Il passo avanti

Economia circolare, green deal, responsabilità: la salute del pianeta vacilla e i riflettori puntano l’attenzione su un cambiamento culturale che deve incentivare modelli produttivi basati sulla circolarità, e quindi su rigenerazione ed ecosostenibilità e abitudini di consumo più responsabili.

La logica deve essere quella del riuso: eliminare dalla nostra vita il concetto dell’usa e getta per utilizzare materiali e prodotti che possono essere riciclati. La manifattura ci sta lavorando, i comportamenti delle persone si adegueranno, si spera. Convivere sommersi dalla plastica credo non piaccia a nessuno, diminuire la ‘carbon footprint’ deve diventare un obiettivo di tutti.

Anche i negazionisti del cambiamento climatico non apprezzeranno, a lungo andare, spiagge invase dalla plastica e alimenti che rilasciano dannose microplastiche. E poiché tutto ha origine dai comportamenti, dobbiamo chiederci quanto sostenibile sia acquistare ossessivamente online intasando il traffico delle nostre città e trasformando i nostri custodi in operatori logistici. Il negozio di prossimità scompare, l’aria delle città si fa irrespirabile, il packaging è spesso sovradimensionato o non sempre sostenibile.

Benissimo concentrarsi sul tema ‘green’ e ma non va sottovalutato il rischio che stiamo correndo sottostimando la potenza di altri due colori, rispettivamente l’azzurro e il rosa. Le nascite stanno calando vertiginosamente e, se il trend non si invertirà, tutto il nostro sistema rischia il default. Un profondo rosso che non lascia speranza, e sono i numeri a dircelo.

Le 440.000 nascite del 2019 rappresentano un valore ben al di sotto del tasso di sostituzione. Le conseguenze sono un calo del Pil del 15% entro vent’anni, se il trend non si invertirà, con un’impennata delle spese per sostenere un impianto di welfare che già oggi vacilla. Un problema che accomuna tutti i Paesi dell’Unione, dove si stima che entro il 2045 la popolazione tra i 20 e i 64 anni sarà diminuita del 30 milioni di unità.

I fatti sono noti: i giovani non fanno più figli, schiacciati dal peso di un mondo del lavoro che non dà sufficienti certezze e dalle difficoltà croniche del nostro Paese di dare risposte concrete ai bisogni delle famiglie. Ad essere molto più considerati sono gli anziani, una popolazione con una capacità di spesa largamente superiore e che merita quindi tutta l’attenzione della politica. La silver economy genera molto più valore della ‘young economy’, nel caso ce ne fosse una.

Giovani sempre più precari, oltre alla fatica nella ricerca del lavoro non trovano nemmeno più una casa perché il fenomeno della gentrification fa sì che le abitazioni vengano destinate a più redditizi affitti a breve/brevissimo termine.

Se gli anziani sono più interessanti dei giovani è difficile che la politica sia incentivata ad occuparsi di loro. E infatti non lo fa, prova ne sia che gli investimenti in istruzione sono falcidiati, le nostre scuole sono fatiscenti, la retta di un mese di asilo costa come l’affitto di un monolocale in piazza Duomo.

Non è giusto colpevolizzare i giovani che non mettono su famiglia quando le condizioni sono disincentivanti a tal punto. Certo, fare un figlio ti obbliga a pensare al futuro, ma il futuro è qualcosa che pare interessare molto poco alla nostra classe politica ossessionata dalla ricerca del consenso nel presente.

Nessuno più si avventura nel futuro perché pensare a lungo termine richiede uno sforzo progettuale, costringe ad investire nelle relazioni con un orizzonte lungo. Mentre oggi anche le relazioni soffrono la sindrome dell’usa e getta, si butta via quel che non ci piace più e si passa facilmente a qualcosa di nuovo.

Siamo ossessionati dal nuovo, vogliamo anche noi apparire eternamente giovani, cerchiamo di fermare il tempo con ogni mezzo. Mentre un figlio ci costringe ad accettare di invecchiare, ci obbliga a proiettarci in una dimensione nella quale gli anziani saremo noi.

Mentre i nonni oggi vogliono apparire sempre più giovani anche loro, e il mercato li accontenta. Una trappola da cui non si esce perché si è persa la capacità e la volontà di condividere un’idea di futuro nel quale ci sente a proprio agio. I tedeschi la chiamano Weltanschauung, visione del mondo. Se non ci condivide a livello sociale, collettivo, politico, una visione del mondo, e non si lavora per costruirla, non sarà certo un mese di congedo di paternità a riempire culle sempre più vuote.

Proprio mentre concludo queste righe arriva la notizia che i ricercatori dell’Istituto Spallanzani di Roma hanno isolato il Coronavirus, che rischia di mettere in ginocchio l’economia mondiale. Pardon, sono state tre ricercatrici a compiere l’impresa. Un bel passo avanti.

sostenibilità, green deal, congedo di paternità, calo delle nascite, gentrification, coronavirus


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Chiara Lupi

Articolo a cura di

Chiara Lupi ha collaborato per un decennio con quotidiani e testate focalizzati sull’innovazione tecnologica e il governo digitale. Nel 2006 ha partecipato all’acquisizione della ESTE, casa editrice storica specializzata in edizioni dedicate all’organizzazione aziendale, che pubblica le riviste Sistemi&Impresa, Sviluppo&Organizzazione e Persone&Conoscenze. Dirige la rivista Sistemi&Impresa e governa i contenuti del progetto multicanale FabbricaFuturo sin dalla sua nascita nel 2012. Si occupa anche di lavoro femminile e la sua rubrica "Dirigenti disperate" pubblicata su Persone&Conoscenze ha ispirato diverse pubblicazioni sul tema e un blog, dirigentidisperate.it. Nel 2013 insieme con Gianfranco Rebora e Renato Boniardi ha pubblicato il libro Leadership e organizzazione. Riflessioni tratte dalle esperienze di ‘altri’ manager. Nel 2019 ha curato i contenuti del Manuale di Sistemi&Impresa Il futuro della fabbrica.

Chiara Lupi


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