Copernico

Il lavoro ibrido va alla ricerca di spazi flessibili

Il futuro del lavoro, ormai è chiaro a tutti, è ibrido. Un concetto che vale tanto per l’organizzazione quanto per gli spazi lavorativi. Già nel primo lockdown della primavera 2020 s’è compreso – almeno vale per i cosiddetti knowledge worker – che è possibile lavorare lontano dall’ufficio; la ripresa ‘a singhiozzo’ iniziata a maggio 2020 ha confermato che il lavoro può essere svolto realmente da ogni luogo, nonostante per tanti la declinazione di “everywhere” abbia coinciso esclusivamente con la propria casa. Ora che la campagna vaccinale contro il Covid-19 sta avvicinandosi ai tassi che per gli esperti consentirebbero di avere una situazione di maggiore sicurezza, numerose aziende stanno rivedendo i propri modelli organizzativi imposti dall’emergenza sanitaria e di conseguenza gli uffici stanno tornando a popolarsi.

Se la Pubblica amministrazione ha scelto il rientro totale del personale – il Ministro della Pa Renato Brunetta lo ha spiegato facendo riferimento a questioni tecnologiche e culturali ancora da risolvere – tante organizzazioni stanno andando nella direzione opposta, applicando lo Smart working totale: per esempio Facebook, almeno per i lavori compatibili con l’esecuzione a distanza. Ma ci sono pure aziende che preferiscono far scegliere alle persone l’ambiente in cui lavorare, che non per forza deve essere l’ufficio. Questa nuova organizzazione del lavoro impone di essere dotati di spazi idonei per offrire la flessibilità che caratterizza il lavoro ibrido: poche sono le aziende che possono vantare ambienti già in linea con questa tendenza che si sta affermando, anche in Italia.

Barbara Cominelli, CEO di JLL, player mondiale nei servizi immobiliari, ha confermato il trend: se oggi nel nostro Paese l’utilizzo di spazi ibridi vale circa l’1% del mercato del settore uffici (nel Regno Unito e in Usa la percentuale si avvicina al 10%), entro il 2030 assisteremo a una crescita fino al 30%. “Vuol dire che c’è grande bisogno di reinventare i modelli di lavoro, perché l’ufficio non è più l’unico luogo da cui lavorare; si deve trasformare nello ‘strumento’ allineato rispetto alle attività da svolgere”, è la tesi di Cominelli.

Gli spazi si adeguano alla richiesta di flessibilità

Questo scenario si rivela particolarmente favorevole per i co-working, cioè quegli spazi di lavoro che sono già in grado di rispondere alle necessità del lavoro ibrido, proprio perché si adattano alle esigenze dei lavoratori, senza imporre ingenti investimenti alle aziende. E che il mercato sia in crescita, lo si deduce anche dagli investimenti dei grandi player, che puntano proprio sul settore uffici, come riferito da Luca Dondi, Amministratore Delegato di Nomisma, società specializzata in ricerche di mercato e consulenze. Senza poi considerare che gli amministratori delle città – in particolare le metropoli – si stanno interrogando sui nuovi modelli di sviluppo locale legato alla minor frequenza del lavoro in presenza.

A convincere le aziende della necessità di dotarsi di nuovi modelli organizzativi del lavoro ci sono di certo i benefici del lavoro a distanza: in particolare è emerso che le persone lontano dall’ufficio sono più produttive. Secondo lo studio Marketers State of Remote Working 2021, uscito nella primavera 2021, l’80% dei lavoratori è stato più produttivo, proprio perché ha lavorato senza obblighi di orario e cartellini da timbrare.

Ma anche l’Home working ha numerosi limiti, non solo tecnologici: per esempio, lo stesso studio ha evidenziato che il 40% del campione ha lavorato ben più delle 40 ore settimanali… Oltre alle questioni legate al work-life balance da risolvere – è difficile gestire la vita privata se si lavora senza interruzione né riposi – esistono svariate tipologie di lavoratori che al lavoro esclusivamente a distanza preferirebbero una soluzione ibrida, che consentisse la frequentazione di spazi condivisi per sviluppare i progetti.

La crescita di interesse verso i co-working

Per la verità il lavoro ibrido non è una novità legata alla gestione della pandemia. Lo ha confermato Mauro Mordini, Country Manager di IWG, leader mondiale nella fornitura di spazi di lavoro flessibile, secondo cui l’interesse per gli ambienti condivisi vede da qualche tempo rilevanti tassi di crescita, con una recente accelerazione che ha iniziato a interessare anche le metropoli, Milano su tutte. “L’emergenza sanitaria è stata un test per verificare se le persone fossero in grado di lavorare da remoto e la risposta è stata chiara”, ha ragionato Mordini in occasione dell’inaugurazione del business center Signature by Regus in pieno centro di Milano, proprio di fronte al Duomo, avvenuta agli inizi di settembre 2021. “Tuttavia non è possibile sempre lavorare a distanza, perché vengono meno, per esempio, i valori aziendali o la formazione indiretta tra colleghi”.

Che non si tornerà al modello del passato è chiaro. Così come si ipotizza che gli uffici non spariranno completamente. Infatti per Mordini serve ripensare gli spazi in quanto non sono più chiamati ad accogliere le persone quotidianamente. Ecco che si va verso un modello definito dagli esperti come “club and hub”: alla sede centrale esclusiva e costruita come spazio di rappresentanza (club) si affiancano gli ambienti di lavoro sparsi sul territorio, non per forza di proprietà dell’azienda stessa (hub). Inoltre questo modello – che prende il nome di “near working” – si concilierebbe con l’idea della ‘città a 15 minuti’, cioè nella quale i cittadini possono raggiungere i vari punti di interesse (magari con sistemi di trasporto sostenibile) in un quarto d’ora.

Quello che nascerà sarà quindi un ecosistema di uffici; è ovvio, tuttavia, che poche sono le organizzazioni che già ora possono contare sulla disponibilità di spazi per offrire la flessibilità richiesta dalle persone (e che si trasforma anche in una leva di ingaggio dei talenti). E neppure il mercato immobiliare, secondo gli esperti, è pienamente in grado di rispondere alla crescente domanda. È un momento di transizione: chi dispone dell’offerta adeguata – è proprio il caso degli spazi di co-working – parte avvantaggiato.

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Dario Colombo

Articolo a cura di

Giornalista professionista e specialista della comunicazione, da novembre 2015 Dario Colombo è Caporedattore della casa editrice ESTE ed è responsabile dei contenuti delle testate giornalistiche del gruppo. Da luglio 2020 è Direttore Responsabile di Parole di Management, quotidiano di cultura d'impresa. Ha maturato importanti esperienze in diversi ambiti, legati in particolare ai temi della digitalizzazione, welfare aziendale e benessere organizzativo. Su questi temi ha all’attivo la moderazione di numerosi eventi – tavole rotonde e convegni – nei quali ha gestito la partecipazione di accademici, manager d’azienda e player di mercato. Ha iniziato a lavorare come giornalista durante gli ultimi anni di università presso un service editoriale che a tutt’oggi considera la sua ‘palestra giornalistica’. Dopo il praticantato giornalistico svolto nei quotidiani di Rcs, è stato redattore centrale presso il quotidiano online Lettera43.it. Tra le esperienze più recenti, ha lavorato nell’Ufficio stampa delle Ferrovie dello Stato italiane, collaborando per la rivista Le Frecce. È laureato in Scienze Sociali e Scienze della Comunicazione con Master in Marketing e Comunicazione digitale e dal 2011 è Giornalista professionista.

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