Il volano della formula semplificata per lo Smart working
Se è vero che lo Smart working è ormai pratica diffusa, è altrettanto vero che quello che molte aziende stanno proponendo è la versione semplificata del lavoro agile. Proprio come la formula legislativa. La normativa semplificata sullo Smart working redatta durante i primi mesi della pandemia – che doveva terminare il 31 luglio 2021 – permette alle aziende di attivare il Remote working senza sottoscrivere accordi individuali come prevede la Legge 81 del 2017, e sarà adottabile dalle imprese private (che si allineano così alla Pubblica amministrazione) con tutta probabilità fino al 31 dicembre 2021.
In questo modo le organizzazioni hanno tutto il tempo non solo di adattarsi ai tempi emergenziali, ma di prepararsi a ciò che verrà dopo. Perché ormai i dati parlano chiaro: dopo la ‘prova’ del periodo Covid, sono moltissimi i lavoratori che vogliono sfruttare la possibilità di lavorare agilmente da remoto. Secondo i dati più recenti, a marzo 2020 c’erano 6,6 milioni di lavoratori da casa, diventati 5 milioni a settembre 2020 e destinati a salire a quota 5,3 milioni nei prossimi mesi.
Numeri importanti, se si pensa che pre pandemia non erano neppure 1 milione i lavoratori smart in Italia, e che suggeriscono un cambio di mentalità: se fino a oggi lo Smart working è stato visto come un mero lavoro da casa – in particolare a causa delle contingenze pandemiche – con la formula semplificata che va incontro alle aziende dal 2022 la legislazione e i contratti sono destinati per forza essere rivisti in senso più ampio e preciso.
Superare la confusione tra telelavoro a lavoro agile
Smart working, infatti, non significa telelavoro, così come lavoro agile non vuol dire lavorare da casa rispettando gli orari d’ufficio. Situazione che, tuttavia, sta accadendo. La ‘colpa’, secondo l’avvocato e giuslavorista Giuseppe Cucurachi, Partner e Responsabile del Dipartimento del Diritto del Lavoro presso lo studio Nunziante Magrone, è da individuare anche nei termini legislativi utilizzati. Nel 2017 l’Italia, accodandosi ad altri Paesi, aveva iniziato a regolamentare la modalità di lavoro non per forza legata alla sede di lavoro; quando a marzo 2020 ci siamo ritrovati chiusi in casa a causa dell’emergenza sanitaria, per stimolare le aziende a far lavorare le persone da remoto lo stesso Governo ha definito – forse ingenuamente – “Smart working” la nuova forma di lavoro che, di fatto, prevedeva di spostare le ore di lavoro e gli strumenti dall’ufficio nelle case dei dipendenti.
“Questo ha alimentato la confusione, ma le aziende hanno ben chiaro il concetto di Smart working, che di certo ha più vantaggi rispetto al telelavoro”, ammette Cucurachi. Ecco perché, spiega il giuslavorista, sono oggi moltissime le imprese che si stanno orientando verso modelli sempre più ibridi e agili mettendo da parte, per quanto possibile, il telelavoro e il ‘semplice’ lavoro da remoto.
Per farlo, tuttavia, servono regolamenti più specifici a tutela dell’azienda e del lavoratore. In questi mesi, rispetto al primo lockdown della primavera 2020, le imprese si stanno approcciando allo Smart working in maniera diversa e più consapevole: l’orizzonte è un modello nel quale i dipendenti possono lavorare un po’ da casa e un po’ dall’ufficio. In attesa della nuova spinta legislativa, questo è il momento giusto per portarsi avanti.
“Alla luce della proroga della formula semplificata per lo Smart working, le aziende devono sfruttare questa data per riflettere, predisponendo ed elaborando qualcosa di più sofisticato e definendo degli indicatori che devono diventare la bussola per tutti i dipendenti anche quando lontani”, suggerisce il giuslavorista. “La definizione del regolamento e delle policy aziendali sui controlli a distanza è fondamentale per interagire e gestire un lavoratore che non si può valutare da vicino, fisicamente”.
Serve un lavoro congiunto tra l’HR e i giuslavoristi
Gli accordi non sono, per Cucurachi, semplici lettere da scrivere o far redigere al proprio legale: la legislazione (quella che già c’era e quella che è destinata ad arrivare) deve prevedere punti semplici e regole più complesse, da calibrare a seconda dell’azienda e dei lavoratori. Anche perché la platea di chi accede allo Smart working s’è ampliata (non è più solo per gli impiegati, ma anche per gli agenti, i commerciali, chi lavora su più sedi, i dipendenti a contatto con i clienti…), presupponendo accordi ad hoc a seconda dei compiti e delle competenze.
“Non si può improvvisare”, chiarisce quindi l’avvocato. “Anche perché vedremo molti cambiamenti: per esempio, si svilupperanno contratti meno granitici, che non saranno firmati una volta sola – come accadeva in sede di assunzione tradizionale – ma che potranno subire modifiche nel tempo in base alla variazione dei giorni che si passeranno in sede o da remoto”.
Sul piano legale, quindi, serve predisporre buoni accordi e regolamenti sui controlli a distanza degli strumenti di lavoro, con decisioni sartoriali. Accordi che, come sottolinea Cucurachi, non dovranno essere fotocopiati, ma adattati di volta in volta alle esigenze aziendali e dei dipendenti. “Le Risorse Umane possono affidarsi ad avvocati con esperienza, ma la componente organizzativa è destinata a pesare il 90%, e quella giuslavoristica il 10%: è fondamentale lavorare insieme per mappare esigenze e modelli”.
Sara Polotti è giornalista pubblicista dal 2016, ma scrive dal 2010, quando durante gli anni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Lettere e Filosofia) recensiva mostre ed eventi artistici per piccole testate online. Negli anni si è dedicata alla critica teatrale e fotografica, arrivando poi a occuparsi di contenuti differenti per riviste online e cartacee. Legge moltissimo, ama le serie tivù ed è fervente sostenitrice dei diritti civili, dell’uguaglianza e della rappresentazione inclusiva, oltre che dell’ecosostenibilità.
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