Giovani, PMI e lavoratori: i pilastri del Pnrr

Già nell’agosto 2020 le Regioni italiane – per il tramite dell’allora Presidente della loro Conferenza nazionale, Stefano Bonaccini – avevano sul tavolo del secondo Governo Conte la richiesta di essere coinvolte prima nell’elaborazione e nell’implementazione del piano Next Generation Eu (Ngeu).

Con l’insediamento del nuovo Governo, le Regioni hanno subito chiesto al nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi un primo incontro. Ora, nell’ampia prospettiva riformatrice disegnata dalle dichiarazioni programmatiche pronunciate dallo stesso Presidente al Senato (la “nuova ricostruzione”), quali possono essere i punti chiave intorno ai quali sviluppare il confronto Governo-Regioni? Possiamo individuarne tre.

Next Generation Eu e il futuro dei giovani

Il Ngeu è indubbiamente il primo dei punti chiave. Sul principale strumento per utilizzare i 209 miliardi di euro destinati all’Italia, il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), come affermato dal Presidente del Consiglio, “il precedente Governo ha già svolto una grande mole di lavoro”. E lo stesso Draghi ha aggiunto: “Nelle prossime settimane rafforzeremo la dimensione strategica del programma”, elencando gli obiettivi riguardanti “la produzione di energia da fonti rinnovabili, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la rete ferroviaria veloce, le reti di distribuzione dell’energia per i veicoli a propulsione elettrica, la produzione e distribuzione di idrogeno, la digitalizzazione, la banda larga e le reti di comunicazione 5G”.

La definizione di una visione strategica su quello che sarà il nostro Paese non solo nel prossimo decennio, ma anche nel 2030 e nel 2050, richiede sì il necessario contributo delle nostre Regioni, ma è bene non dimenticare una condizione fondamentale. Cioè, le proposte che ognuna di esse porterà al tavolo nazionale devono essere il frutto di esperienze effettivamente vissute sul proprio territorio; il frutto, in altri termini, di buone pratiche che possano, poi, essere condivise con il Paese nel suo insieme. Crediamo che questo sia l’esatto contrario di una sterile rivendicazione del proprio interesse, del proprio ‘particulare’.

Veniamo così condotti al secondo punto chiave: il futuro dei giovani e la scuola, dove – citiamo – “particolare attenzione va riservata agli Its (Istituti tecnici superiori)”. Com’è ormai noto, si tratta di percorsi biennali post diploma, composti per metà di tirocinio nelle aziende e per metà di studio accademico, formazione che si affianca a quella universitaria. Alcune Regioni – soprattutto quelle del nuovo triangolo industriale – ben conoscono questa esperienza, avendo posto in essere fondazioni e istituti ad hoc quali, per esempio, Lombardia Meccatronica, Its Academy Veneto, Rete Politecnica dell’Emilia-Romagna.

Torniamo a Draghi: “In Francia e in Germania, per esempio, questi istituti sono un pilastro importante del sistema educativo. È stato stimato in circa 3 milioni, nel quinquennio 2019-23, il fabbisogno di diplomati di istituti tecnici nell’area digitale e ambientale. Il Pnrr assegna 1,5 miliardi agli Its, 20 volte il finanziamento di un anno pre pandemia. Senza innovare l’attuale organizzazione di queste scuole, rischiamo che quelle risorse vengano sprecate”. In questo campo – è proprio il caso di dirlo – chi ha più filo da tessere, tesserà.

Creare un ambiente favorevole all’imprenditorialità

Il terzo punto chiave riguarda il post coronavirus. Draghi ha affermato che “uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce. Questa osservazione ha una conseguenza importante. Il Governo dovrà proteggere i lavoratori – tutti i lavoratori – ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi”.

Riecheggia, in questo passaggio, il principio ispiratore che ha guidato il lavoro sulla “rivitalizzazione” e “ristrutturazione” del mondo delle imprese curato dallo stesso Draghi, insieme con Raghuram Rajan (economista di fama mondiale, autore del noto libro Il terzo pilastro), nell’ambito delle attività del Gruppo dei Trenta (G30), un think tank internazionale con sede a Washington. La lettura di questo report, ci riporta molto spesso, per così dire, a casa nostra: all’Italia manifatturiera. Colpisce l’enfasi sul ruolo giocato, dappertutto nel mondo, dalle Piccole e medie imprese (PMI).

Le grandi imprese – si dice giustamente – sanno come far sentire la loro voce quando si confrontano col mondo politico. Tuttavia – citiamo testualmente – “ci sono buone ragioni affinché i policy maker prestino la loro attenzione al destino delle PMI”. Sono sottolineate le ragioni per le quali le PMI sono importanti: fra queste, il contributo all’occupazione, una diffusa distribuzione geografica, l’importanza nel creare un’ambiente favorevole all’imprenditorialità.

Si enfatizza poi un’altra caratteristica dello sviluppo economico che in Italia – seconda manifattura dell’Unione europea dopo la Germania – ha una sua concretezza se pensiamo ai nuovi settori che si sono venuti affermando: Meccatronica e Information Technology, Farmaceutica e Biomedicale, per fare alcuni esempi. Il riferimento va alla “distruzione creativa” di schumpeteriana memoria; al fatto, cioè, che nuovi business emergono e sostituiscono quelli esistenti, spostando incessantemente un sistema economico verso la frontiera del progresso tecnologico (si pensi, oggigiorno, alla green economy e alla digitalizzazione più volte citate).

Protezione per i lavoratori e attività da sostenere

In questo passaggio, il ruolo delle politiche pubbliche deve esprimere tutto il suo potenziale nella protezione dei lavoratori (a cominciare dal riaddestramento di coloro che perdono il posto di lavoro) e non nel sussidiare una “massa di imprese zombie”. Le attività da aiutare sono soltanto quelle che hanno davvero un futuro. Difatti, quella che le imprese stanno vivendo nel post covid non è tanto una crisi di liquidità (come quella seguita al crac finanziario del 2008): il gigantesco problema è, oggi, quello delle insolvenze, destinate a esplodere dopo la fine dei sussidi necessariamente erogati dagli Stati.

Da qui tutta una serie di proposte che chiamano in gioco il ruolo del sistema finanziario (a partire dalle banche) e i necessari cambiamenti nelle modalità di finanziamento delle imprese con una sempre maggiore importanza del capitale proprio (equity). Ecco allora che, nel dialogo Stato-Regioni, potranno rivelarsi di grande utilità le conoscenze che, nei nostri territori a spiccata vocazione manifatturiera, si sono accumulate sulle dinamiche evolutive della Manifattura e, in generale, dell’economia reale.

L’articolo è pubblicato sul numero di Marzo 2021 della rivista Sistemi&Imprese.
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Franco Mosconi

Professore Ordinario di Economia Politica Industriale presso l’Università di Parma

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