Il nuovo ordine mondiale nella deglobalizzazione
Le incertezze sugli scenari economici restano elevate e non permettono di escludere un rischio di recessione, in particolare negli Stati Uniti e, in caso di totale embargo del gas naturale russo, anche in Europa. Il rallentamento della crescita economica sarà determinato dalla perdita di potere d’acquisto delle famiglie, provocata dall’inflazione e dall’orientamento più restrittivo delle politiche economiche.
Gradualmente saranno riassorbiti gli stimoli fiscali introdotti durante la pandemia e soltanto in parte sostituiti da misure di contrasto agli effetti dello choc energetico (area euro) o da investimenti pubblici (Cina). Il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevede una riduzione dell’1,4% del saldo primario corretto per il ciclo nei Paesi avanzati, mentre in quelli emergenti si verificherebbe un incremento dell’1%, dovuto principalmente alla Cina.
Un fattore di freno sarà, poi, costituito dalle politiche monetarie. Quasi tutte le Banche centrali hanno sospeso i programmi di acquisto dei titoli e hanno avviato una fase di aumento dei tassi ufficiali. Il nostro scenario ipotizza una normalizzazione della politica monetaria nell’area euro con un rialzo dei tassi della Banca centrale europea (Deposit facility rate) all’1,5% e un ciclo restrittivo della Federal reserve oltre il 4% a metà 2023.
Il peso dei rincari delle materie prime
In Italia, il settore manifatturiero continuerà a essere penalizzato dai rincari delle materie prime, ma le Costruzioni restano in una fase ultra-espansiva e i Servizi mostrano ampi spazi di recupero. Principalmente per effetto dell’eredità statistica del 2021, la crescita del 2022 dovrebbe assestarsi al 3%, per rallentare all’1,6% nel 2023, sempre nell’ipotesi che la Russia non ‘chiuda i rubinetti’ del gas.
L’impatto del conflitto in Ucraina si è sinora dispiegato principalmente attraverso il canale dell’aumento dei costi delle materie prime. La guerra ha influito negativamente sugli indici di fiducia; questo fenomeno, però, è risultato di entità significativa quasi esclusivamente per i consumatori. Nel caso delle imprese, la fiducia è in rallentamento, ma resta in un territorio espansivo e superiore alla media storica; il fatturato ha toccato a marzo 2022 il massimo dal 2000. Per il Turismo ci si attende un anno record, con prezzi in rialzo.
Nonostante la ripresa degli ultimi trimestri, il rapporto investimenti-Prodotto interno lordo (Pil) non è oggi superiore alla media di lungo periodo. Gli incentivi fiscali nonché i programmi di spesa finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) continueranno a sostenere la spesa in conto capitale anche nel biennio 2022-23. L’incertezza gravante sullo scenario geopolitico internazionale e la contrazione in corso dei margini delle imprese potrebbero agire da freno, ma lo choc potrebbe essere controbilanciato dagli elevati profitti accumulati negli ultimi anni, così come dall’ampia liquidità ancora a disposizione delle imprese. L’Europa (e l’Italia in particolare) ha la possibilità di contrastare le tendenze al rallentamento della crescita investendo sulla transizione ecologica, sulla necessaria indipendenza energetica dalla Russia, sulla digitalizzazione e sull’innovazione. Inoltre, si modificheranno le catene del valore e la globalizzazione prenderà nuove forme legate ai rischi geopolitici. Tutto ciò implicherà maggiori investimenti per il sistema privato, soprattutto se gli orientamenti europei diventeranno più puntuali e incisivi in termini di progetti e finanziamenti comunitari.
L’Italia come perno di un sistema Mediterraneo-centrico
Il conflitto in Ucraina ha reso ancora più evidenti le fragilità e i limiti del modello di sviluppo basato sulle catene globali del valore, già emersi con forza con la pandemia. Il tema principale è quello relativo alla sicurezza degli approvvigionamenti, messi a dura prova dai blocchi alla mobilità e dalle chiusure delle infrastrutture di trasporto mondiali, di cui abbiamo scoperto la crucialità nelle fasi più critiche dell’emergenza sanitaria e che, ancora adesso, anche al netto dei nuovi problemi creati dal conflitto, stentano a stare al passo con la domanda.
Non è inverosimile, in questo contesto di tensioni, immaginare nei prossimi anni un nuovo assetto delle relazioni internazionali. La guerra potrebbe, infatti, rappresentare un punto di rottura verso un commercio mondiale organizzato a blocchi, uno con baricentro nell’Atlantico e l’altro in Cina, con il ruolo della Russia largamente determinato dagli esiti e dall’evoluzione del conflitto.
Un assetto alternativo potrebbe essere quello di blocchi economici su basi regionali, con l’Europa che si propone come partner economico e politico nei confronti dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, area fondamentale anche dal punto di vista del potenziale di diversificazione delle fonti energetiche.
L’Italia, grazie alla sua posizione geografica, potrebbe giocare un ruolo chiave in questo blocco, con effetti positivi anche sulla stabilità e sulle tensioni presenti nell’area. Si potrebbe addirittura immaginare, in un contesto in cui le tensioni belliche lascino spazio alle priorità ambientali, un mondo di comunità organizzate intorno a ecosistemi omogenei, come appunto il Mediterraneo, con l’obiettivo di gestirne e preservarne gli equilibri.
Le opportunità per le PMI nel post globalizzazione
Gli aspetti relativi alle condizioni di lavoro in tema di sicurezza e dignità delle persone sono da sempre protagonisti delle critiche più accese alla globalizzazione: condizioni estreme, incidenti e lavoro minorile sono più volte arrivati sulle prime pagine dei giornali, facendo emergere, tra l’altro, anche un ulteriore elemento critico delle catene globali, quello relativo ai potenziali danni reputazionali, particolarmente sentito per i produttori di beni di largo consumo.
Il modello delle catene globali del valore potrebbe non essere compatibile con un’applicazione rigorosa dei criteri Environmental, social and governance (ESG), soprattutto dal punto di vista ambientale. Sono numerosi i contributi che ne studiano l’impatto, in particolare quelli dedicati alla quantificazione delle maggiori emissioni di gas serra indotte dai trasporti su scala globale di beni intermedi e componenti, così come gli studi relativi alle delocalizzazioni determinate dall’introduzione di politiche più stringenti per contrastare l’inquinamento nei Paesi avanzati.
Le imprese italiane possono trovare nuove opportunità di crescita dal ripensamento delle global value chain. Dopo aver perso quote di mercato durante la crescita tumultuosa dei Paesi emergenti, le nostre Piccole e medie imprese (PMI) possono ora presentarsi come fornitori affidabili e vicini ai capi-filiera europei e italiani, garantendo elevati standard qualitativi e di sicurezza degli approvvigionamenti. A maggior ragione alla luce della spinta sempre più chiara delle autorità europee nel favorire l’autonomia del Continente, relativamente a una serie di componenti cruciali ai fini della transizione digitale e nella direzione di una finanza sempre più responsabilizzata sul piano dei criteri ESG.
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Chief Economist di Intesa Sanpaolo
deglobalizzazione, catene del valore, Gregorio De Felice