Hai già pensato ai tuoi nuovi lavori?
La pandemia ha sconvolto il mondo del lavoro: c’è chi lo ha perso, chi è ‘in pausa’, chi ha dovuto rinunciare a una parte dello stipendio, chi si è ritrovato improvvisamente a lavorare da casa con gli uffici chiusi e diversi carichi di cura familiare. Oppure chi ha provato tutte queste situazioni sulla propria pelle, in momenti diversi. Ma c’è pure chi, lavorando in contesti essenziali, ha continuato a lavorare in presenza: è stato il caso di chi opera negli ospedali, nei supermercati o nei magazzini con nuovi protocolli di sicurezza. Per tentare di fare chiarezza in questo contesto e capire l’evoluzione del mercato del lavoro, il McKinsey Global Institute (Mgi) ha recentemente pubblicato un report che esamina i cambiamenti a lungo termine che il Covid ha provocato e che provocherà sulle professioni fino al 2030.
L’obiettivo è identificare l’impatto della pandemia sulla domanda di lavoro, considerando le nuove competenze, le occupazioni richieste e le implicazioni per i leader, sia economici sia politici. La ricerca ha esaminato otto Paesi molto diversi tra loro: Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Insieme, questi Stati rappresentano quasi la metà della popolazione globale, nonché il 62% del Prodotto interno lordo. L’Italia? Come spesso succede ci tocca restare ai margini e accontentarci di analizzare ciò che succede fuori dal nostro Paese per poi calarlo nella nostra realtà.
L’analisi è partita dai lavoratori di prossimità fisica come gli operatori sanitari, chi è impiegato nel settore della cura della persona, i commessi o i cassieri, chi lavora nella ristorazione e nel settore turistico, colf e badanti, hostess e steward. Per alcune di queste figure, il futuro non si prospetta molto roseo. Innanzitutto, circa il 20% dei viaggi di lavoro potrebbe non tornare più dopo la pandemia (dato l’uso massiccio dei meeting online). Inoltre, nel 2020 l’ecommerce nel Retail degli otto Paesi presi in considerazione è cresciuto di cinque volte rispetto al 2019. Per non parlare di altre innovazioni come la telemedicina.
Non si può parlare di futuro senza infrastrutture adeguate
La grande crescita delle attività digitali potrebbe implicare una transizione dai lavori di prossimità come li conosciamo ora a quelli della cosiddetta Gig economy. I posti di lavoro nei magazzini e nei trasporti potrebbero aumentare, quindi, come risultato della crescita dell’ecommerce e dell’economia delle consegne, ma è improbabile che questo compensi l’interruzione di molti altri lavori. Più di 100 milioni di persone, infatti, dovranno cambiare occupazione nei prossimi 10 anni, cioè un 12% in più rispetto a ciò che accadeva prima della pandemia.
Chi cambierà mansione dovrà anche colmare i gap di competenze che saranno richieste, come la capacità di adattamento a nuovi scenari, la skill più ricercata nel 2020 per ovvi motivi. In ottica futura, questo approccio potrebbe fare la differenza nella scelta dei collaboratori. Inoltre, il Mgi ritiene che, nel giro di 10 anni, tra il 20 e il 25% della forza lavoro nelle economie avanzate potrebbe lavorare da casa dai tre ai cinque giorni a settimana. Gli Stati che hanno una grande fetta di mansioni computer based, infatti, hanno più possibilità di farlo rispetto alle economie emergenti.
Per studiare questo fenomeno, il Mgi ha incluso nella ricerca 800 Executive Manager degli otto Paesi menzionati: i due terzi degli intervistati ha dichiarato che di aver già investito o di avere in programma di investire in automazione e Intelligenza Artificiale (AI) nella sua organizzazione. Prima di parlare di AI, però, il report suggerisce che i politici potrebbero sostenere le imprese espandendo e migliorando l’infrastruttura digitale, dato che anche nelle economie avanzate quasi il 20% dei lavoratori nelle famiglie rurali non ha accesso a Internet.
Elisa Marasca è giornalista professionista e consulente di comunicazione. Laureata in Lettere Moderne all’Università di Pisa, ha conseguito il diploma post lauream presso la Scuola di Giornalismo Massimo Baldini dell’Università Luiss e ha poi ottenuto la laurea magistrale in Storia dell’arte presso l’Università di Urbino.
Nel suo percorso di giornalista si è occupata prevalentemente di temi ambientali, sociali, artistici e di innovazione tecnologica.
Da sempre interessata al mondo della comunicazione digital, ha lavorato anche come addetta stampa e social media manager di organizzazioni pubbliche e private nazionali e internazionali, soprattutto in ambito culturale.