Gaming per la formazione aziendale e il recruiting

Valutare le competenze trasversali e fare formazione attraverso il gioco: è l’intuizione di Laborplay, startup dell’Università di Firenze. L’azienda è stata costituita a luglio del 2015 come startup innovativa e da ottobre 2015 è tra gli spinoff dell’ateneo toscano e quindi inserita nell’Incubatore universitario fiorentino (Iuf). L’appartenenza accademica garantisce affidabilità, innovazione e scientificità ai prodotti e alle attività proposte. Per di più c’è una validazione interna, perché ogni prodotto passa attraverso un processo che ne verifica il funzionamento e il raggiungimento degli obiettivi.

Laborplay è formata da psicologi del lavoro che si occupano sia di formazione sia di valutare per le aziende le competenze trasversali, le cosiddette soft skill: “Tutto ciò che ci rende insostituibili e ci differenzia da una macchina, quindi le nostre capacità umane”, spiega Andrea Mancini, Senior Manager Partner di Laborplay. “Questa valutazione viene fatta attraverso il gioco e tramite processi gamificati”.

Il gioco per le soft skill e la formazione

Ma come si crea un gioco per valutare le competenze umane? In primo luogo, bisogna distinguere due diversi sistemi: si può introdurre un elemento di gaming in un processo già esistente oppure creare un processo gamificato. Nel primo caso, si tratta di introdurre un gioco, come un business game, in un flusso di attività. Nel secondo, invece, a essere inserite sono altre dinamiche, come la competizione o la collaborazione fra squadre, una classifica o un sistema di ricompense. “Il gioco per noi è uno strumento per capire: non ci interessa chi vince, ma analizzare il modo in cui si gioca”, dice Mancini.

Per quanto riguarda la formazione, la prima parte del lavoro è capire quale tema l’azienda voglia sviluppare con i propri dipendenti. Questa parte di analisi delle necessità formative con l’impresa è molto importante, perché la scelta del gioco da sottoporre ai dipendenti può variare molto a seconda non solo della macro-area dell’argomento, ma anche in base agli obiettivi che l’organizzazione vuole raggiungere.

La strategia di Laborplay si basa sul fatto che, per insegnare qualcosa, la parte teorica è sicuramente utile, ma quella esperienziale è fondamentale per sviluppare un apprendimento. “Per esempio: mettiamo le persone in situazioni che richiedono organizzazione. Agiranno dei comportamenti efficaci, pianificando le proprie azioni, oppure si tufferanno subito nell’operatività, per abitudine o credendo di risparmiare tempo. Come in tutti i giochi il feedback è immediato: si capisce subito se la strategia messa in atto è quella vincente oppure no”, è la tesi di Mancini.

Dopo il gioco inizia la parte più importante, quella del debriefing: in questa fase si svela il reale obiettivo del gioco e ci si confronta tra giocatori. “È il momento in cui si estende il ragionamento alla vita reale e lavorativa, studiando i processi più funzionali per gestire alcune attività”, spiega l’esperto. “Uno dei nostri giochi chiama i partecipanti nel ruolo di artificieri, occupati nel disinnesco di complicati esplosivi. Esattamente come nella realtà, che ci richiede quotidianamente di farlo. Il debriefing è un ottimo momento per confrontarsi su quali siano le ‘bombe’ professionali che ogni partecipante si trova a dover gestire ogni giorno”.

Nuovi servizi ideati durante il lockdown

Quello appena raccontato è ciò che Laborplay ha sempre fatto; le cose sono cambiate con l’arrivo della pandemia da coronavirus. Certamente tutti gli strumenti analogici, che prevedevano l’utilizzo di carte, plance di gioco e dadi non erano più utilizzabili. La presenza e il contatto non erano più possibili. “Ma Laborplay si è sempre occupata anche di soluzioni game based digitali. Certo, le aziende che realizzavano interventi totalmente digitali erano solo una minima parte, ma tali strumenti erano già nel nostro toolkit e quello che non c’era lo abbiamo creato con la flessibilità e la reattività che contraddistinguono una piccola startup come la nostra. E poi c’erano le aziende con cui avevamo dei progetti in corso: da parte loro c’era la voglia di continuare, anche in un modo nuovo. La sfida è stata non tanto di rendere digitali gli strumenti, ma tutti i processi. È qui che abbiamo inventato un nuovo sistema. La chiave è stata applicare la ‘tecnologia calma’. È un concetto che implica non scaricare sul cliente il peso della tecnologia, ma assorbirlo”, racconta Mancini.

Quando si usa la tecnologia, ci si trova spesso in situazioni in cui diventa troppo invasiva: richiama l’attenzione di chi la utilizza in momenti inopportuni, distraendo da quello che si sta facendo. La ‘tecnologia calma’ permette di usufruire del digitale senza preoccuparsi o distrarsi, creando una piacevole esperienza per l’utente, perché non viene sovraccaricato di informazioni o difficoltà tecniche. “Cerchiamo in questo modo di ridurre il carico di ansia che genera nel cliente il problema tecnologico”.

Qualche esempio: Laborplay si adatta alla piattaforma di videochiamate usata dall’utente, così quest’ultimo deve solo entrare com’è abituato a fare, senza scaricare nuovi programmi; oppure può usare i documenti Google per condividere informazioni. “È stata la cifra che ci ha permesso di fare moltissime cose durante il lockdown. La nostra forza è stata semplificare la transizione digitale”, racconta Mancini.

Se prima del Covid-19 l’azienda poteva scegliere di comprare il gioco fisico, di carte e dadi, adesso può, invece, acquistare la sua versione digitale. “Ci siamo adattati alla nuova situazione: quando non c’era rischio di contagio facevamo giocare in presenza tra di loro i dipendenti per costruire rapporti di fiducia. Ma in fondo la fiducia è immateriale, passa anche attraverso uno schermo, basta servirsi di giochi che sappiano insegnarti come farlo. Continuiamo a trasferire la stessa nozione, ma trasformando il processo”.

Valutazione dell’applicazione delle skill da remoto

Come abbiamo anticipato all’inizio, Laborplay si occupa non solo di formare i dipendenti delle aziende, ma anche di valutare le capacità trasversali di aspiranti lavoratori. Dopo la pandemia, sono cambiate anche le competenze ricercate dalle imprese. “Rispetto alle varie skill su cui abbiamo sempre lavorato, c’è un’attenzione evidente a come tutte queste vengano agite dietro uno schermo”, sottolinea Mancini. “Saper lavorare a distanza non è più soltanto un vincolo, ma un valore aggiunto: sono diverse le aziende che anche dopo il lockdown mantengono i loro dipendenti in telelavoro. Probabilmente alcune torneranno fisicamente in ufficio solo nel 2021”. Per questo è utile parlare di team working immaginandolo a distanza: anche le attività per costruire una squadra o per rafforzare i legami di fiducia devono essere fruibili da remoto.

“In questo periodo navighiamo a vista, ma la sensazione è che le organizzazioni non vogliano dimenticare quello che hanno imparato in questo periodo: dalle competenze digitali alla possibilità di connettersi a distanza, fino ai costi, sui quali hanno ora capito di poter risparmiare”, racconta il Senior Manager Partner di Laborplay. “Le competenze più rilevanti, in questo momento, sono la flessibilità cognitiva e la capacità di adattarsi a scenari che cambiano repentinamente e non si possono prevedere”.

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