Gig economy: una ricerca Inapp sfata definitivamente il mito della “economia dei lavoretti”
Nessuno osa più definirla “economia dei lavoretti”: ormai i cosiddetti “lavoratori della piattaforme” sono, in Italia, quasi 600mila. Un esercito di persone che non fanno più i rider per arrotondare, ma per i quali il salario così ottenuto è l’unica fonte di sostentamento. È quanto emerge da una recente ricerca dell’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche (Inapp), che ha fotografato una situazione secondo cui a livello nazionale per ben otto lavoratori su 10, l’introito delle consegne o degli altri lavori reperiti tramite piattaforma digitale rappresenta una fonte di sostentamento essenziale. Solo l’11% dei lavoratori digitali, infatti, svolge l’attività come “secondo lavoro”, avendo già un contratto da dipendente.
Siamo dunque di fronte a una nuova forma di precarietà assoluta, alla fragilità professionale dei cosiddetti working poor, ovvero persone che, pur avendo un impiego, non arrivano a fine mese o vivono nella costante minaccia di vedersi interrompere le commesse da un momento all’altro. E i rider devono pure sottostare a un algoritmo, che non è neutrale come vorrebbe il ‘mito della macchina’: si alimenta, al contrario, di un complesso intreccio di feedback e variabili determinate dai percorsi da compiere, dai fornitori, dai clienti… Nessuno conosce veramente il complesso meccanismo sotteso alle principali piattaforme di food delivery, nonostante le pressanti richieste della politica di renderlo noto.
Secondo la ricerca dell’Inapp, un altro mito da sfatare è che la Gig economy sia esclusiva dei giovani: il lavoratore delle piattaforme è per tre quarti uomo e ha tra i 30 e i 49 anni; si tratta di padri di famiglia nella metà dei casi che sono al servizio di un sistema a cottimo che nella stragrande maggioranza dei casi non prevede contratti, tutele, welfare, con il conseguente rischio di sfruttamento e di caporalato digitale. Parole di Management da tempo segue gli sviluppi delle Gig economy, in particolare approfondendone il delicato intreccio con le relazioni personali e familiari (leggi l’articolo “Il lato oscuro della Gig economy”).
Bruxelles si mobilita per i lavoratori digitali
Il tema è più che mai attuale, dal momento che il 9 dicembre 2021 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva volta a migliorare proprio le condizioni dei lavoratori delle piattaforme. Lo scopo è promuovere la trasparenza, l’equità e la responsabilità nella gestione degli algoritmi che sono alla base del funzionamento delle piattaforme, con ulteriore attenzione alla gestione dei dati personali. La novità principale, tuttavia, riguarda la presunzione legale che un lavoratore sia dipendente, al di là di quanto stabilito contrattualmente tra le parti.
In effetti, in Italia, a partire dalla Carta di Bologna, alcuni tentativi di regolamentazione sono già stati fatti. Ricordiamo il caso di Just Eat (che Parole di Management ha analizzato nell’articolo dal titolo “Gig economy, l’accordo siglato da Just Eat dà più dignità al lavoro”) o quello di Runner Pizza, sorto spontaneamente per una felice intuizione dell’imprenditore, Tiziano Capitani (leggi l’articolo “Runner Pizza, se il rider corre più veloce delle norme e del Covid 19”).
Ci sono anche precedenti internazionali in cui è stata riconosciuta la subordinazione dei lavoratori, come nel caso di Uber Eats, che il nostro quotidiano ha raccontato nell’articolo “Gig economy, meno Far west e più regole”, o di Scoober, analizzato nell’articolo “I discriminati della Gig economy”. Vedremo, dunque, se la Commissione europea sarà in grado di incidere concretamente sulla trasformazione del lavoro digitale, in modo tale da far diventare regola (e legge, finalmente) l’eccezione di pochi.
Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.
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