Grazie dei fiori… ma preferisco un lavoro (e giustamente retribuito)
In Italia una donna su due non lavora e spesso la maternità segna il momento in cui ci si ‘ritira a vita privata’, letteralmente. Secondo gli ultimi dati Eurostat riferiti al terzo trimestre 2022, l’Italia resta fanalino di coda in Europa con il 54,7% delle donne al lavoro tra i 20 e i 64 anni, a fronte del 69,4% nell’Unione europea. Un’indagine dell’Inapp, invece, riporta che dopo la nascita di un figlio quasi una donna su cinque (18%) smette di lavorare.
In occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne, Parole di Management – che ha dedicato una puntata speciale di PdM Talk, il talk show manageriale del nostro quotidiano – ha voluto indagare il tema del diritto al lavoro femminile (e relativa parità di genere) raccogliendo la testimonianza di due imprenditrici: Paola Pomi, CEO di Sinfo One, system integrator di Parma, e Licia Mattioli, Amministratrice Delegata dell’oreficeria Mattioli ed ex Vicepresidente di Confindustria.
“Non credo che il tema delle quote di genere sia risolutivo, tanto meno efficace”, racconta Pomi. “Spesso le aziende si inorgogliscono nel raccontare che impiegano molte donne (in alcuni contesti anche più degli uomini), ma non offrono loro percorsi di crescita professionale né economica”. Sinfo One non conta ancora abbastanza profili femminili, pur registrando una presenza sopra la media – si consideri, infatti, la più ampia questione delle carenze delle donne delle materie Stem (acronimo di Scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) –, ma si impegna per valorizzare le donne occupate con un piano di sviluppo che tenga conto della seniority e di una crescita in termini di remunerazione.
Il principale lavoro delle donne è quello di cura
A incidere in modo rilevante sul tasso di occupazione femminile è anche il fatto che il 76,2% del lavoro familiare delle coppie è a carico della donna, come riportano i dati Istat. “La più grande disparità di genere nel mondo del lavoro è il carico di cura”, commenta Mattioli. “Il nostro Paese è ancora fortemente radicato nel preconcetto della ‘donna madre’ che è responsabile della casa e della crescita dei figli. Nei Paesi del Nord Europa i ruoli sono più distribuiti, mentre in Italia le donne sono spesso costrette a fare un passo indietro nei confronti dei loro sogni professionali, proprio per esigenze private”.
Quando pensiamo a una donna lavoratrice, infatti, la mente corre subito alla sua sfera personale (con domande del tipo: sarà moglie? Sarà madre? La sua famiglia può contare su di lei o non c’è mai?) e questo è frutto degli stereotipi ancora radicati. Il tema del ‘potere’ e della leadership ha una ricaduta sulla sfera privata, indipendentemente dal genere, e forse è una curiosità legittima voler conoscere come le persone conciliano questi due aspetti. “Dovremmo però abituarci a fare queste stesse domande anche agli uomini, per decostruire il pregiudizio che la sfera privata li riguardi poco o nulla”, riflette Pomi.
Per contribuire all’abbattimento di questo preconcetto, le aziende possono incentivare i congedi parentali per i padri, oppure garantire periodi di lavoro da remoto a entrambi i genitori, non solo la madre. “Siamo attenti ai carichi di cura dei nostri collaboratori. Nella nostra azienda lavorano alcune coppie e ad ambedue offriamo proposte ‘flessibili’ per conciliare il lavoro con la gestione della casa e della famiglia”, prosegue la CEO di Sinfo One. Tornando alla già citata indagine Inapp, la motivazione principale per la quale quasi una donna su cinque smette di lavorare è proprio la mancata conciliazione tra lavoro e cura (52%), seguita dal mancato rinnovo del contratto o dal licenziamento (29%).
Un nuovo ‘genere’ di leadership
In un brano intitolato Il padrone della festa, Niccolò Fabi, Max Gazzè e Daniele Silvestri cantano: “Voglio che le cariche importanti dove si decide per il mondo vengano assegnate solo a donne, madri di figli. Sarei molto curioso di vedere se all’interno delle loro decisioni riuscirebbero a scordarsi il loro futuro”. C’è una differenza, in termini di modelli direttivi e di leadership, tra un uomo e una donna? Difficile poter definire e teorizzare una risposta precisa, ma le due imprenditrici si trovano d’accordo nel delineare alcuni tratti comuni al loro modo di guidare un’azienda che derivano dal loro essere donne.
“Non mi riconosco nella definizione di un modello di ‘leadership femminile’ o ‘maschile’, anche se è pur vero che le donne tendono a essere più diplomatiche, per predisposizione culturale”, riflette Mattioli. “Uomini e donne hanno mindset diversi, dovuti a educazione e sensibilità culturali in parte differenti. Garantire la parità di genere in posizioni apicali permetterebbe di avere svariati punti di vista, tutti egualmente interessanti e autorevoli, e sarebbe una bella opportunità di crescita per le organizzazioni”, conclude.
Per Pomi, invece, è stata anche l’esperienza della maternità ad averla formata come lavoratrice e come leader: “Ci pensiamo troppo poco, ma essere genitori è una grande palestra di soft skill: si allenano la pazienza, la creatività, la gestione del tempo. Questo ‘bagaglio’ dovrebbe essere maggiormente riconosciuto alle donne, e non penalizzato”. Il tema della cura, come detto, plasma di conseguenza anche la leadership, che accoglie una visione più attenta e consapevole della complessità delle persone, eventualmente anche della loro vulnerabilità.
Classe 1996, Martina Midolo è giornalista pubblicista e si occupa di social media. Scrive di cronaca locale e, con ESTE, ha potuto approfondire il mondo della cultura d’impresa: nel raccontare di business, welfare e tecnologie punta a far emergere l’aspetto umano e culturale del lavoro.
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