Gli Anni 70 e la svolta sistemica: l’impresa si apre alla società
Sviluppo&Organizzazione nasce nel settembre del 1970 come “uno strumento di informazione e orientamento sulla evoluzione del pensiero nella organizzazione delle imprese”. Così almeno lo definisce il Fondatore e primo Direttore, Pietro Gennaro.
Il 1970 è un anno cruciale, di svolta. Apre un decennio molto diverso dai precedenti. L’Italia viene dal periodo della grande crescita dell’economia e dei consumi, del miracolo economico trainato da un’imprenditorialità diffusa, contrassegnato dalle migrazioni di massa verso le grandi città del triangolo industriale. Con l’esaurirsi della spinta di uno sviluppo impetuoso, emergono i conflitti che nell’autunno caldo del 1969 investono le grandi fabbriche, sulla scia dei movimenti sociali che, nel 1968, dalle università si sono propagati in ambienti più vasti.
Quando esce il primo numero della rivista, il Parlamento ha appena approvato la Legge 300/1970, il cui principale promotore è stato il Ministro Giacomo Brodolini, insieme con Gino Giugni, Presidente della Commissione incaricata di preparare il testo. Brodolini, socialista, ottiene di denominare la legge “Statuto dei lavoratori”, dandovi una forte enfasi simbolica nel senso dell’emancipazione del mondo del lavoro, ma purtroppo muore nel 1969 e non la vede venire alla luce in Parlamento. Nel momento di emanazione della legge è Carlo Donat-Cattin il Ministro del Lavoro in carica.
Lo Statuto significa una svolta per il rapporto di lavoro, con il riconoscimento di importanti prerogative sindacali e di diritti per i lavoratori. Il Governo di allora risponde così alle tensioni del 1968, e soprattutto dell’autunno del 1969.
Siamo in una fase che segue al clima degli Anni 60, quando si coltivavano ancora diffusamente attese e speranze per un cambiamento sociale progressista e con tratti di utopia. Il 1970 avvia però il passaggio al tormentato decennio degli anni di piombo, che avrà in Italia le più pesanti manifestazioni, segnate tra l’altro da un’ostilità verso il mondo dell’industria e dell’impresa.
Quando dà vita a Sviluppo&Organizzazione, Gennaro ha già alle spalle importanti esperienze nella formazione manageriale e nella consulenza. Nel 1955 aveva fondato una sua società, la Pietro Gennaro e Associati. Nel 1965, con gli americani della Boston Consulting Company, aveva costituito la Boston Gennaro e Associati.
Persone come lui, nel 1970, hanno ormai percepito con chiarezza che lo sviluppo raggiunto dall’industria e dalle imprese è sproporzionato rispetto al livello della cultura manageriale e dei servizi orientati a formarla e sostenerla; e che la conflittualità sociale conseguente ai movimenti del 1968 e alle tensioni sindacali del 1969 non sarebbe gestibile senza un salto di qualità proprio nella cultura del management.
Lo stato del sistema delle infrastrutture manageriali in Italia all’inizio degli Anni 70
Ma qual è lo stato della cultura aziendale, organizzativa, manageriale nell’Italia del 1970?
Si deve proprio ad Andrea Rugiadini, il successore di Gennaro alla direzione di Sviluppo&Organizzazione, la conduzione di una ricerca sulla managerialità delle imprese italiane nel cui ambito si è dato spazio al concetto di infrastrutture manageriali. Si tratta delle attività di molteplici istituzioni che contribuiscono direttamente o indirettamente sia a elaborarne le premesse teoriche sia a diffonderne l’applicazione nelle imprese. In questo insieme rientrano università, istituti di formazione, società di consulenza, società di ricerca dei dirigenti, associazioni di imprese, associazioni dei dirigenti, case editrici e quindi anche pubblicazioni e riviste. Le infrastrutture attivano una serie di funzioni complementari: di risoluzione di problemi, di concettualizzazione, di disseminazione.
Nei primi Anni 80, Rugiadini (scrive nel 1984) riscontra che “il livello delle nostre infrastrutture manageriali ha superato la fase di decollo” pervenendo a standard discreti, almeno comparando la situazione italiana con Francia e Germania. Rileva peraltro il permanere di alcune debolezze, per carenze di specializzazione, focalizzazione e coordinamento.
Molte iniziative in questo campo sono infatti avviate soprattutto dal 1975, ma agli esordi di Sviluppo&Organizzazione questo tipo di infrastrutture sono ancora molto deboli. Negli anni precedenti, lo sviluppo delle imprese era stato guidato da imprenditori, ingegneri e altre figure tecniche. Molto più limitate erano le competenze di management e di organizzazione, prive di tradizione nel Paese.
L’università di allora è chiusa a queste tematiche. Nelle facoltà di economia i primi insegnamenti di base di Organizzazione sono introdotti come corsi fondamentali solo dopo il 1970; a ingegneria, la prima cattedra di Economia e Organizzazione Aziendale è coperta solo nel 1980 a Padova. Bisogna arrivare alla metà degli Anni 80 perché il settore disciplinare di Organizzazione Aziendale sia reso autonomo rispetto all’Economia Aziendale, che aveva una tradizione di studi soprattutto nella contabilità.
Nel campo editoriale, sin dagli Anni 50 si pubblicano testi di riferimento, in genere traduzioni di opere di autori americani, o comunque stranieri; la qualità di questa pubblicistica non è però esemplare, tanto da incorrere nell’ironia graffiante dello scrittore Luciano Bianciardi, che aveva tradotto dall’inglese alcuni di questi libri e nel suo best seller La vita agra (1962) scrive: “C’era molto da tradurre in materia aziendale, specialmente testi chiamati operativi, e siccome c’era molta fretta, si contentavano anche di me, senza badare troppo agli apostrofi e alle rime ato-ato, ente-ente e zione-zione. Anzi le rime erano quasi auspicate, come segno di scientificità del testo. Si peritano forse gli americani di mettere tre tion in un rigo solo?”. Nel Dopoguerra, i centri principali di elaborazione di cultura gestionale sono stati l’Olivetti di Adriano, la Pirelli e i grandi gruppi delle partecipazioni statali, l’Iri e l’Eni, oltre a qualche banca, come la Cariplo e le tre di ‘interesse nazionale’, che facevano comunque parte dell’Iri.
L’esperienza più importante di formazione manageriale degli Anni 50, l’Ipsoa costituita a Torino sotto l’egida di Fiat e Olivetti, si era valsa di docenti americani di Harvard, che ebbero un ruolo importante anche nel formare giovani laureati italiani poi distintisi negli anni successivi; ma l’impatto innovativo di questa iniziativa, fu depotenziato dalla chiusura dell’establishment industriale di allora, dominato dalla Fiat di Valletta, che comportò un riallineamento in senso conservativo della formazione in Ipsoa.
Gennaro era uno di quei giovani di Ipsoa. Come anticipato, era stato molto attivo negli Anni 60 come animatore della consulenza manageriale attraverso l’esperienza condotta in diverse società. Solo l’anno prima, l’editore FrancoAngeli aveva avviato un’altra importante rivista di questo campo, Studi organizzativi, diretta da Piero Bontadini, un altro reduce di Ipsoa. Ma nel 1970 nascono anche due centri di formazione che avranno futuro, Istud e Sda Bocconi.
1970-1976: la fase fondativa
Esaminando i contenuti delle prime annualità della rivista, il segno dell’imprinting originario emerge con chiarezza: è quello della svolta sistemica nella concezione dell’impresa e dell’organizzazione. Un’idea che contiene almeno tre importanti implicazioni: quella del sistema socio-tecnico, e quindi di una prospettiva umanistica rivolta a considerare maggiormente le qualità delle persone nell’interazione con le tecnologie produttive, sulla scia di movimenti come quello delle Human Relations; quella dell’apertura alla società, quindi alla ricerca di una legittimazione sociale, per l’impresa e per il suo management; quella dell’ecologia, quindi con l’attenzione per la salvaguardia dei beni naturali e ambientali che uno sviluppo industriale orientato solo da criteri economici mette in serio pericolo.
Di questo approccio è emblematica la breve introduzione redazionale all’articolo di Romano Trabucchi apparso nel 1971 sotto il titolo “Impresa, società e scienza del management”. Così scrive infatti un anonimo redattore (forse lo stesso Gennaro?): “L’autore dimostra come la capacità innovatrice può sempre meno collegarsi a schemi di autonomia individuale di tipo economico-centrico, validi strumenti di progresso nella prima fase dell’era industriale, e come invece essa debba svilupparsi in un quadro di razionalità globale i cui termini debbono esprimere tutti gli elementi rilevanti, e non solo quelli strettamente aziendalistici”.
Il saggio di Trabucchi sviluppa in effetti questi concetti ad ampio raggio, prospettando la crisi di legittimità dell’impresa e del management e indicando la possibile risposta proprio in un’ampia visione sistemica che ricomprenda gli aspetti politici, economici ed ecologici e di cui la nuova scienza del management può divenire l’alfiere. In coerenza con questa impostazione, la rivista propone in quel periodo la traduzione di alcuni articoli usciti su riviste americane, come quello di Igor Ansoff (“Management, impresa, società civile”, 1971, 4) sul versante della legittimazione sociale, e di Chris Argyris (“Il capo d’azienda e lo sviluppo organizzativo”, 1973, 18) su quello della visione umanistica.
Ma in questo periodo fondativo Sviluppo&Organizzazione risente anche di una grande spinta alla concretezza, che si esprime tra l’altro nella forte attenzione dedicata a un tema particolare: si tratta di recepire le istanze sociali e umanistiche nei principi fondanti della prassi aziendale. Il numero 8 del 1971 dedica spazio rilevante all’inserimento “nelle situazioni di bilancio e dei sistemi di controllo” di una valorizzazione economica del capitale umano; c’è l’articolo di un autore straniero e soprattutto un intervento dello stesso Gennaro, significativamente intitolato: “La valutazione esplicita delle risorse umane nei bilanci e nei sistemi di controllo aziendali”.
Si ritiene quindi che la scienza del management possa tradurre in pratica gli assunti ideali della visione sistemica promuovendo cambiamenti significativi nella prassi della gestione aziendale; e cosa vi è di più concreto degli strumenti della contabilità e del controllo? Uno sviluppo ulteriore di questa linea di pensiero si trova nel contributo di Giuseppe Scifo su “Gli investimenti in capitale umano” (1974), il cui sottotitolo afferma programmaticamente: “Bisogna ampliare il concetto di investimenti ed elaborare nuovi criteri di valutazione per seguire la dinamica del valore dell’organizzazione”.
Nell’editoriale del primo numero della rivista Gennaro aveva espresso l’intento di fondo con queste parole: “Richiamare l’attenzione anche sugli obiettivi più generali di sviluppo di una società moderna e sui problemi di collegamento a essi che la struttura organizzativa aziendale non può trascurare di considerare; ritrovando la giustificazione della sua attività nel comporla dialetticamente con il processo di sviluppo della intera società umana”. Nel primo quinquennio di vita della rivista questo ideale programmatico appare quindi realizzato: alcuni concetti sui quali si insiste, come quello di capitale umano, sembrano in grado di dare sostanza allo stesso titolo che è stato scelto, Sviluppo&Organizzazione. L’organizzazione è una forza, che si esprime sul terreno produttivo ed economico, ma che è chiamata a generare sviluppo, in una prospettiva più ampia, non solo aziendale, non solo economica, ‘sistemica’ appunto.
Ma gli Anni 70 non sono un periodo facile. L’ideale sistemico, insito nella visione della scienza del management che la rivista sostiene, incontra forti contrasti. Un articolo di Claudio Demattè, pubblicato nel 1975, reca il titolo “L’impresa disorientata”. Vi troviamo un’analisi spassionata della realtà del momento, unita alla consapevolezza che l’impresa è “un prodotto storico” e quindi è chiamata a confrontarsi con il mutare delle esigenze espresse dalla collettività, adattandosi alle nuove situazioni. Demattè individua con lucidità l’esigenza di un chiarimento delle funzioni attribuite all’impresa nel più ampio sistema economico e sociale e quindi della fissazione di ‘regole del gioco’ più chiare e condivise; richiama anche l’importanza per i dirigenti e i quadri intermedi di partecipare attivamente con proprie proposte ai dibattiti in corso in una fase di confusione e turbolenza da cui si dovrebbe cercare di uscire.
È interessante quindi vedere come la rivista tocchi, ai suoi esordi, temi che 50 anni dopo risultano ancora attuali e in buona parte irrisolti. Il capitale umano è oggi un concetto entrato nel linguaggio corrente, oggetto di grande attenzione anche da parte della ricerca di management; ma la cui misurazione non sembra ancora accolta, almeno nella meccanica formale dei conti aziendali.
E il dibattito sull’allargamento dei fini dell’impresa, sull’inclusività, sulla sostenibilità dal punto di vista dell’ecologia sta riprendendo vigore e rilevanza proprio in questi tempi, in seguito alle crisi dell’ultimo decennio.
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