Il paradosso tra domanda e offerta nella Pa
Chi ha vissuto le realtà delle Pubbliche amministrazioni (Pa) locali negli ultimi vent’anni sa bene cosa è successo. Sotto il baluardo del contenimento della spesa pubblica abbiamo subito anni di blocco delle assunzioni, e altri di blocco parziale del turnover. Oggi ci confrontiamo con il rispetto di parametri di sostenibilità finanziaria che, seppur apparentemente meno rigidi, impongono alle Pa locali scelte strategiche sulle politiche di reclutamento e, ancor prima, sulle modalità di gestione dei servizi erogati alla collettività. I vincoli a cui oggi le amministrazioni locali sono sottoposte non garantiscono la sostituzione di tutto il personale cessato e allora, nel futuro della Pa, diventano imprescindibili due ambiti decisionali: per prima cosa, sarà necessario effettuare analisi make or buy, per decidere quali servizi è opportuno continuare a erogare direttamente e quali possono essere ‘acquistati sul mercato’, quindi esternalizzati. In secondo luogo, saranno necessarie analisi di quelle figure professionali fondamentali, di cui la Pa locale deve dotarsi per far fronte alle sfide del futuro, prima fra tutte quella della transizione digitale.
Ed ecco che, una volta individuate le figure strategiche, si aprono le porte del paradosso: se fino a 10 anni fa, quando le Pa faticavano ad assumere, la domanda era di gran lunga superiore all’offerta, oggi che i vincoli si sono parzialmente allentati e l’offerta è diventata più qualificata, vi è carenza di domanda. Questo fenomeno, in un certo senso, può essere considerato un successo. Il mito della ricerca del posto fisso si è molto ridimensionato e per fortuna, potremmo aggiungere. La Pa non ha bisogno di persone che vedono nell’impiego pubblico il traguardo da raggiungere per potersi ‘sistemare’, ma piuttosto come il punto di partenza per innovare e mettere al servizio dei cittadini le loro capacità. Quindi ben vengano le difficoltà a coprire le posizioni messe a concorso, se questo significa arginare i candidati meno dinamici, proattivi, capaci e qualificati. Ma dobbiamo comunque chiederci perché fatichiamo a selezionare giovani ad alto potenziale e quali strategie dobbiamo introdurre. Sappiamo che non può essere la leva economica quella che spinge i giovani verso un impiego nella Pa, specialmente quella locale, e sappiamo anche di doverci scrollare di dosso la cattiva reputazione che i cittadini hanno nei confronti del nostro mondo, enfatizzata da anni di proclami politici deleteri.
Comunicare l’evoluzione della Pa
Sappiamo anche che i giovani, oggi, hanno una maggior propensione al rischio, una maggior necessità di flessibilità e di conciliazione vita lavoro. Secondo qualcuno anche una minor sopportazione del sacrificio, a differenza dei boomer e della generazione X, ancora molto rappresentative della popolazione dei lavoratori pubblici (nel Comune di Monza sono il 77% di tutti i dipendenti). Ecco allora che molte Pa stanno iniziando a sperimentare le prime strategie e strumenti di Employer branding per farsi conoscere e far conoscere ai giovani la propria proposta di valori ‘aziendali’.
Se vogliamo che il settore si popoli di giovani che condividano il valore di lavorare per il bene comune, è necessario agire su più fronti. Prima di tutto, bisogna avvicinare le nuove generazioni già durante il percorso scolastico e universitario, attraverso la partecipazione a career day che possano portare concrete esperienze di successo. In secondo luogo, è importante promuovere stage extracurriculari, contratti di apprendistato e formazione lavoro per giovani universitari. Altrettanto fondamentale è progettare e lanciare campagne di comunicazione che mostrino il lavoro sul campo dei dipendenti pubblici e che declinino l’Employer value proposition di ciascuna amministrazione. In questa direzione, il Ministero ha recentemente lanciato una controversa campagna pubblicitaria, interessante nella sua ideazione ma forse non efficace nei suoi contenuti. Restando in ambito mediatico, è ormai imprescindibile utilizzare i social media per pubblicizzare bandi pubblici per la ricerca di personale.
Infine, è prioritario modificare le procedure selettive per renderle meno ‘respingenti’ e maggiormente orientate a valutare le competenze attitudinali dei candidati, più che le loro conoscenze tecniche. Inserire nell’offerta, cioè il bando di concorso, i contenuti della stessa potrebbe essere altrettanto utile. Oltre alle caratteristiche della posizione ricercata e al corrispettivo economico, possono essere comunicate anche le condizioni lavorative offerte (welfare aziendale, flessibilità oraria, ambiente di lavoro). Queste le sfide che dobbiamo raccogliere se vogliamo che la Pa diventi un luogo di lavoro attrattivo per le nuove generazioni. Ma per farlo è necessario che la stessa funzione “Personale” all’interno dei vari enti ridisegni il proprio ruolo e i propri processi di reclutamento, selezione, retention. Creatività, innovazione e interpretazione intelligente delle norme devono contraddistinguere le Direzioni HR delle Pa, per creare e far crescere un vivaio di futuri funzionari pubblici in grado di creare valore per la collettività.