nel 1925 i francesi cedettero gratuitamente la loro partecipazione al Credito Italiano, banca subentrata a Sipe, ormai in crisi. Venne affidato a Franco Marmont Du Haut Champ l’incarico di liquidare la Film: il nuovo Amministratore riuscì, tuttavia, a mettere al sicuro il bilancio e invece del fallimento si aprì una fase di espansione. I dipendenti aumentarono da 150 a 600. Dopo una breve stagione statale, la Film nel 1935 entrò nell’orbita dell’Ifi, finanziaria della famiglia Agnelli, che la controllerà per 30 anni. Dal 1937 divenne Società Anonima Ferrania.

Ribalta internazionale e declino

Lo scenario tornò internazionale nel 1964: dopo un anno di trattative, il colosso americano 3M (Minnesota Mining and Manufacturing) rilevò Ferrania dall’Ifi per 50 milioni di dollari, corrisposti in parte in azioni. A guidare la società nel trentennio successivo saranno diversi manager del gruppo 3M, tutti americani, affiancati da Direttori di fabbrica italiani. Nel 1971 divenne 3M Italia, con quasi 4mila dipendenti nella sola Ferrania e una nuova sede a Segrate, in provincia di Milano. Negli Anni 80 e 90 Ferrania fu parte integrante della multinazionale; lo stabilimento non produceva soltanto pellicole per il cinema, ma anche per il settore medico, nel campo della diagnostica per immagini. La forza lavoro scese progressivamente, fino a tornare sotto le 2mila unità.

Nel 1996 3M smise di occuparsi delle tecnologie dell’immagine e trasferì i settori del fotosensibile e del magnetico a una nuova compagnia indipendente, con sede americana, che prese il nome di Imation. Lo stabilimento passò alla nuova società: ci fu una nuova contrazione degli addetti e degli investimenti, l’esternalizzazione dei servizi, la chiusura di varie filiali europee. Nel 1998 l’imaging medicale (quasi il 60% del fatturato) venne ceduto a Kodak; i dipendenti erano ormai meno di 1.000. La crisi societaria si fece più dura; intervennero fondi esteri, si ricorse alla Cassa integrazione.

Nel 2004, con 850 dipendenti e 70 milioni di debiti, Ferrania fu posta in amministrazione straordinaria. Dipendenti e abitanti si mobilitarono, ma senza successo. Ne derivò un profondo malessere sociale e territoriale. Nel 2005 la fabbrica venne acquistata all’asta da una cordata di imprenditori genovesi, che diede vita a Ferrania Technologies, per la produzione di pannelli fotovoltaici, intermedi farmaceutici, chimica per imaging. Ma la stagione del fotosensibile, con l’avvento del digitale, era definitivamente terminata. Si cessò la produzione della pellicola e i pochi lavoratori rimasti vengono posti in mobilità, fino alla definitiva chiusura.

Esempio di riscatto sociale e di engagement

Ferrania, però, non è stata solo una parabola discendente: è anche una storia di riscatto sociale, di una fabbrica che, grazie alla sua presenza, ha contribuito allo sviluppo integrale di un territorio diventato, al pari dello stabilimento, attrattivo per giovani talenti, neolaureati (in un’epoca in cui ciò non era frequente) e famiglie. L’engagement dei lavoratori era altissimo, qualunque fosse la tipologia di mansione e di contratto: ecco perché Ferrania è soprattutto una storia di appartenenza.

C’era grande attenzione alla realizzazione del prodotto finale, che racchiudeva tutta la fierezza di chi aveva contribuito al progresso, in esso incarnato. “Ferrata di ferro / di fervore / di volontà filmania”: inizia così una lirica dedicata a Ferrania dal poeta futurista Farfa (pseudonimo di Vittorio Osvaldo Tommasini), che rappresenta l’azienda come un grande organismo vivente. La volontà di miglioramento, tra gli operai e gli impiegati, era tangibile. Grande era la collaborazione ed efficace la comunicazione interna –come emerge dagli archivi– anche quando gli addetti erano ormai qualche migliaio.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Marzo 2021 della rivista Persone&Conoscenze.
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Chiara Pazzaglia

Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.

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