Il ruolo delle startup per costruire la classe dirigente del futuro

Guardare alle startup per capire come attrarre davvero i talenti: ecco ciò che le aziende possono fare per costruire, formare e valorizzare la classe dirigente del futuro. Perché le dinamiche all’interno delle organizzazioni stanno cambiando, e con esse si sta evolvendo la libertà di azione del personale: ora c’è più flessibilità e maggiore fiducia, elementi che spesso caratterizzano le realtà più piccole, agili e innovative.

Lo sa bene Enrico Ariotti, CEO di nCoreHR, azienda per l’automazione dei processi HR, nata come startup e cresciuta nel tempo in maniera costante, che nel corso della sua storia è arrivata a comprendere appieno tanto le dinamiche delle giovani imprese in ascesa quanto quelle delle aziende più radicate e strutturate. La ricerca dei talenti è infatti alla base della costruzione della classe dirigente, come fa notare Ariotti. “Le aziende sono formate da persone e l’ascolto di queste è ormai fondamentale, insieme con la capacità di saper gestire figure che oggi godono di un diverso rapporto rispetto a quello classico dipendente-azienda”.

Ariotti, che porta la sua esperienza all’edizione 2021 del Convivio di Persone&Conoscenze (l’evento che si svolge a Milano l’8 luglio 2021 e di cui Parole di Management è Media Partner) ha le idee chiare: le startup possono tranquillamente diventare l’esempio da cui prendere ispirazione per quanto riguarda il trattamento dei dipendenti. “La loro capacità di attrarre talenti deriva dall’offerta. Offrono libertà di organizzazione, al contrario di ciò che avviene nelle aziende strutturate; offrono opportunità di crescita non statica, ma dinamica; offrono visibilità”.

Sono i talenti a scegliere l’azienda e non viceversa

I talenti, d’altro canto, sono tanti, e c’è dunque bisogno di diverse capacità di ascolto e di valorizzazione, offerte e opportunità. Si prenda lo Smart working: dev’essere un elemento di aggancio, mettendo finalmente in discussione le classiche otto ore di lavoro svolte in ufficio. Perché la gestione delle risorse, anche da parte delle Direzioni HR, dev’essere per forza diversa e ciò che le Risorse Umane non devono fare è chiaro: “Le aziende non devono assolutamente mettere in un ufficio statico un talento; non devono arginare la visibilità dei processi aziendali a un piccolo gruppo, ma devono renderla visibile su tutti i processi; devono dare ruoli molteplici, non granitici. In questo modo non solo un talento è attirato, ma anche mantenuto in azienda. Perché oggi sono le persone che scelgono l’azienda e non il contrario”.

Acquisire talenti, dunque, è importante, ma l’aspetto decisivo è la capacità di tenerseli stretti, nutrendoli e facendo vivere loro l’azienda appieno, ascoltandoli anche quando non si tratta di manager o di persone che siedono nei Consigli d’amministrazione. Ciò non significa non avere una linea ferma e abbandonare la visione data dalla dirigenza, ma implementare questa direzione dando sempre visibilità ai dipendenti, insegnando, spiegando gli obiettivi e migliorando insieme vicendevolmente.

Tuttavia, anche nel processo di selezione deve essere messa in atto una strategia precisa che si discosti dalla prassi passata, ovvero dalla tendenza a dare un valore assoluto al curriculum. Dice Ariotti: “È necessario capire che nel curriculum non sono presenti le informazioni realmente importanti. Non è un documento a rivelare se si è di fronte a un talento”. Il CEO di nCoreHR ammette addirittura che di molti suoi dipendenti non ha nemmeno visto il curriculum e fa l’esempio di programmatori iper specializzati che non ne hanno mai compilato uno: la conferma della sua tesi, secondo cui il processo di assunzione non debba basarsi solo su quello.

Le giuste domande per conoscere le persone

Le informazioni che un datore di lavoro ha bisogno di ottenere e le competenze che è necessario mettere in luce da parte del candidato e che l’azienda vuole conoscere emergono infatti da altro e non certo dal curriculum: per estrapolare questi dati è necessario anche e soprattutto calibrare le domande, ma pure organizzare incontri di persona, assessment e prove in base alla posizione che si vuole andare a coprire.

“Il processo di recruiting deve adattarsi alla posizione per cui stiamo cercando un profilo. Per ogni processo e candidatura devono essere introdotti ingredienti specifici: per esempio assessment per la valutazione di hard e soft skill, interviste, video-interviste, evitando la classica e superata richiesta massiva di informazioni che tutti si trovano a chiedere solo perché è consuetudine”, dice Ariotti. Anche perché, è il suo punto di vista, quando ci sono 50 campi da compilare, il candidato può legittimamente non avere il tempo né la voglia di farlo: “Ricordiamo infine che la persona, con molta probabilità, non si sta candidando solo per una posizione nella nostra azienda e questo aspetto è da tenere bene a mente”.

Il dinamismo del processo di selezione e la costruzione ad hoc del percorso di recruiting sono quindi l’altro passo verso la costruzione della nuova classe dirigente e rappresentano una base solida da cui partire.

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Sara Polotti

Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.

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