Imprenditorialità studentesca, un fenomeno in forte crescita
Le dinamiche di carriera degli studenti universitari rappresentano un tema d’interesse centrale nella ricerca sull’imprenditorialità, intesa come l’insieme di attività e processi relativi all’identificazione e allo sfruttamento di nuove opportunità di business mediante la creazione di nuove imprese.
Tale interesse è giustificato dalla crescente attrazione degli studenti universitari verso una carriera imprenditoriale in una fase della loro vita nella quale si trovano di fronte a scelte ‘chiave’ sul proprio futuro professionale.
L’ambiente universitario può favorire l’innesco di questo potenziale, incoraggiando la propensione all’innovazione, infondendo la consapevolezza delle sempre crescenti opportunità di diventare imprenditore e generando un terreno fertile nel quale coltivare attitudini e abilità imprenditoriali.
Alla documentazione di intenzioni e attività imprenditoriali degli studenti universitari di tutto il mondo si dedica, sin dal 2003, il progetto Global university entrepreneurial spirit students’ survey (Guesss), uno dei più vasti e riconosciuti progetti di ricerca internazionali su queste tematiche.
L’ultimo report internazionale Guesss presenta i risultati dell’ottava indagine, condotta nel 2018 in più di 50 Paesi del mondo su oltre 200mila studenti, di cui circa 7mila iscritti a università italiane. Il report italiano, redatto dall’Università degli Studi di Bergamo, capofila del network a livello italiano, è di prossima pubblicazione.
Questo articolo ne anticipa i principali risultati con l’obiettivo di mettere in luce, in particolare, il potenziale imprenditoriale degli studenti e del loro contesto familiare e universitario; allo stesso tempo, partendo dalle evidenze principali dell’indagine si delineano raccomandazioni e implicazioni di natura pratica verso cui dirigere gli sforzi dell’università (e, più in generale, della società) per avvicinare gli studenti al tema dell’imprenditorialità e per sviluppare il loro talento imprenditoriale.
Il campione di oltre 208mila studenti
I dati per l’indagine Guesss vengono raccolti mediante la somministrazione di un questionario online agli studenti delle università aderenti. Il campione del 2018 comprende 208.636 studenti provenienti da più di 3mila università di 54 Paesi: nell’articolo ci si riferisce a loro come al campione complessivo o internazionale. Di questi intervistati, 7.122 sono studenti iscritti a 21 università italiane. Essi, nell’articolo, rappresenteranno il campione italiano o nazionale.
Molti dei risultati di seguito presentati scaturiscono dall’affiancamento dei due campioni. Vale la pena sottolineare che sebbene essi non siano statisticamente rappresentativi delle rispettive popolazioni per il processo non casuale con cui sono stati raccolti i dati, essi permettono comunque di individuare diverse ‘trame’ e offrire interessanti spunti di riflessione.
L’età media degli studenti del campione italiano è di 24 anni (il 76% ha meno di 25 anni), il 53% è di genere femminile, il 68% è iscritto a un corso di laurea triennale e il 48% proviene da una facoltà di tipo scientifico (il 33% solo da Ingegneria o Architettura).
La Figura 1 confronta gli ambiti disciplinari di studio del campione italiano e di quello internazionale, raggruppandoli in quattro macrocategorie: Scienze Naturali e Medicina; Business e Management, Economia e Giurisprudenza; Scienze Umanistiche e una quarta categoria residuale nella quale sono ricompresi tutti gli altri corsi di laurea.
Come si nota, i due campioni sono caratterizzati da marcate differenze, tra le quali spicca una minore provenienza degli studenti italiani da facoltà di tipo economico-giuridico.
Le intenzioni di carriera
Uno degli scopi principali dell’indagine Guesss è capire quali siano le aspirazioni di carriera degli studenti. Quale percorso professionale intendono perseguire subito dopo la fine degli studi? E per il medio termine conservano le medesime aspirazioni o hanno progetti diversi?
Nel questionario agli studenti vengono offerte varie opzioni, che qui raggruppiamo in quattro categorie a scopo di sintesi: lavoratore dipendente, imprenditore (nell’accezione di fondatore di impresa), successore (nell’impresa di famiglia o in un’altra impresa) e ‘altro’, in cui confluiscono anche coloro che ancora non hanno le idee chiare sul loro futuro lavorativo.
Di seguito verranno illustrate le aspirazioni di carriera immediate e cinque anni dopo la fine degli studi, analizzando le risposte degli intervistati di entrambi i campioni. Concentrando l’attenzione inizialmente sul campione italiano, il primo risultato interessante da sottolineare è come l’83% degli studenti italiani aspiri a una posizione di lavoro dipendente immediatamente dopo la laurea, mentre solo il 5% intenda fondare un’impresa e il 3% desideri succedere nell’impresa di famiglia o in una esterna (Figura 2).
Questi dati sono sostanzialmente linea con quelli che emergono dalle due indagini precedenti, relative al 2013-2014 e al 2016. Se si guarda alle intenzioni di carriera a cinque anni dalla laurea, il quadro subisce dei notevoli cambiamenti.
Molti degli studenti che nel breve termine intendono trovare impiego come dipendenti, dichiarano di voler intraprendere, nel medio termine, una carriera imprenditoriale: a cinque anni dalla laurea, infatti, la percentuale di coloro che aspirano a essere lavoratori dipendenti scende al 55% e quella di coloro che si vedono alla guida di una propria iniziativa imprenditoriale raggiunge il 30%.
Aumenta altresì (quasi raddoppia) l’incidenza di coloro che aspirano a prendere le redini di un’impresa già esistente. L’idea che un percorso imprenditoriale non necessariamente rappresenti la prima e unica scelta di carriera trova crescente riscontro in letteratura. Sviluppi recenti nello studio dell’imprenditorialità descrivono l’ingresso e l’uscita dalla carriera imprenditoriale come processi dinamici che possono avvenire lungo l’intero percorso professionale dell’individuo (Burton et al., 2016).
Nel caso specifico dell’indagine Guesss, è lecito pensare che l’obiettivo dei nuovi laureati sia quello di cominciare a lavorare presso organizzazioni già avviate per aumentare il proprio ventaglio di conoscenze, esperienze e competenze ed entrare in contatto diretto con le sfide di un business.
È noto, infatti, che la carriera imprenditoriale, dall’identificazione di nuove opportunità alla fondazione e gestione di una nuova impresa, richieda un’ampia versatilità e combinazione di variegate abilità tipicamente maggiori rispetto al lavoratore dipendente, la cui attività tende molto spesso a essere più specializzata (Åstebro e Thompson, 2011).
Un’altra ragione dietro alla trama evidenziata circa l’accrescimento dell’interesse (dichiarato) verso una carriera imprenditoriale, cinque anni dopo gli studi, potrebbe essere ricondotta a una dinamica di social desirability bias: le risposte degli studenti potrebbero essere influenzate dall’aura positiva che contraddistingue il fenomeno delle startup grazie ai media e ad aneddoti noti di grande successo; tuttavia, quando si tratta di agire concretamente e sul breve termine essi potrebbero rivelare delle esitazioni nel lanciarsi in quel tipo di carriera, avvolta da incertezza.
Da qui la possibile tendenza a procrastinare l’avvio del proprio (dichiarato) coinvolgimento con un’iniziativa imprenditoriale propria. Dietro al dato medio si celano in realtà intenzioni alquanto diverse degli studenti intervistati in base al sesso, all’età e all’ambito di studio, soprattutto per quanto riguarda le ambizioni imprenditoriali a cinque anni dalla laurea.
In particolare, si riscontra che sono maggiormente orientati a una carriera imprenditoriale nel medio termine i maschi, in linea con un fatto diffusamente documentato in letteratura (si vedano, per esempio, Langowitz e Minniti, 2007).
Inoltre, l’interesse per la carriera imprenditoriale è più marcato tra gli studenti degli ambiti economico e umanistico anche se è interessante osservare come esso investa in maniera importante studenti di tutte le discipline (Figura 3).
La medesima trama del ‘prima dipendente e poi imprenditore’ si riscontra esaminando il campione internazionale, con la significativa differenza che sia nel breve termine sia nel medio, l’incidenza di aspiranti imprenditori è circa del 5% più elevata rispetto al campione italiano: infatti, dopo la laurea ambisce a diventare imprenditore il 9% del totale degli studenti intervistati, che diventa il 35% nella proiezione a cinque anni (Figura 4).
Su questo aspetto, il report internazionale rivela un’altra dinamica peculiare, cioè che le ambizioni imprenditoriali degli studenti sono maggiori nei Paesi in via di sviluppo che in quelli sviluppati (per esempio, nel campione internazionale la percentuale di studenti peruviani che desidera fondare un’impresa dopo cinque anni dalla laurea è del 67% mentre quella degli studenti giapponesi è del 12%).
Questo fatto non deve sorprendere: nei Paesi sviluppati, gli individui dall’elevato capitale umano provenienti da un percorso universitario hanno un costo-opportunità maggiore nel rinunciare a un lavoro da dipendente e lanciarsi nella carriera imprenditoriale, in quanto il mercato del lavoro tipicamente offre diverse occasioni per remunerare le elevate competenze grazie all’impiego in organizzazioni già esistenti.
Viceversa, nei Paesi in via di sviluppo la carriera imprenditoriale rappresenta sovente l’unica via di uscita da prospettive di povertà e un rimedio alla disoccupazione. Ovviamente questo implica che a un maggiore tasso di intenzione imprenditoriale non corrispondano necessariamente ecosistemi imprenditoriali più avanzati o performance imprenditoriali migliori.
Il ruolo delle università per sviluppare l’imprenditoria
L’indagine Guesss dedica ampio spazio al ruolo dell’ambiente universitario e delle iniziative di formazione imprenditoriale, offerte come meccanismi centrali mediante cui accrescere consapevolezza, attitudini e capacità imprenditoriali degli studenti.
Un primo aspetto investigato dall’indagine riguarda il clima universitario nei confronti dell’imprenditorialità: esso descrive la misura in cui gli studenti percepiscono supporto e incoraggiamento verso iniziative e comportamenti imprenditoriali nel proprio ateneo. Nel campione italiano di studenti si riscontra una percezione di modesta soddisfazione rispetto a questo aspetto: all’interno di una scala Likert da 1 a 7, la valutazione degli studenti rispetto alla capacità del proprio ateneo di essere di ispirazione e supporto per lo sviluppo di idee imprenditoriali o di favorirne l’ingaggio è infatti mediamente pari a 4.
Purtroppo la percezione media da parte degli studenti non pare essere migliorata nel tempo: osservando le risposte delle due survey precedenti si riscontra una percezione sostanzialmente analoga. Considerando la percezione media del clima, suddividendo gli intervistati per ambito di studio, si distingue una percezione migliore tra gli studenti delle discipline economico-giuridiche e tecnico-scientifiche.
In tali ambiti è più probabile che gli studenti siano maggiormente a contatto con il mondo delle imprese e, in generale, più consapevoli del fatto che l’impresa sia uno strumento fondamentale per commercializzare i risultati dell’avanzamento tecnico-scientifico e dell’innovazione (specialmente tecnologica).
Nel confronto tra il campione italiano e quello complessivo, emerge infine come le università straniere siano in media meglio percepite dagli studenti in termini di clima imprenditoriale in tutti i settori di studio, con un picco nelle materie economico-giuridiche.
I dati sulla percezione del clima universitario trovano per certi versi conferma nelle risposte degli studenti in merito alla formazione imprenditoriale impartita negli atenei italiani: oltre il 60% del campione italiano non ha mai frequentato un corso su questo tema (Figura 5).
Le risposte in realtà differiscono in modo marcato in funzione degli ambiti disciplinari di studio, mostrando come nei corsi di laurea a carattere economico-giuridico la quota sia considerevolmente più bassa (43%). In chiave positiva, è interessante notare come circa un terzo degli studenti provenienti da ambiti sia tecnico-scientifici sia umanistici abbiano seguito almeno un corso sull’imprenditorialità (Figura 6).
L’influenza del contesto familiare
Oltre all’ambiente universitario, un altro aspetto che influenza le ambizioni di carriera e l’imprenditorialità degli studenti è il contesto familiare e, in particolare, l’occupazione dei genitori (Hahn et al., 2019).
La letteratura è concorde sul fatto che i figli con genitori imprenditori abbiano maggiori possibilità di diventarlo a loro volta (sul tema si veda, per esempio, Laspita et al., 2012). Nel campione italiano la quota di studenti con almeno un genitore imprenditore è pari al 31%, mentre nel 23% dei casi almeno un genitore detiene una quota di maggioranza in una società.
Le intenzioni di carriera a cinque anni dalla laurea degli studenti del campione italiano, suddivise per lo status lavorativo dei genitori, sono mostrate nella Figura 7. Si nota in modo chiaro la maggiore propensione imprenditoriale dei figli di imprenditori, con picchi per gli studenti provenienti dalle famiglie dove l’imprenditore è il padre oppure entrambi i genitori. Sempre nel medio termine, per questi studenti anche l’intenzione di succedere è significativamente più elevata.
Focalizzando l’attenzione sul gruppo dei ‘potenziali successori’, ovvero gli studenti i cui genitori conducono un’attività imprenditoriale, emergono delle interessanti trame circa le dinamiche di successione.
Nello specifico, è utile sottolineare come la scelta di prendere le redini dell’impresa familiare non precluda la possibilità di avere intenzione di fondare una propria attività o accumulare esperienza come lavoratore dipendente. Infatti, sebbene un decimo di essi pianifichi di succedere all’impresa familiare cinque anni dopo aver finito gli studi, subito dopo la laurea circa l’80% di essi intende lavorare come dipendente; è probabile che questo percorso sia visto come occasione di preparazione alla successione.
Un dato meritevole di attenzione riguarda l’intenzione di fondare la propria attività da parte dei potenziali successori: più di un terzo intende farlo cinque anni dopo aver finito gli studi. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la possibilità di prendere le redini dell’impresa dei genitori sembra dunque non soffocare il loro spirito d’iniziativa, spingendoli anzi a mettersi in gioco fondando una propria attività, magari collegata a quella familiare.
Imprenditori nascenti e imprenditori attivi
Oltre a investigare le aspirazioni imprenditoriali degli intervistati, l’indagine Guesss si occupa anche delle effettive azioni di natura imprenditoriale intraprese dagli studenti. Nello specifico, si concentra su due categorie di studenti: coloro che stanno cercando di creare un’impresa, definiti nel report come ‘imprenditori nascenti’ e coloro che attualmente già conducono una propria attività imprenditoriale, definiti come ‘imprenditori attivi’.
L’attenzione specifica su questi sottogruppi porta degli elementi di comprensione aggiuntivi del fenomeno dell’imprenditorialità studentesca. Innanzitutto, si rileva come nel campione italiano la quota di imprenditori nascenti sia pari al 18%: è una percentuale più che doppia rispetto a quella dell’indagine Guesss 2013-2014 (8%).
Tuttavia, rispetto al campione internazionale (per il quale la quota di imprenditori nascenti sale a 31%), l’iniziativa di avvio imprenditoriale degli studenti italiani durante il percorso universitario ricopre un ruolo marginale. Oltre il 60% degli imprenditori nascenti nazionali stima che l’impresa in fieri inizierà la propria attività dopo più di un anno: ciò potrebbe segnalare che tali iniziative siano a uno stadio relativamente iniziale del processo di gestazione e anche che gli studenti ritengano che occorrano tempi lunghi per tradurre il progetto in azione.
I principali settori interessati da queste iniziative in embrione sono l’Ict (15%), il Marketing e Pubblicità (11%) e quello della Salute (10%); molto spesso vi è una forte sovrapposizione tra l’area di studio degli imprenditori nascenti e il settore di operatività dell’impresa. Di conseguenza, il percorso universitario potrebbe potenzialmente creare delle sinergie utili alla riuscita di tali iniziative imprenditoriali.
Spostando l’attenzione sugli imprenditori attivi, essi rappresentano il 7% del campione nazionale. Si tratta di una quota in netta crescita rispetto alle edizioni precedenti (era, infatti, pari al 4% nell’indagine 2013-2014) seppur al di sotto rispetto a quella del campione internazionale (11%).
Le imprese fondate dagli studenti del campione italiano operano prevalentemente nella Salute (10%), nell’Istruzione (10%), nel Marketing e Pubblicità (9%), nell’Ingegneria e Architettura (8%). La maggioranza delle imprese è stata fondata negli ultimi due anni e ciò si riflette nella dimensione relativamente limitata dell’impresa: circa la metà ha zero o un dipendente mentre solo un quarto ha più di cinque dipendenti.
Anche per gli imprenditori attivi si nota una sovrapposizione tra l’ambito disciplinare di studio e il settore in cui opera l’impresa: gli studenti delle discipline tecnico-scientifiche tendono a operare maggiormente nell’ICT, nella Salute, nell’Ingegneria e nell’Architettura; quelli provenienti da ambiti economico-giuridici nei settori dei servizi finanziari o commerciali, nel Marketing e nella Consulenza; infine gli studenti di Scienze Umanistiche si concentrano soprattutto nei settori dell’Istruzione, del Turismo e nei Servizi di assistenza sociale.
In termini di performance dell’impresa, si osserva come gli imprenditori attivi valutino i risultati della propria attività come appena soddisfacenti in termini di andamento del fatturato, dell’utile e della quota di mercato.
L’attività imprenditoriale viene probabilmente considerata come un modo di accumulare esperienza lavorativa più che una scelta di carriera definitiva: meno di un terzo degli imprenditori attivi prevede infatti che l’attività in essere rappresenterà in futuro il proprio lavoro a tempo pieno.
Implicazioni e linee di azioni future
Sono diverse le considerazioni e implicazioni che si possono trarre dalle evidenze sopra riportate. Nel complesso, si nota come al segnale incoraggiante circa il diffuso e crescente interesse da parte degli studenti nei confronti della carriera imprenditoriale non corrisponda ancora una capillare diffusione delle iniziative di formazione su questo tema.
Questo si riflette in risultati sicuramente migliorabili riguardo alla percezione del clima imprenditoriale e alla fiducia nelle proprie abilità. Sarebbe auspicabile che la formazione imprenditoriale fosse promossa e diffusa in tutti i settori disciplinari, come già avviene da diversi anni in centri di eccellenza europei come l’Università di Cambridge (UK) o il Tum di Monaco (Germania).
Un modo graduale ed efficace per diffondere la formazione imprenditoriale in diverse aree disciplinari è l’offerta di corsi, programmi o summer school a scelta e possibilmente creditizzati, aperti a studenti di tutte le discipline. Per esempio, l’Università degli Studi di Bergamo offre, oltre ai corsi curriculari di imprenditorialità per gli studenti di Ingegneria ed Economia, l’opportunità di partecipare a programmi di empowerment imprenditoriale, aperti a studenti di tutto l’Ateneo.
Per citarne alcuni: Hc.Lab (Contamination Lab di Bergamo) è un programma finanziato dal Ministero della Ricerca e dell’Istruzione, facente parte del network italiano dei Contamination lab a cui partecipano circa 20 università italiane. È un percorso di sei mesi che guida i partecipanti all’identificazione di un bisogno e della relativa soluzione nel settore del benessere e della salute.
A tal fine impiega una combinazione di lezioni, laboratori e testimonianze che permettono ai partecipanti di ottenere una profonda conoscenza dei bisogni del settore. Il programma incoraggia la partecipazione di studenti con diversi percorsi di studio, al fine di diffondere la formazione imprenditoriale abbattendo i confini tra le discipline e favorendo la contaminazione di prospettive diverse all’interno di team multidisciplinari.
La summer school StartCup, invece, è un programma di accelerazione che in circa tre mesi supporta i partecipanti provenienti da diverse aree disciplinari, partendo da una propria idea imprenditoriale, nella stesura di un Business plan e nella validazione dell’idea stessa; il programma culmina con una business plan competition che permette ai vincitori di ottenere un premio in denaro per finanziare la propria idea.
Il programma coinvolge istituzioni del territorio e ottiene grande visibilità nell’ateneo e nella comunità locale; tali fattori contribuiscono alla creazione di un clima imprenditoriale che a sua volta stimola in un circolo virtuoso la crescita e la centralità di iniziative di formazione come StartCup.
Sebbene la diffusione capillare dell’educazione imprenditoriale all’interno degli atenei italiani richiederà probabilmente diversi anni e considerevoli sforzi istituzionali e investimento di risorse, la situazione attuale permette di essere fiduciosi circa la maturazione e la diffusione della cultura imprenditoriale in ambito universitario; sembra ragionevole altresì affermare che la crescente ‘fame’ di imprenditorialità manifestata dagli studenti universitari, l’adesione sempre maggiore delle università a indagini come quella del Guesss e l’emergere di iniziative riconosciute come quella dei Contamination lab rappresentino segnali incoraggianti per permettere di sfruttare al meglio il potenziale imprenditoriale dei giovani.
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