Il digitale come antidoto alla pandemia
Molte imprese hanno ampliato o diversificato il business, ma occorre sostenere le realtà più piccole.
Il Covid-19 è senz’altro portatore di tanti aspetti negativi. Tuttavia, per alcune imprese italiane è stato anche veicolo di un’accelerazione della trasformazione digitale. Durante la tavola rotonda della tappa del Piemonte del progetto multicanale della casa editrice ESTE, Fabbrica Futuro – di cui Parole di Management è Media Partner – questo aspetto è stato indagato sotto diversi punti di vista.
In effetti, oggi non possiamo più considerare il digitale come un vantaggio competitivo: è un prerequisito delle imprese. Non per tutte, però, è semplice affrontare il cambiamento. Soprattutto le PMI, che costellano il nostro tessuto industriale, sono spesso carenti di risorse (umane, materiali, tecnologiche) e questo ostacola l’innovazione. Eppure, l’emergenza le ha costrette in qualche modo a guardare la realtà e a fare un salto in avanti. Trasformazioni che, forse, sarebbero avvenute comunque, ma con tempi più lunghi, sono diventate urgenti e questo ha generato un notevole impulso all’innovazione tecnologica e digitale.
È il caso, per esempio, di Prima Industrie: abituata a programmare continui viaggi transoceanici dei propri tecnici, come ha raccontato il CEO Ezio Basso, l’emergenza sanitaria e il conseguente lockdown hanno posto l’azienda nella condizione di sospendere le trasferte. Questa situazione avrebbe potuto causare un blocco della produzione. Invece, è stato l’input decisivo per individuare strumenti innovativi, al fine di proseguire le attività di formazione tecnica e di supporto alle installazioni di macchinari anche a distanza. Grazie a riunioni virtuali e all’utilizzo di strumenti di realtà aumentata, non solo tutto è proseguito come prima, ma c’è stato anche un notevole risparmio sui costi delle trasferte. Le risorse che, in precedenza, erano destinate a tali spostamenti sono state investite nell’innovazione digitale e ciò ha permesso un salto di qualità dell’azienda.
Questo non sarebbe stato possibile senza la collaborazione del personale, che ha mostrato una notevole capacità di adattamento: tecnologia e persone non sono elementi distinti. Anche la Supply chain è cambiata, di conseguenza: l’individuazione e il ricorso ad alcuni fornitori locali, accanto ai grandi fornitori internazionali, ha fatto sì che la produzione non abbia mai subito interruzioni, nemmeno nel momento più critico per i trasporti.
Il sostegno alle PMI nella trasformazione digitale
Tuttavia, non è scontato che le aziende abbiano tutte la stessa capacità di adattamento e reazione. Per favorire e incentivare la collaborazione tra imprese, la Regione Piemonte ha creato, circa 10 anni fa, il Mesap, un polo di innovazione sorto proprio con lo scopo di sostenere quelle PMI che faticano maggiormente a tenere il passo con il progresso tecnologico. La condivisione di tecnologie, hardware e software, la collaborazione con le Istituzioni e le grandi imprese, l’analisi dei bisogni (anche a livello di competenze) permette alle piccole realtà di avere una maggiore consapevolezza delle ricadute positive dell’innovazione sulla produzione, rendendo loro più semplice accedere agli strumenti per attuarla.
D’altra parte, come ha sottolineato Marco Gay, Presidente di Confindustria Piemonte, il mondo è improvvisamente cambiato e, anche solo sei mesi fa, sarebbe stato impossibile prefigurarsi lo scenario che ci si prospetta per l’immediato futuro. Ecco perché è più difficile “fare da soli”: anche nel fare impresa serve un cambio di passo. Il bisogno di innovare e trasformare digitalmente le aziende, che era più un proposito che un’urgenza, ora è una necessità immediata. Se il tempo della trasformazione, prima del Covid-19, era veloce, adesso è “supersonico”, come l’ha efficacemente definito Gay: va fatta subito e bene, senza esitazione.
Il coraggio del cambio di passo
L’aspetto positivo della pandemia, se così si può dire, è che ha dato coraggio a diverse aziende di diversificare o ampliare il proprio business: alcune hanno attivato l’ecommerce, progettandolo come strumento di Business to Business, oltre che di Business to Consumer.
“Consapevolezza”, “coraggio”, “investimenti” sono le parole chiave per l’avvenire delle aziende italiane e del Made in Italy. Esso va proiettato nel futuro e le aziende, soprattutto le più piccole, ancora una volta, vanno aiutate affinché questo cambio di passo sia percepito come un’opportunità, prima che come una necessità. Alle aziende italiane occorre prospettare nuovi modelli di business, che si aprano a diverse possibilità di raggiungere il consumatore finale, ma che possano contemplare adattamenti e riconversioni produttive. Le automatizzazioni, le innovazioni tecnologiche devono appoggiarsi a strutture in grado di sostenerle con un pensiero critico e organico, che guardi, in prospettiva, anche al mercato internazionale.
Aziende come Mattioli, che produce gioielli, fino a qualche mese fa non avrebbe mai considerato l’idea di poter vendere prodotti da decine di migliaia di euro online. C’erano da vincere paure e diffidenze da parte del consumatore, oltre che ostacoli tecnologici legati alla sicurezza delle transazioni. Ma anche l’azienda stessa faticava a effettuare questo tentativo. Eppure l’online, diventato quasi una necessità durante il lockdown, ha permesso transazioni veloci e soddisfacenti anche su prodotti di considerevole valore. Questo denota che il mercato era già pronto al cambiamento e occorreva solo dare l’avvio a questa trasformazione digitale.
Questioni etiche dell’innovazione e prospettive ottimistiche per il Made in Italy
Continuare a investire durante l’emergenza sanitaria e la crisi che ne è conseguita si è rivelato vincente anche per Eurofork: il fatturato, in costante crescita dal 2010, negli ultimi mesi ha registrato un più 17%, su cui nemmeno l’azienda stessa avrebbe scommesso. Il Covid-19, dunque, è stato un vero acceleratore per chi ha saputo cogliere l’occasione.
Questa nuova strada aperta verso la digitalizzazione e l’innovazione apre, però, anche a quesiti etici. Non serviranno più gli operai? Si perderanno posti di lavoro? La risposta di Luciano Bonaria, fondatore di Spea, è stata estremamente ottimista. A suo avviso, il famoso ingegno italiano ha permesso alle nostre imprese di restare in salute, diventando più tecnologiche, ma anche più autonome nella produzione.
A suo giudizio cambierà il tipo di lavoro e, forse, nella futura generazione di lavoratori ci saranno più tecnici che operai, ma non per questo meno posti di lavoro. Anzi, saranno più qualificati e questo porterà un vantaggio competitivo alle nostre aziende. La prospettiva per i giovani italiani non è dunque negativa, nemmeno nella difficile situazione attuale. Abbiamo dunque raccolto messaggi positivi per il nostro mercato del lavoro, in uno scenario sanitario ed economico ancora incerto.
Bolognese, giornalista dal 2012, Chiara Pazzaglia ha sempre fatto della scrittura un mestiere. Laureata in Filosofia con il massimo dei voti all’Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna, Baccelliera presso l’Università San Tommaso D’Aquino di Roma, ha all’attivo numerosi master e corsi di specializzazione, tra cui quello in Fundraising conseguito a Forlì e quello in Leadership femminile al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Corrispondente per Bologna del quotidiano Avvenire, ricopre il ruolo di addetta stampa presso le Acli provinciali di Bologna, ente di Terzo Settore in cui riveste anche incarichi associativi. Ha pubblicato due libri per la casa editrice Franco Angeli, sul tema delle migrazioni e della sociologia del lavoro. Collabora con diverse testate nazionali, per cui si occupa specialmente di economia, di welfare, di lavoro e di politica.
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