Il ruolo delle relazioni sindacali per sviluppare competenze con l’apprendistato

L’istituto dell’apprendistato è stato oggetto di molteplici riforme e prolungate riflessioni; eppure la sua attuazione è sempre stata parziale, con il prevalere della finalità occupazionale su quella formativa. Le transizioni ecologiche e digitali in atto impongono un rilancio dello strumento e in questa direzione sembra ancora inesplorato il contributo che le relazioni sindacali e la contrattazione collettiva possono dare nella regolazione dell’apprendistato, inteso come leva per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in termini di competenze e professionalità.

L’apprendistato in Italia

Per oltre 20 anni l’apprendistato è stato oggetto del dibattito politico-sindacale. Contratto di lavoro per la formazione e l’occupazione dei giovani, è stato più volte invocato come strumento privilegiato per l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro (European Commission, 2012), soprattutto in forza di alcune esperienze comparate (Oecd, 2018; Tiraboschi, Biagi, 1999). Non esiste una definizione condivisa dell’apprendistato (Oecd, 2021) che, a seconda del bilanciamento tra la finalità formativa e quella occupazionale, può trovare conformazioni diverse.

In Italia, per esempio, ne esistono tre tipologie (Varesi, 2017): quella più diffusa è l’apprendistato professionalizzante, anche detto di “secondo livello”, finalizzato al conseguimento di una qualificazione professionale; le altre due, più rare, sono finalizzate prevalentemente al conseguimento di un titolo di studio: l’apprendistato di “primo livello” si riferisce ai diplomi e qualifiche nell’ambito dell’istruzione di secondo grado superiore e della formazione professionale di competenza regionale; l’apprendistato di alta formazione e ricerca (“terzo livello”) si riferisce invece ai percorsi terziari, come lauree e master, sino ai dottorati di ricerca.

Nonostante lo sforzo del legislatore, che in materia di apprendistato è intervenuto più di una decina di volte dal 1997 al 2015, l’istituto ha faticato a decollare. Sia nella sua forma duale, l’unica riconosciuta di qualità dalle istituzioni europee (Raccomandazione del consiglio dell’Unione europea del 15 marzo 2018) che, secondo le ultime rilevazioni disponibili, rappresenterebbe appena il 3,6% del totale degli apprendisti attivati in Italia (Inapp, 2019); sia nella tipologia “professionale”, la cui dimensione formativa non di rado è scarsa se non inesistente (Vaccaro, D’Agostino, 2019).

Nel bilanciamento tra finalità formativa e occupazionale ha finito per prevalere la seconda, con l’apprendistato ridotto a strumento di recupero dello scarto scolastico e di schermo per un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti (Carinci, 2012). Non ha sicuramente aiutato il groviglio normativo, con l’intrecciarsi delle fonti tra Stato e Regioni, né la foga riformatrice del legislatore che non ha offerto alle aziende un quadro normativo stabile nel tempo (D’Onghia, 2014). Anche le resistenze culturali, tanto delle imprese quanto delle istituzioni formative (Bertagna, 2011), assenti nei paesi in cui l’apprendistato ha risultati migliori (Weiss, 2014), sono state decisive nell’impedire una compiuta implementazione.

Eppure l’apprendistato non può essere trascurato. Al di là delle continue sollecitazioni da parte delle istituzioni comunitarie, studi recenti suggeriscono di rivitalizzare questo istituto, per la sua capacità di trasmettere conoscenze e di creare e far circolare innovazione (Colombo, 2020; Rupietta, 2019). Nella prospettiva della transizione ecologica (Casano, 2021) e della quarta rivoluzione industriale, caratterizzata da una sempre minor standardizzazione dei processi produttivi e della professionalizzazione di un numero crescente di lavoratori (Butera, 2018), l’apprendistato può vivere un rinnovato protagonismo.

In questa direzione, uno dei territori rimasti ancora parzialmente inesplorati, innanzitutto dai giuristi, salvo alcuni isolati tentativi (Varesi, 1981; Carminati et al. 2011), è quello delle relazioni industriali e del ruolo che la contrattazione collettiva può giocare nel rilancio dell’apprendistato. Chiamate oggi a riguadagnare un nuovo protagonismo (Casano, 2021), le parti sociali possono infatti trovare nell’apprendistato una formidabile leva per l’incontro tra domanda e offerta, competenze e professionalità nei termini di un nuovo modo di concorrere alla costruzione del mercato del lavoro (Tiraboschi, 2019).

La competenza della contrattazione collettiva in materia di apprendistato

Il contratto di apprendistato è disciplinato da più fonti interconnesse le une alle altre: legge nazionale, leggi regionali e contrattazione collettiva. La disciplina di livello nazionale, contenuta nel Capo V (artt. 41 e 42) del D.lgs 81/2015, costituisce la cornice normativa di riferimento all’interno della quale regioni e parti sociali intervengono, le prime esercitando la potestà legislativa riconosciutagli dalla Costituzione, le secondo inserendosi nei numerosi rinvii alla contrattazione collettiva operati dal legislatore.

Il perimetro della delega varia a seconda della tipologia di apprendistato. In materia di apprendistato duale l’unico ambito di competenza della contrattazione collettiva è la determinazione della retribuzione. Più corposo è l’intervento in materia di apprendistato professionalizzante, rispetto al quale la contrattazione collettiva può disciplinare, oltre che i livelli retributivi, anche il segmento formativo.

In particolare, la qualificazione professionale al cui conseguimento è finalizzato il contratto è individuata sulla base dei profili o qualificazioni professionali previsti per il settore di riferimento dai sistemi di inquadramento del personale di cui ai contratti collettivi nazionali. In ragione del tipo di qualificazione sono poi determinate anche la durata del contratto, nei limiti di legge; il monte orario di formazione professionalizzante (interna), cioè quella svolta sotto la responsabilità del datore di lavoro, che si distingue da quella di base e trasversale, garantita eventualmente dall’offerta formativa pubblica delle regioni per un massimo di centoventi ore in un triennio; le modalità di erogazione della formazione.

Gli aspetti sopra elencati attengono prevalentemente al rapporto contrattuale tra apprendista e datore di lavoro, indicando gli obblighi delle parti. La normazione di questi elementi della fattispecie contrattuale è dunque di pertinenza della parte normativa dei contratti collettivi che, come insegna la manualistica, si riferisce alle regole dello scambio contrattuale individuale a cui devono conformarsi i rapporti di lavori a cui il contratto collettivo si riferisce.

Quest’ultimo potrebbe riferirsi all’apprendistato anche nella parte obbligatoria, che si rivolge alle parti datoriali e sindacali, raccogliendo gli obblighi che le une prendono nei confronti delle altre, al di là della diretta inferenza con i contratti individuali. La delega del legislatore può infatti considerarsi “aperta” e, fatta salva la regolazione degli elementi espressamente assegnati dalla legge, nulla osta a che la contrattazione collettiva eserciti la propria autonomia negoziale anche con riguardo a clausole diverse e ulteriori.

L’articolo integrale è pubblicato sul numero di Maggio-Giugno 2021 della rivista Sviluppo&Organizzazione.
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formazione, contrattazione collettiva, apprendistato, contratto di apprendistato


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Giorgio Impellizzieri

Dottorando in Apprendimento e Innovazione nei Contesti Sociali e di Lavoro all’Università di Siena


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