Bandiera_Italiana

Il flop della Nazionale è lo specchio dei limiti dell’Italia

La figuraccia fatta dall’Italia all’Europeo 2024 in Germania ha prodotto commenti molto sconfortanti: “Nessuna strategia”, “Mancanza di un modulo adeguato ai giocatori disponibili”, “Spalletti non ha il senso della realtà”, “Mancanza di capacità individuali”, “Mancanza di motivazione e grinta”, “inerti”, “squadre di club troppo basate su stranieri senza adeguato sviluppo di nostri vivai di giovani”, ecc..  Sembra la descrizione degli italiani fatta dal Censis nel suo ultimo rapporto sul degrado dell’economia italiana e delle sue cause: qualcuno forse si ricorderà che siamo stati definiti “sonnambuli inerti”, cioè persone che vivono in una visione distorta della realtà (di cui non vogliono prendere atto) e che non ritengono comunque di dover in un qualche modo reagire, in quanto sembra che il problema non li riguardi. Tutti (o quasi) gli aggettivi usati dalla stampa per fotografare la situazione della Nazionale di calcio sono, in effetti – almeno nei contenuti – gli stessi che ha evidenziato lo studio del Censis.

Sorge spontanea a tal riguardo una domanda: perché se tale situazione riguarda una squadra di calcio (certo, è pur sempre la Nazionale) se ne parla in prima pagina e se, invece, riguarda tutti gli italiani, cioè il caso del Censis, la notizia finisce in un trafiletto? La cosa certa, infatti, è che la pesante affermazione nei nostri confronti non ha generato l’opportuna discussione. Eppure un tempo, vista l’autorevolezza della fonte, se ne parlava a lungo. Questa volta, nonostante la diagnosi adeguatamente supportata da dati e fatti… silenzio totale. Un po’ come se la questione non ci riguardasse; al massimo qualcuno l’ha snobbata con un sorrisetto ironico.

Ma torniamo al calcio e alla critiche sulla Nazionale che coincidono con quelle del Censis su tutti gli italiani e sul nostro sistema economico. La squadra di calcio non ha strategia? Anche l’Italia – intesa come Paese – non ne ha avuta una a livello industriale. Sembra quasi che di questo neanche se ne capisca il significato. Non a caso questa strategia la si confonde con i piani economico-finanziari, come del resto accade per le relative competenze necessarie. E di conseguenza se ne demanda la responsabilità a esperti economico-finanziari incompetenti a riguardo (basti guardare tutti i nomi che si sono succeduti nel ruolo e come chi ci capiva qualcosa fosse velocemente reso innocuo).

Si accusa il calcio di mancanza di un modulo adeguato per i giocatori disponibili? Anche nell’economia non abbiamo mai messo a fuoco i moduli (modelli di business) adeguati alle nostre capacità e risorse. Tutt’ora imprenditori e politici sembrano non capire che cosa voglia dire ‘cambiare modelli di business’ e quali sono quelli necessari oggi. Il Commissario Tecnico della Nazionale Luciano Spalletti non ha il senso della realtà? Questa diagnosi sembra la sovrapposizione della definizione degli italiani del Censis, che ci ha definiti in un modo che ricorda l’assenza dei giocatori in campo a Berlino contro la Svizzera.

Senza una (vera) strategia si ‘gioca’ a caso

La mancanza di consapevolezza della gravità della situazione dell’Italia è disarmante. C’è chi vuole essere ottimista a ogni costo, sperando probabilmente, nella ‘buona stella’, senza, però, rendersi conto che non andremo da nessuna parte se prima non capiamo come siamo messi e perché tutto ciò è accaduto. E così, si ‘gioca a caso’, un po’ come ha dato l’idea di fare la Nazionale di calcio.

Mancano le capacità individuali nel pallone? In questo caso è troppo facile l’analogia con il livello di competenze degli italiani: siamo tra gli ultimi al mondo in alfabetismo funzionale, 31esimi in coefficiente di intelligenza, penultimi in Europa in laureati e diplomati tecnici, fra gli ultimi nei test di matematica dei giovani, ecc.. Ci mancano motivazione e grinta? I dati li conosciamo: coloro che dovrebbero essere il motore dello sviluppo e della ripresa economica – cioè gli imprenditori – risultano essere al 38esimo posto mondiale in propensione al rischio (proprio ora che occorrerebbe modificare velocemente le proprie aziende e adottare nuovi modelli di business). Una popolazione in generale di ‘inerti’, mentre il mondo sta cambiando velocemente e occorrerebbe trovare nuove collocazioni (di business, competenze, politiche, culturali, ecc..).

Che dire, poi della mancanza di un adeguato vivaio di risorse giovani? In Italia abbiamo una piramide demografica che si sta ribaltando, perché ci sono più anziani che giovani. Il mancato sviluppo di competenze adeguate nei nuovi potenziali lavoratori rende quasi impossibile lo sviluppo economico. Anzi, è molto difficile persino mantenerlo: solo per non far sgretolare la piramide demografica occorrerebbero 2,2 nascite per ogni donna e in Italia siamo a 1,22… Quindi la generazione successiva è già dimezzata e l’impatto sulla piramide demografica sarebbe proporzionale in due-tre generazioni se non fosse integrata dall’immigrazione.

L’Italia importa immigrati per i lavori poveri

A proposito degli immigrati, è bene ricordare che la tipologia di chi è accolto in Italia non ci consentirà di aumentare il valore prodotto pro capite, a causa delle loro basse competenze e per il mancato sviluppo di nuovo modello di business a maggior valore aggiunto da parte delle nostre aziende. Non potrà quindi aumentare il Pil reale del Paese, e di conseguenza non potranno aumentare i salari medi. Diversa la situazione in altri Paesi con necessità simili alle nostre che ricorrono a risorse immigrate per sostenere l’economia, come per esempio Svezia e Germania.

Nel loro caso, gli immigrati immessi nel sistema economico sono di buona, se non elevata, scolarità e competenza. Essi contribuiscono a sostenere il valore aggiunto per lavoratore e i salari che le loro aziende possono fornire loro sono decisamente più alti dei nostri. E questo è anche il motivo per cui noi perdiamo anche le poche risorse a maggior competenza che riusciamo a creare: vanno nei Paesi dove le imprese producono maggior valore aggiunto pro capite e che quindi possono riconoscere retribuzioni più alte.

In Italia, purtroppo, c’è una accezione molto diversa riguardo gli immigrati che spesso sono impiegati per i lavori più ‘poveri’ e che gli italiani non vogliono più fare. Difficile, con tale approccio, aumentare il Pil pro capite e i salari medi. Dunque, come rispondere a chi punta il dito – tornando al calcio – sulle squadre di club basate soprattutto sugli stranieri? È così anche per le nostre aziende: sono oramai in buona parte in mano straniera, specialmente quelle a maggior valore aggiunto.

Il basso livello delle questioni di valore sui media

Rimane la domanda di fondo: perché gli italiani sono diventati “sonnambuli inerti” come dice il Censis? A tal riguardo il basso tasso di alfabetismo funzionale potrebbe essere una spiegazione, ma probabilmente esso è più un effetto che una causa della situazione. Di ciò è anche complice la stampa, che in effetti si perde in paginate di contenuti di basso livello politico, di gossip e di relative scaramucce: si concentra spesso su temi riguardanti principi e diritti, che, non essendo concetti matematici, sono di più facile comprensione e su di essi tutti possono esprimere facilmente opinioni e discuterne. E in particolare trattano del come tutelare le minoranze, dimenticandosi dei problemi delle maggioranze (che peraltro riguardano anche gli altri)

Ovviamente le cause non sono solo della stampa. La situazione è storicamente più complessa. La speranza ora è ora quella che non si avveri quanto aveva detto tempo fa Umberto Eco, secondo il quale l’Italia stava già diventando un Paese di imbecilli che non sanno di esserlo, perché continuano a discutere tra di loro di imbecillità non sapendo discutere di altro; e non vogliono ascoltare chi li fa sentire imbecilli parlando di cose che non capiscono. Può essere che questa citazione non sia esattamente alla lettera e in questo caso la faccio in parte mia. Ma il concetto resta.

È molto difficile trovare, oggi, chi vuole contribuire a discussioni serie sui motivi del degrado dell’Italia: sembriamo quasi tutti struzzi che mettono la testa sotto la sabbia. Accettare di fare diagnosi sulla nostra situazione, abbandonando atteggiamenti nichilisti o fatalisti, sarebbe invece molto utile per aiutare l’opinione pubblica a partecipare alla politica, recuperando la massa di fatalisti dall’astensionismo. Chissà se l’analogia con il degrado della capacità della Nazionale di calcio può aiutare a far ragionare sul tema… Ovviamente è una battuta.

Nazionale calcio, sonnambuli inerti, Italia Censis


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Giorgio Merli

Giorgio Merli è autore di numerosi libri e articoli sul management pubblicati in Europa e negli Usa; è consulente di multinazionali e Governi, oltre che docente in diverse università in Italia e all’estero. È stato Country Leader di PWCC e di IBM Business Consulting Services

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