Gig economy, essere pagati in azioni conviene davvero?

La Sec ha autorizzato il pagamento in azioni anche per i collaboratori delle tech company come Uber e Lyft.

Un mix di equity e cash per retribuire i lavoratori della Gig economy. La proposta arriva dalla Securities and exchange commission (Sec), l’organo regolatore della Borsa americana, e prevede un programma pilota per consentire alle tech company come Uber e Lyft di pagare i loro collaboratori fino al 15% del compenso annuale in azioni della società.

La decisione, ha detto la Sec, riflette i cambiamenti del mercato del lavoro: le aziende di Internet dovrebbero avere gli stessi incentivi a remunerare in azioni i gig worker esattamente come fanno con i loro dipendenti. Al momento, le regole della Sec non consentono, infatti, alle compagnie di pagare in equity questa categoria di lavoratori.

La proposta non richiede alcun aumento dei compensi, ma si limita a introdurre un elemento di flessibilità permettendo la scelta tra cash ed equity nel pagamento. “I rapporti di lavoro si sono evoluti insieme con la tecnologia e i lavoratori che prendono parte alla Gig economy sono diventati sempre più importanti per la crescita della più ampia economia degli Stati Uniti”, ha detto alla Reuters Jay Clayton, Presidente della Sec.

La decisione della Sec interviene in un dibattito ancora acceso, dopo che a inizio novembre 2020 in California si è tenuto un referendum sul trattamento contrattuale degli autisti dei servizi di ride-hailing, come Uber e Lyft. In quell’occasione, gli elettori hanno bocciato la proposta di equiparare i driver ai dipendenti, confermando la natura di lavoratori autonomi dei gig worker.

Le azioni delle start up non sono poi così remunerative

Ma essere pagati in azioni della sharing economy conviene davvero? Secondo un’analisi del New York Times, la faccenda potrebbe essere meno vantaggiosa di quanto si pensi. Anche le start up più cool e promettenti, come Uber, Lyft, Snapchat e Slack, non sono state un grande investimento al momento della loro quotazione in borsa.

Chi quattro anni fa è riuscito a investire su Airbnb, per esempio, per ogni 10mila dollari di azioni acquistate avrà ottenuto 11.500 dollari di valore. Ma se avesse puntato la stessa cifra su un fondo che ha seguito gli alti e bassi dell’indice azionario S&P 500, oggi avrebbe 15.600 dollari. Gli azionisti di Snapchat, che per primi hanno puntato sulla società nel 2017, hanno dovuto aspettare tre anni perché il loro investimento non fosse più in perdita.

La pandemia ha danneggiato il business di aziende come Uber e Lyft, ma secondo il New York Times le loro azioni apparivano perdenti anche prima dell’avvento del coronavirus. Chiunque abbia acquistato azioni in occasione dell’offerta pubblica iniziale (IPO) del 2019 – così come gli investitori professionali che le hanno comprate nei quattro anni precedenti – avrebbe potuto fare più soldi con un fondo indicizzato. E anche per i dipendenti di Uber, assunti prima dell’IPO e pagati in parte in azioni della stessa società, sarebbe stato più conveniente esser retribuiti con azioni di un fondo.


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Giorgia Pacino

Articolo a cura di

Giornalista professionista dal 2018, da 10 anni collabora con testate locali e nazionali, tra carta stampata, online e tivù. Ha scritto per il Giornale di Sicilia e la tivù locale Tgs, per Mediaset, CorCom - Corriere delle Comunicazioni e La Repubblica. Da marzo 2019 collabora con la casa editrice ESTE. Negli anni si è occupata di cronaca, cultura, economia, digitale e innovazione. Nata a Palermo, è laureata in Giurisprudenza. Ha frequentato il Master in Giornalismo politico-economico e informazione multimediale alla Business School de Il Sole 24 Ore e la Scuola superiore di Giornalismo “Massimo Baldini” all’Università Luiss Guido Carli.

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